Costituzione: sempre caro mi fu … questo specchietto per le allodole! 2013 – RIFORME COSTITUZIONALI: DOV’E’ LO SCANDALO? 2004

Costituzione: sempre caro mi fu … questo specchietto per le allodole!

Che scandalo!

Udite, udite! Correte, correte!

«Il governo vuole imporre la riscrittura illegale della Costituzione non rispettando le procedure di revisione previste dalla Costituzione stessa!».

Sembra di poter dedurre (detto per inciso) che, nel caso quelle procedure le si rispettasse, il tutto potrebbe diventare più “digeribile”. E considerato l’attuale ampio “schieramento delle larghissime intese”, di sicuro il boccone andrebbe mandato giù senza fiatare. Insomma: è solo una questione di principio, di forma: «le cose bisogna farle nel modo giusto, corretto, legale».

E infatti, a furia di guardare sempre e solo alla “forma”, e molto poco e molto di rado invece alla sostanza, si prende l’ennesimo abbaglio.

Dal fondo del nostro “disfattismo rivoluzionario”, diciamo che la cosa non ci “preoccupa” più di tanto, non essendo che una “ratifica” di ciò che è già avvenuto nei fatti. E – detto tra parentesi – è proprio quel dato di fatto, piuttosto, che avrebbe già da tempo dovuto preoccupare, nella sua sostanza (ossia nelle sue cause) e non nella sua forma i tanti odierni paladini della falsa democrazia borghese, dei falsi controlli, delle false garanzie, delle false libertà, dei falsi diritti e via dicendo.

Tutti rigorosamente falsi, ma – vuoi mettere?! – “formalmente” ineccepibili!

E qui apriamo una breve parentesi. Prendendo atto della realtà capitalistica e delle “sue” ennesime, incessanti e improrogabili necessità, questo cambio affrettato di passo appare infatti assolutamente comprensibile in quanto “necessario” (peraltro da gran lungo tempo!) e non più procrastinabile: per la sopravvivenza del sistema, s’intende!

Un sistema che nella sua attuale e criticissima fase necessita più che mai di processi decisionali snelli, veloci, che non “sopportano” più impicci burocratici, verifiche e controlli (che peraltro mai hanno garantito la “legalità”, come ben sappiamo!) e quella fitta rete di lacci e lacciuoli che prolungano nel tempo decisioni che vanno invece prese “molto rapidamente”.

I tempi – quelli della crisi – stringono, e credo sia facile comprendere il perché…

A suo tempo, piuttosto recente, lo stesso Silvio (come, prima e dopo di lui, altri) si era cimentato in questa titanica ma indispensabile “impresa”, ben cosciente dell’enorme “ritardo italiano” di un processo di adeguamento istituzionale che altri Paesi avevano già portato a compimento da lungo tempo e che ora, per il Paese, diveniva non più a lungo rinviabile.

Ovviamente egli si trovò schierati davanti tutti i difensori dello status quo e dei rispettivi e più diversi e radicati interessi che vi gravitano attorno. Uno status quo che allora, tutto sommato, fu possibile mantenere ancora in vita e continuare a gestire negli ormai “storici” e tradizionali termini di un’eccessiva burocratizzazione e di una elefantiaca dimensione dell’apparato statale. Oggi non più. Oggi la crisi incombe.

Ci stiamo per caso schierando a sostegno di simile necessità? Niente affatto!

Stiamo solo, sinteticamente e realisticamente, prendendone atto e spiegandone i motivi. Perché è solo andando alle cause dei problemi che è possibile approntare le adeguate soluzioni.

Il carattere di “ratifica” torna ad ulteriore dimostrazione – per chi non l’avesse ancora compreso – che le Carte Costituzionali sono il prodotto di quanto avviene nell’evolversi delle fasi e nel mutare delle necessità dell’economia e dei rapporti sociali che questa genera: entrambi da declinare non in astratto, ma in virtù della loro specifica organizzazione, quella “capitalistica”. Di questa evoluzione, dunque, le Costituzioni – come le leggi, i provvedimenti amministrativi, gli accordi sindacali – non sono altro che lo specchio, il riflesso, e dunque niente più che la ratifica scritta di quanto già avvenuto perché “necessario” (alla sopravvivenza del sistema) che avvenisse.

