FATTORI INNATI E FATTORI APPRESI NELLA PERCEZIONE – Sta scherzando Mr. Feynman!

FATTORI INNATI E FATTORI APPRESI NELLA PERCEZIONE

L’APPROCCIO EMPIRISTA

L’APPROCCIO INNATISTA

LA PERCEZIONE DEL NEONATO

LA TEORIA DI HEBB

IL PROBLEMA DELLA INFLUENZA DEI BISOGNI, MOTIVAZIONI, STATI EMOTIVI, ATTEGGIAMENTI E DELLA PERSONALITA’ NELLA PERCEZIONE

I BISOGNI ORGANICI TENDONO A DETERMINARE CIO’ CHE E’ PERCEPITO

L’EFFETTO DI RICOMPENSE E PUNIZIONI SU CIO’ CHE E’ PERCEPITO

IL VALORE INDIVIDUALE DEGLI OGGETTI INFLUISCE SULLA VELOCITA’ DI RICONOSCIMENTO

IL VALORE DELL’OGGETTO INFLUISCE SULLA GRANDEZZA PERCEPITA

LE DIFFERENZE INDIVIDUALI O LA PERSONALITA’ NELL’ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA

ANSIA E RIGIDITA’ PERCETTIVA

COGNITIVISMO E PERCEZIONE

Uno dei problemi classici della percezione visiva è riassumibile in questi termini: la nostra capacità di percepire i vari aspetti dell’ambiente è frutto dell’apprendimento od è, al contrario, innata? Si tratta dell’antico “problema innatismo-empirismo” (o “natura-educazione”) che è stato affrontato per la prima volta in modo sistematico, proprio in rapporto alla percezione, dai filosofi del diciassettesimo e diciottesimo secolo.

Gli innatisti (come Cartesio e Kant) sostenevano che l’uomo nasce già con questo tipo di capacità percettiva; gli empiristi (come Berkeley e Locke) ritenevano invece che l’uomo impara attraverso l’esperienza del mondo circostante la maniera di percepirlo.

Questi due diversi indirizzi, col nascere della psicologia sperimentale, si sono poi trasferiti dal campo filosofico a quello più propriamente psicologico e scientifico, facendo sempre sentire la loro influenza nella ricerca e nella discussione dei risultati. La maggior parte degli psicologi contemporanei, tuttavia, sono convinti della possibilità di una feconda integrazione di questi due indirizzi.

Nessuno, oggi, dubita del fatto che la pratica e l’esperienza influenzano la percezione. L’esempio della Fig. 1a è abbastanza dimostrativo: si tratta di una figura ambigua, ma il modo in cui viene interpretata e percepita (una vecchia od una giovarle donna) è chiaramente influenzato dalla figura che abbiamo osservato in precedenza (Fig. 1b e Fig. 1c).

Senza questo tipo di esperienza, invece, la probabilità di percepire una vecchia è pressoché uguale a quello di percepire una giovane. A parte queste dimostrazioni particolari, comunque, rimane sempre il problema generale se noi nasciamo già dotati della capacità specifica di percepire gli oggetti e lo spazio o se, di contro, ciò è interamente frutto dell’apprendimento. Esperimenti, che certamente dimostrano una certa quota di propensione innata nei risultati percettivi, sono quelli di Fantz e della Gibson (vedi qui).

Un esempio significativo, comunque, di come empiristi ed innatisti affrontano il problema del perché si percepisce in una determinata maniera, lo abbiamo nell’apparente discrepanza tra quello che è lo stimolo prossimale e quello che in realtà vediamo. Qui consideriamo la grandezza percepita: un uomo lontano 5 metri, e che quindi proietta sulla retina (stimolo prossimale) una immagine abbastanza estesa, viene percepito alto esattamente come un uomo lontano 50 metri, e che proietta sulla retina un’immagine piuttosto ridotta.

