Le Grazie – Biblioteca della Letteratura Italiana
Mentre opravan le Dee, Pallade in mezzo
Con le azzurre pupille amabilmente
Signoraggiava il suo virgineo coro.
Attenuando i rai aurei dei sole,
Volgeano i fusi nitidi tre nude
Ore, e del velo distendean l’ordito.
Venner le Parche di purpurei pepli
Velate e il crin di quercia; e di più trame
Raggianti, adamantine, al par de l’etra,
E fluide e pervie e intatte mai da Morte,
Trame onde filan degli Dei la vita,
Le tre presaghe riempiean la spola.
Né man dell’altre innamorata, all’opra
Iri scese fra’ Zefiri; e per l’alto
Le vaganti accogliea, lucide nubi
Gareggianti di tinte, e sul telaio
Pioveale a Flora a effigiar quel velo;
E più tinte assumean riso e fragranza
E mille volti dalla man di Flora.
E tu, Psiche, sedevi, e spesso in core,
Senz’aprir labbro, ridicendo: ” Ahi, quante
Gioie promette, e manda pianto Amore! ”
Raddensavi col pettine la tela.
E allor feconde di Talia le corde,
E Tersicore Dea, che a te dintorno
Fea tripudio di ballo e ti guardava,
Eran conforto a’ tuoi pensieri e a l’opra.
Correa limpido insiem d’Erato il canto
Da que’ suoni guidato; e come il canto
Flora intendeva, e sì pingea con l’ago.
Mesci, odorosa Dea, rosee le fila;
E nel mezzo del velo ardita balli,
Canti fra ‘l coro delle sue speranze
Giovinezza: percote a spessi tocchi
Antico un plettro il Tempo; e la danzante
Discende un clivo onde nessun risale.
Le Grazie a’ piedi suoi destano fiori
A fiorir sue ghirlande; e quando il biondo
Crin t’abbandoni e perderai ‘1 tuo nome,
Vivran que’ fiori, o Giovinezza, e intorno
L’urna funerea spireranno odore.
Or mesci, amabil Dea, nivee le fila;
E ad un lato del volo Espero sorga
Dal lavor di tue dita; escono errando
Fra l’ombre e i raggi fuor d’un mirteo bosco
Due tortorelle mormorando ai baci;
Mirale occulto un rosignuol, e ascolta
Silenzïoso, e poi canta imenei:
Fuggono quelle vereconde al bosco.
Mesci, madre dei fior, lauri alle fila;
E sul contrario lato erri co’ specchi
Dell’alba il sogno, e mandi a le pupille
Sopite del guerrier miseri i volti
De la madre e del padre allor che all’are
Recan lagrime e voti; e quei si desta,
E i prigionieri suoi guarda e sospira.
Mesci, o Flora gentile, oro alle fila;
E il destro lembo istorïato esulti
D’un festoso convito: il Genio in volta
Prime coroni agli esuli le tazze.
Or libera è la gioia, ilare il biasmo,
E candida è la lode. A parte siede
Bello il Silenzio arguto in viso e accenna
Che non volino i detti oltre le soglie.
Mesci cerulee, Dea, mesci le fila;
E Pinta il lembo estremo abbia una donna
Che con l’ombre i silenzi unica voglia,
Nutre unaa lampa su la culla, e teme
Non i vagiti del suo primo infante
Sien presagi di morte; e in quell’errore
Non manda a tutto il cielo altro che pianti.
Beata! ancor non sa quanto agl’infanti
Provido è il sonno eterno, e que’ vagiti
Presagi son di dolorosa vita.
Come d’Erato al canto ebbe perfetti
Flora i trapunti, ghirlandò l’Aurora
Gli aerei fluttuanti orli del velo
D’ignote rose a noi; sol la fragranza,
Se vicino è un Iddio, scende alla terra.
E fra l’altre immortali ultima venne
Rugiadosa la bionda Ebe, costretti
In mille nodi fra le perle i crini,
Silenzïosa, e l’anfora converge:
E dell’altre la vaga opra fatale
Rorò d’ambrosia; e fu quel volo eterno.
Poi su le tre di Citerea gemelle
Tutte le Dive il diffondeano; ed elle
Fra le fiamme d’amore ivano intatte
A rallegrar la terra; e sì velate
Apparian come pria vergini nude
Ugo Foscolo
LETTERA A MONSIEUR GUILL PER LA SUA INCOMPETENZA A GIUDICARE I POETI ITALIANI