E non invece – come ingenuamente ci si ostina a credere – la garanzia o la base di “progetto” per nuove e splendide future società, che infatti, mai si sono realizzate attraverso le Costituzioni, bensì attraverso le Rivoluzioni sociali.

Ancora una volta lo specchietto per le allodole della democrazia “violata e calpestata” da difendere e ripristinare viene tirato fuori dalla ideologia dominante per distrarre dal reale problema, che è: quale è la vera causa della crisi e, con essa, della nostra miseria crescente?! Quale è il nostro vero nemico? La crisi o ciò che la genera, ossia il capitalismo?!

La stessa abile tattica di distrazione fu utilizzata in occasione del fascismo – giusto per ricordare un po’ di storia recente – anche per scongiurare un possibile esito rivoluzionario del crescente disagio sociale di quegli anni, indirizzando il partigianesimo non “contro il capitalismo”, ma contro la dittatura fascista per la riconquista della Santissima democrazia.

Come se la falsa democrazia borghese, che ben conosciamo, non tutelasse gli stessi ferocissimi e cinici interessi di classe! Quegli stessi spregiudicati interessi che avevano già condotto al primo macello mondiale sotto le dolci bandiere della Bella democrazia!

Ci limitiamo dunque a prendere stoicamente atto di un processo e a giudicarlo inevitabile?

Niente affatto. Ma più che contro la ratifica di esso, preferiamo rivolgere le nostre asce di guerra contro il sistema che lo genera, abbattuto il quale forma e sostanza smetteranno di essere un inutile cruccio.

Ci ripetiamo, e non per diventar noiosi: occorre andare alla radice, alla causa dei processi e non scegliere l’effetto (qualsiasi esso sia!) come nostro bersaglio.

Il capitalismo è il nostro reale bersaglio, abbatterlo è e resta l’unica soluzione.

Organizzarci e concentrare contro di esso la nostra più decisa combattività, sotto la guida indispensabile della nostra avanguardia politica (il partito rivoluzionario di classe), è l’unica, concreta possibilità.

PF

Domenica, July 28, 2013

http://www.leftcom.org/it/articles/2013-07-28/costituzione-sempre-caro-mi-fu-%E2%80%A6-questo-specchietto-per-le-allodole

RIFORME COSTITUZIONALI: DOV’E’ LO SCANDALO?