                              Figura 1   a)             Figura 1   b)              Figura 1  c)

Fig. 1 — a) Questa illustrazione è stata chiamata da Boring “la giovane e la suocera”: essendo, infatti, ambigua vi si può vedere sia l’una che l’altra delle due figure. La nostra prima interpretazione, però, varia a seconda di quanto abbiamo percepito in precedenza (v. Fig. b) e c). – b) L’illustrazione, modificata dalla Fig. a), rappresenta chiaramente una vecchia. Facendola osservare ad un soggetto e mostrandogli, subito dopo, l’illustrazione ambigua della Fig. a), questo tenderà a vedervi una vecchia. – c) L’illustrazione è una diversa modificazione della Fig. 1 a) e rappresenta chiaramente una giovane. Facendola osservare ad un soggetto, diverso da quello impiegato per la prova della Fig. 1 b) e mostrandogli poi l’illustrazione ambigua della Fig. 1 a) questo tenderà a vedervi una giovane.

http://www.parodos.it/anapliromatica/percezione/index.htm

 

regola di Hebb

Modello formale di apprendimento elaborato dallo psicologo americano Donald O. Hebb negli anni Quaranta del secolo scorso, per cui l’apprendimento è spiegabile secondo tre ipotesi, ciascuna delle quali ha col tempo ricevuto adeguate conferme sperimentali. La prima ipotesi è che i neuroni corticali rafforzino le loro connessioni quando risultano con frequenza attivi contemporaneamente. Questo principio di apprendimento associativo sembra essere valido per la maggioranza dei neuroni corticali; a esso si fa comunemente riferimento, appunto, come regola di Hebb. La seconda ipotesi è che la corteccia sia un’enorme memoria associativa in cui il rafforzamento delle sinapsi abbia luogo non solo tra neuroni vicini, ma anche tra neuroni in aree corticali distanti. Questa seconda ipotesi trae sostegno dagli studi neuroanatomici che evidenziano percorsi cortico – corticali tra molte aree della corteccia. Secondo la terza ipotesi, la contemporanea e frequente attivazione di un gruppo di neuroni che dà luogo al rafforzamento sinaptico ha conseguenze funzionali importanti. I neuroni fortemente connessi probabilmente agiscono insieme, come un’unità funzionale. Se vengono attivati solo alcuni dei neuroni, si attiverà l’intero gruppo, a causa delle forti connessioni tra i membri del gruppo stesso. Se l’insieme è attivo, i suoi neuroni sono attivi simultaneamente, o mostrano, per es., schemi di funzionamento sincronizzati in modo preciso, quando l’attività neuronale si diffonde nell’insieme. Gli insiemi hebbiani di cellule si possono definire come unità funzionali composte da molti neuroni che si formano in una rete associativa, la corteccia, come risultato di una frequente attività neuronale simultanea che causa un rafforzamento sinaptico. Negli ultimi anni, l’idea hebbiana di insiemi distribuiti con topografie corticali definite è stata incorporata nelle teorie neuronali a grande scala del linguaggio e di altre funzioni cognitive. (*)

Reti neurali e vita artificiale

http://www.treccani.it/enciclopedia/regola-di-hebb_%28Enciclopedia_della_Scienza_e_della_Tecnica%29/



Richard P. Feynman, premio Nobel per la fisica nel 1965, è stato uno dei maggiori fisici teorici del XX secolo. La sua vita, lungi dal rimanere confinata entro i limiti dell’impegno strettamente scientifico, ci si presenta in questo libro come un’esplosiva miscela di eventi incredibili resi possibili da quell’impasto del tutto unico di acuta intelligenza, curiosità irrefrenabile, costante scetticismo e radicato umorismo che è stato l’uomo Feynman. è davvero straordinario poter ritrovare nella stessa persona un tal numero di esperienze diverse e talora contraddittorie.Egli ha, di volta in volta, scassinato le più sicure casseforti di Los Alamos, dove si custodivano i segreti della bomba atomica, suonato la frigideira in una scuola di samba brasiliana, illustrato la fisica a “menti mostruose” come Einstein, von Neumann e Pauli, e lavorato come suonatore di bongos con una coreografa di successo, per tacere poi della sua attività di pittore, o di biologo, o di frequentatore di case da gioco. Per dare un’idea dell’unicità del personaggio, basta pensare che il futuro premio Nobel venne scartato dall’esercito americana perché “psichicamente deficiente”. Per anni le conversazione di Richard “Dick” Feynman con l’amico musicista Ralph Leighton sono state registrate e poi trascritte senza alterarne il tono confidenziale: un tributo a un grandissimo scienziato ma prima di tutto a un uomo per il quale la vita è davvero stata un instancabile susseguirsi di ricerca e scoperta.

http://www.ibs.it/code/9788808066275/feynman-richard-p-/laquo;sta-scherzando-feynman.html

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