Adesso ci sarà una levata di scudi contro le cosiddette riforme costituzionali approvate dal governo berlusconiano, dimenticando fra l’altro che ad aprire la strada a queste riforme furono anni fa i sinistri allora di governo.
Infatti già ci sono stati appelli all’unità nazionale stracciata da queste riforme e richiami alla Resistenza che col sangue conquistò quella costituzione.
E come al solito, formalmente, hanno pure ragione, nel senso che è vero, che quella carta costituzionale fu scritta subito dopo la caduta del fascismo, ma nella pratica hanno torto, perché tutti avevano dichiarato pochi anni fa che i tempi erano cambiati, e pertanto bisognava modificare quella costituzione ormai vecchia.
Le contrapposizioni erano solo su come modificarla, e quali strumenti utilizzare.
I sinistri erano per una modifica concordata, cioè il solito metodo concertativo, fra maggioranza e opposizione, il governo era per una approvazione di maggioranza.
Naturalmente è passata la seconda, visti i rapporti di forza, ma in ogni caso quelle modifiche sarebbero state fatte.
E allora bisogna superare l’Aventino, determinato dalla forma di approvazione (che cambia per noi, se le riforme sono concertative, o se sono maggioritarie?), e invece analizzare la sostanza del problema, e cioè le riforme.
Onde evitare fraintendimenti, diciamo subito che non abbiamo intenzione di fare le barricate per difendere una costituzione, che non c’è più. Sappiamo benissimo che quella carta costituzionale era una carta costituzionale borghese, che serviva solamente per “rendere partecipi” i proletari alla conservazione dei valori capitalistici della proprietà privata,
e del diritto al profitto, pertanto l’affossamento della costituzione è solo un gettare la maschera da parte del potere.
Ma bisogna analizzare questa “riforma” per capirne le motivazioni vere, economiche e politiche,  onde evitare che poi il potere indossi un’altra maschera più consona ai tempi, e che questa maschera venga poi accolta  come se fosse un salto di qualità positivo da parte di molti.
Che questo sia un pericolo reale lo si capisce già dal fatto che per molti e diversi motivi,
in tanti auspicano e attendono con ansia la promulgazione della costituzione europea. Di questo parleremo più tardi, per ora cominciamo ad affrontare i motivi dello “strappo costituzionale” approvato dal governo, addirittura col voto determinante della destra post-fascista, tradizionalmente nazionalista.
Come tutti sanno gli stati nazionali nascono non perché ad un tratto le popolazioni, che vivono in un dato contesto geografico, scoprono di avere uguali tradizioni, cultura ed interessi, e pertanto si uniscono politicamente per perseguire quelli interessi
e per mantenere le proprie origini: questa è naturalmente una fregnaccia raccontata al popolo bue, per tenerlo legato a questo orpello sovrastrutturale. E, per lo stesso motivo, è una fregnaccia anche la favola che lo stato nazionale nasca per liberarsi dallo straniero.
Pur avendo spesso una base formale di verità, vedi per esempio il risorgimento italiano, nella sostanza si tratta anche in questo caso di una bufala: cosa volete che cambi nella sostanza per un pugliese o un siciliano nell’essere dominati dal potere piemontese oppure da quello borbonico? Niente, tanto è vero che quei meridionali  che consegnarono le loro terre ai nuovi dominatori finirono in molti nelle file dei “briganti” pochi anni dopo.
Ed anche dopo la seconda guerra mondiale quale differenza sostanziale videro quelli che avevano combattuto per la Resistenza, tra la dominazione tedesca e quella americana? Pochissima differenza, a parte una democrazia solo formale,al punto che la giornata del 25 Aprile fu molto presto trasformata in un orpello come la stessa costituzione.
Allora qual’è il vero senso dello stato nazionale e della conseguente carta costituzionale?
Siamo in un regime capitalista, e non è un caso che gli stati nazionali nascano proprio nel regime capitalista.
Il regime capitalista crea gli stati nazionali, diffondendo “valori nazionali”, cultura nazionale ed interessi nazionali per una sua esigenza di crescita economica, di conquista di mercati.
Non è un caso, per esempio che in Italia l’unità nazionale venga perseguita dai piemontesi, dove c’era forse la più grande presenza industriale dell’epoca, che avesse una base produttiva in loco,  mentre nel meridione non c’era significativa presenza industriale e nel lombardo-veneto il potere economico
era “straniero”, cioè asburgico.
Naturale quindi che i piemontesi imbellettassero col sentimento nazionale la propria esigenza di conquista territoriale e tendenzialmente di nuovi mercati.
Come altrettanto naturale fu che di fronte ad una guerra interimperialista come la 1^ e soprattutto la 2^ guerra mondiale, si perseguisse una politica di alleanze fra nazioni, per cercare nuovi mercati a danno dei paesi più deboli, però ancora mantenendo un impianto nazionalistico, dato che ancora l’impresa era localizzata, anche se con l’intento di allargarsi.
Su queste motivazioni interessate nasce la costituzione italiana, che nel mentre predica i diritti dei cittadini, le vocazioni di pace
e tante altre belle parole di questo tipo, contemporaneamente proclama il diritto alla proprietà privata, al profitto,  ed anche la possibilità di partecipare a guerre (e cioè a nuove conquiste di mercati), anche se soltanto nell’ambito di trattati internazionali sottoscritti, e cioè oltre all’ONU, la NATO, e, nel senso lato berlusconiano, anche gli USA, di cui siamo fedeli alleati da 60 anni.
Come si vede non c’è da avere alcun rimpianto per questa costituzione, oggi buttata alle ortiche dal potere politico, che formalmente aveva il compito di difenderla.
Ma perché proprio il potere politico che doveva difenderla butta a mare la costituzione?
La risposta è facile: sono cambiate radicalmente le condizioni di mantenimento del regime capitalistico.
Siamo cioè in una fase in cui il capitalismo nazionale non è più in grado di conquistare gli indispensabili nuovi mercati,  anzi non esiste proprio più il capitalismo nazionale.
Siamo in una fase in cui per accrescere i profitti i capitalisti hanno bisogno di rendersi competitivi con altri capitalisti,  quindi hanno bisogno di superare la logica dell’impresa ottocentesca e di trasformarsi in trust,  capaci di entrare in competizione con altri trust.
Ed allora c’è bisogno di alcune cose sostanziali. Per prima cosa bisogna ridurre le spese, soprattutto quelle relative al costo del lavoro, e quindi si incentivano le forme di precarizzazione e di subalternità dei lavoratori.
Contemporaneamente c’è bisogno di allargare i confini in cui si opera, per garantirsi spazi di mercato  stabili sempre più allargati, ed allora si da il via agli Stati Uniti d’Europa, da cui discende la necessità di una nuova costituzione, questa volta europea, a cui tutte le costituzioni nazionali prima o poi dovranno adeguarsi.
Infine c’è bisogno di controllare i sudditi, ed allora si approntano le nuove leggi di repressione sociale.
Naturalmente poi per evitare che ci sia una saldatura fra eventuale rivolta sociale e opposizione politica radicale  si passa alle leggi antiterrorismo.
Se così stanno le cose è facile capire che le “riforme berlusconiane” di cui tanto si parla in questi giorni,  non sono poi una semplicistica controriforma, non si tratta cioè di un ritorno all’indietro, di una riforma reazionaria, come molti fra i sinistri di governo cianciano in questi giorni, ma di un adeguamento delle leggi e della costituzione  a queste nuove esigenze del capitale.
Infatti questa riforma costituzionale si muove contemporaneamente su vari livelli: vediamo quali.
Innanzitutto c’è il totale disimpegno dello stato in ambito economico, al punto da dismettere di fatto anche il ruolo di controllo e di regolamentazione. Infatti ormai il ricorso alle privatizzazioni degli enti cosiddetti pubblici
è quasi concluso, ma non basta: si trasformano in imprese anche i servizi, e naturalmente si ricorre alle privatizzazioni anche in questo campo, basti pensare alla sanità, all’istruzione, ai trasporti al servizio pubblico radiotelevisivo.
Come si procede in questo processo? Innanzitutto si tagliano i fondi al servizio pubblico
e si aumentano i fondi stanziati per il servizio privato.
In questo modo si introduce il sistema della concorrenza tra pubblico e privato,
e si inserisce di fatto la logica di impresa in sostituzione della logica di servizio,
anche perché é  naturale che questa concorrenza risulti sleale, in quanto il privato, avendo alla base la logica del profitto, tende a ridurre i costi, a scapito della qualità e del costo del lavoro e della professionalità nel servizio,  e quindi alla fine si arriva alla progressiva dismissione del pubblico.
Quando il processo di privatizzazione è completato, lo stato perde anche il ruolo di controllo,  visto che ormai con la legge di mercato vigente a tutti gli effetti, i padroni finalmente si liberano dei famosi lacci e lacciuoli.
Ed anche quel minimo di controllo che si mantiene, per evitare troppe aberrazioni, in una fase di internazionalizzazione dell’economia, non è esercitato dallo stato nazionale, ma viene demandato ad organismi internazionali  o a strutture pubbliche sovranazionali.
Ed infatti il primo ruolo acquisito dall’UE è proprio quello di stato economico, e cioè di unità economica  dei paesi facenti parte.
Ma subito dopo ci si è posti il problema della costituzione, non per garantire diritti ai cittadini europei,  come ciancia qualcuno, ma per uniformare i parametri di controllo ed evitare che qualche stato  mettesse troppi “lacci e lacciuoli”, ed anche per dare un fittizio senso di appartenenza, finalizzato alla conquista di mercati.
Un pò come succede negli USA, dove c’è più protezionismo nel mercato, di quanto ce ne fosse nei singoli stati nazionali.
Ed infatti da questo punto di vista gli USA sono forse l’ultimo stato nazionale (sia pur federale) esistente,  visto la forza del loro senso di appartenenza, che li porta ad avere mercati molto più chiusi  (nelle importazioni) che in tutto il resto del mondo.
E l’Europa, che aspira a diventare il grande antagonista degli USA, cerca di uniformarsi, creando appunto  quel grande senso di appartenenza. Ed infatti ormai il richiamo all’Europa e al sentirsi europei sovrasta sempre di più il sentirsi italiani, o francesi, o tedeschi o… a parte il solito risuonare dell’inno nazionale,
ultimo baluardo degli stati-nazione, che forse viene mantenuto in vita, sia a causa delle difficoltà  che incontra la nascita politica dell’unione, sia perché il passaggio da un senso di appartenenza ad un altro non può essere traumatico, a causa di una storia europea, fatta di incomprensioni e di guerre intestine.
Comunque il processo continua a marciare, al punto che ormai si parla di costituzione europea entro Giugno, guarda caso più o meno nello stesso periodo dello smantellamento della costituzione italiana.
Ma forse non è un caso!
Ed infatti non solo la dismissione dello stato nazionale italiano arriva contemporaneo alla formalizzazione dello stato europeo,  ma anche le altre leggi di controllo procedono coordinate.
Anche nei campi in cui l’Europa lascia la competenza ai singoli stati, ci si coordina a livello internazionale continuamente.
Vedi le leggi antiterrorismo, che vengono decise in ambito multinazionale, anche se poi l’applicazione locale  è demandata ai singoli stati. In parole povere mentre il problema della guerra internazionale,  eufemisticamente chiamata terrorismo internazionale, viene affrontato in ambito europeo, addirittura con la creazione e di un esercito europeo e di una polizia europea, le ribellioni in ambito nazionale restano di pertinenza statal-nazionale(in U/SA del resto c’è la guardia nazionale e l’esercito federale, lo sceriffo e l’FBI)
E guarda caso è proprio in quest’ambito e negli ambiti collegati che la riforma berlusconiana rafforza il controllo istituzionale politico.
Ed infatti si propone un rafforzamento dell’esecutivo e dell’unità nazionale, nel controllo della magistratura e  delle forze di polizia, che si occupano di lotta politica e sociale.
Ma la levata di scudi “dell’opposizione” non è estesa a tutti questi ambiti della riforma berlusconiana: è soprattutto incentrata sul controllo politico della magistratura, mentre invece rispetto agli altri aspetti autoritari di questa riforma si tace.
Eppure di motivi di preoccupazione ce ne sono, a partire dalle leggi di polizia, dalla riforma dei carabinieri, alla riforma del corpo forestale dello stato, che agirà in funzione d’ordine pubblico,  all’accorpamento delle inchieste sul terrorismo all’antimafia e via cantando.
Ma, come dicevamo prima, queste leggi non sono frutto dell’impazzimento del governo, sono leggi necessarie al capitale nell’attuale fase, per cui sono condivise da tutti i partiti, che affollano il parlamento.
Anzi, per dire pane al pane, bisogna ricordare che molte di queste erano state elaborate dal centrosinistradel governo D’Alema, quello che già anni fa affermava che il parlamento spesso era d’intralcio all’iter democratico
col suo discutere e ridiscutere i progetti di legge (sembra di sentire l’attuale “premier”, vero?).
Infatti la riforma dei carabinieri è farina del suo sacco, come pure l’armamento del corpo forestale;ma anche la legge maggioritaria attuale, che permette a Berlusconi di fare questa riforma, fu concordata dal baffetto gallipolino d’adozione, e sua fu l’apertura al centro destra sulla separazione delle funzioni dei magistrati.
Come si vede nessuno scandalo, si mettano l’anima in pace i nostalgici di una costituzione, che non c’è più.
La costituzione appena abrogata non era più adatta al funzionamento del sistema economico attuale,
e siccome una costituzione in un regime è funzionale al funzionamento di quel regime,
appena non è più adatta allo scopo, viene abrogata, o riformata (che poi è lo stesso).
Adesso l’imbellettamento è finito, il senso di appartenenza viene fatto saltare,
si ricontratta un senso di appartenenza fittizio come prima ma altro, e si è optato da parte del potere capitalistico per un passaggio traumatico da un senso di appartenenza ad un altro.
Ecco quindi l’abolizione di tutto il welfare del vecchio sistema, la scelta della precarietà totale, il crollo di un sistema fittizio, ma rassicurante, con la sua patina di sussidiarietà, in grado di evitare scivolamenti  troppo repentini nella miseria più nera.
Adesso invece di welfare, non più concepibile in questa fase di sviluppo capitalistico, l’unico sistema che ha il potere di evitare ribellioni sociali, è la repressione.
Già le prime avvisaglie erano state date con le guerre preventive (a livello internazionale), e la repressione preventiva  (a livello locale).
Ma mentre finora molto era stato lasciato all’improvvisazione e alla discrezione dei singoli stati, almeno in Europa,  adesso, a rimorchio del comportamento yankee, si decide di sancire per legge questa repressione preventiva:  e, come si sa, la prima legge è la costituzione. Per cui una costituzione si abroga e l’altra si vara.
La cosa che cambia è il tipo di costituzione.
Perché ogni legge, e quindi ogni costituzione è frutto dei rapporti sociali esistenti nel momento in cuid etta costituzione o legge viene promulgata, e, visti i rapporti di forza attuali, certamente molto più sfavorevoli per il proletariato, di quanto fossero 60 anni fa, logicamente questa costituzione europea è molto più repressiva
e liberticida della prima (almeno a livello formale).
E, infatti, quali sono i primi aspetti salienti, su cui gli stati hanno già raggiunto un accordo?
Naturalmente gli aspetti peggiori.
Viene decisa la creazione di un esercito europeo, che in accordo con gli organismi internazionali, sia in grado di intervenire prontamente in tutto il mondo; viene decisa una maggiore collaborazione fra gli stati nel respingimento dei migranti; viene raggiunto un accordo sulla lotta al terrorismo.
In parole povere la costituzione europea nei punti più salienti per gli interessi del sistema è già scritta.
Al punto che Prodi e Ciampi hanno già pronosticato il varo della nuova costituzione a Giugno, cioè entro 3 mesi.
Ma il bello sapete dove sta? Naturalmente il bello è in senso amaramente ironico.
Sta nel fatto che la costituzione europea diventa per la sinistra istituzionale il cavallo di battaglia da cavalcare  per “sconfiggere” l’abrogazione berlusconiana della costituzione italiana, come se Berlusconi non avesse abrogato la ormai fatiscente costituzione italiana proprio per favorire il varo di quella europea, sicuramente più confacente agli interessi del capitalismo odierno nel conflitto di classe di questo periodo.
Questo è lo scenario vero; uno scenario in cui si capisce subito che lo scontro Berlusconi-Prodi nella nostra italietta è lo specchio per le allodole. Uno specchio per le allodole in cui, come al solito in molti cascheranno:
già si vedono proclami che invocano la lotta contro questo regime berlusconiano (non capitalistico, per carità)  e presto si sentiranno proclami per la lotta in difesa della costituzione ormai defunta.
Si sente parlare di regime, di neoduce ed altre amenità del genere, insomma un appello ad un cambio di governo, quasi fosse un cambio di regime. E non ci si rende conto, o si fa finta di non rendersi conto che un cambio di governo  non solo non significherebbe nulla da un punto di vista pratico, ma rischierebbe al limite di aggravare le cose.
Infatti la prima diversità in caso di un governo diverso sapete quale sarebbe?
L’ accellerazione nell’approvazione del mandato d’arresto europeo, che Berlusconi non vuole, per piccoli interessi di bottega.
Ma quando questo sarà approvato, come vuole il centrosinistra, pensiamo proprio che sarà utilizzato  contro la corruzione di regime? O non sarà invece utilizzato contro tutti quegli individui,  che sono fuori o addirittura contro il regime capitalistico?
E allora adesso che il re si è denudato del tutto nella sua protervia, fidando nella sua capacità di controllo  e di repressione, bisogna invece cambiare gli obiettivi della nostra lotta.
Non ha senso ormai lottare per il mantenimento del welfare in Italia, nel momento in cui le regole sono transnazionali,
e nello specifico europee, ma lottare per garantirsi la qualità della vita nella nuova situazione reale e quindi lottando contro il capitalismo europeo; non ha senso chiedere il ritiro dei contingenti italiani, quando la costituzione europea prevede l’esercito comunitario, ma lottare contro la costituzione dell’esercito europeo;
allo stesso modo bisogna lottare contro la repressione sempre più spesso decisa in ambito transnazionale.
Bisogna insomma combattere il tentativo di creare questo nuovo superstato, espressione del capitalismo finanziario e multinazionale, che si candida a nuova superpotenza, in grado di conquistare sempre nuovi mercati,
e contemporaneamente si attrezza come fortezza capitalistica, contro i migranti e contro i proletari.
Bisogna insomma lottare per evitare di farci prendere un’altra volta in giro con un nuovo senso di appartenenza fittizio ancor più del precedente ed ancor meno del precedente in grado di garantire condizioni di vita soddisfacenti per i ceti oppressi.
E’ in questo tipo di lotta, che si misurano le alleanze, non certo in una lotta di retroguardia, come potrebbe essere quella in difesa della vecchia costituzione, che di fatto nessuno vuole difendere, e nemmeno in una lotta mistificante come quella per far cadere questo governo per favorire il ritorno dei sinistri di governo.
Chi si muove in quest’ottica di gioco elettorale è di fatto schierato con la controparte, con chi vuole ristrutturare il sistema capitalistico ed attrezzarlo con le nuove leggi di precarietà e di repressione nella lotta sociale che si prepara, allo stesso modo di chi ci viene a cianciare di Europa dei diritti e altre scemate del genere.
Sia chiaro, non stiamo parlando di una lotta contro il capitalismo europeo, come se il capitalismo d’oltreoceano fosse più accettabile: stiamo parlando di lotta contro il sistema capitalistico.
Infatti, secondo noi, il vero nemico del genere umano non è un capitalismo, mentre magari un altro capitalismo è più accettabile,  con cui magari ci si può anche alleare, per combattere l’altro, giudicato più pericoloso.
Noi crediamo che il sistema capitalistico, pur nelle sue diversità, e pur con i contrasti intercapitalisti,è sostanzialmente unito contro i ceti più deboli e contro quelle popolazioni, considerate marginali per lo sviluppo capitalistico.
Stiamo parlando di lotta contro il sistema capitalistico made in Europa semplicemente perché uno lotta contro il sistema capitalistico soprattutto dove vive, cercando di cambiare lo stato di cose presenti, che si vive in prima persona.
Pertanto ci aspettiamo che in altri paesi come l’Argentina o l’Iraq o altri ancora ci si ribelli contro il sistema capitalistico da cui sono oppressi, e cioè gli yankees.
Bisogna pertanto diffidare di chi tende spesso a presentare il capitalismo europeo come diverso da quello amerikano,  come di un capitalismo che ha una tradizione culturale al contrario di quello USA, esclusivamente economicista.
La questione è un’altra, ed è dovuta al fatto che nel secolo scorso i due sistemi capitalistici europeo ed amerikano  hanno avuto un percorso diverso a causa della maggiore permeabilità del capitalismo europeo
al pericolo “socialista” dell’URSS.
Adesso che quel “pericolo” non c’è più i due sistemi tendono sempre di più ad omologarsi, per cui qualsiasi discorso che tende a distinguere fra “capitalismo buono” e “capitalismo cattivo” è una mistificazione,
che serve a riaccreditare la ormai logora politica delle alleanze, la stessa che portò la Resistenza a trasformarsi da movimento di lotta anticapitalistico in supporto ad un sistema capitalistico “più democratico” a danno di un altro “più autoritario”.
Fra l’altro una scelta di campo fra i due capitalismi è un modo per abdicare alla lotta anticapitalistica sul proprio territorio, ripiegando su un facile sostegno alla lotta antimperialista condotta da altri, oltretutto lontani geograficamente.
Noi pensiamo invece che la solidarietà a chi lotta contro il capitalismo imperialista la si da conducendo la stessa lotta sul proprio territorio contro il capitalismo che ci si trova davanti, in quanto di fronte
ad un sistema capitalistico mondiale sostanzialmente unitario, sia pur differentemente rappresentato,
anche la lotta anticapitalistica, pur differentemente articolata, acquista un valore sostanzialmente unitaria.
Bisogna insomma andare al nocciolo del problema, portando la nostra critica radicale a questo sistema di morte e di sfruttamento.
Chi ci viene a parlare di democrazia e di diritti quando le istituzioni sono finanziarie o al servizio delle multinazionali
fa opera di mistificazione ed indebolisce la lotta di tutti quei ceti che si vogliono opporre a questa ristrutturazione capitalistica.
Quello che invece occorre fare è studiare questa nuova situazione, in modo da poterla combattere efficacemente.
E, naturalmente, bisogna attrezzarsi, per far fronte alle nuove leggi repressive studiate proprio per evitare la ribellione sociale.

28 Marzo 2004

L’Avamposto degli Incompatibil

 

http://www.controappunto.org/documentipolitici/riformecostituzionali.html

Questa voce è stata pubblicata in documenti politici, memoria. Contrassegna il permalink.