Guerra energetica

Guerra energetica: la Russia apre il fronte sud-orientale

Scritto da Matteo Cazzulani
martedì 03 gennaio 2012
Oggi Sofia e Kyiv, domani Chisinau, ed entro la fine dell’anno l’intera Europa Centro-Orientale. Questi gli obiettivi che la Russia ha posto in cima alla politica energetica del 2012: una partita a scacchi da cui dipende l’autonomia energetica dell’Europa, e l’indipendenza politica di molti stati del Vecchio Continente da un diktat del Cremlino che appare sempre più inevitabile. Negli ultimi giorni del Dicembre 2010 ha avuto luogo la rottura tra Bulgaria e Russia in seguito all’uscita di Sofia dall’oleodotto Burgas-Aleksandrupolis: infrastruttura di 282 chilometri – compartecipata al 50% dalle compagnie russe Transneft, Rosneft, e Gazprom Neft, al 24,5% dalle greche Hellenic Petroleum e Thraki, all’altro 24,5% dalle bulgare Bulgargaz e Technoexportstroy, e dal restante 1% dal governo ellenico – progettata per trasportare nafta dal Mar Nero al Mar Egeo, saltando lo stretto del Bosforo e, così, penalizzare la Turchia.Secondo quanto dichiarato dal Premier bulgaro, Bojko Borysov, il progetto, concordato nel 2007, non risponde più agli interessi nazionali della Bulgaria. Dal Maggio 2010, Sofia è impegnata nella sostituzione della Russia come unico partner energetico mediante accordi bilaterali con il governo turco e la messa in comunicazione delle proprie condutture con quelle della Romania: come previsto dal Terzo Pacchetto Energetico dell’Unione Europea. Una posizione che ha provocato l’immediata reazione di Mosca, con il Ministro dell’Energia russo, Sergej Shmatko, pronto a richiedere a Sofia il pagamento delle spese pattuite e di un forte indennizzo. “Posso assicurare al Signor Shmatko che dalle casse bulgare non uscirà mai alcun Lev [la moneta bulgara, n.d.a.] per l’oleodotto Burgas-Aleksandrupolis” gli ha risposto Borysov. Secondo diversi esperti, una reazione della Russia all’insubordinazione della Bulgaria è probabile già nei primi mesi del 2012: in un inverno che rischia di tramutare i miti Balcani orientali in un rovente fronte energetico.Alta la tensione anche tra Russia ed Ucraina, in cui, tuttavia, il gioco per i russi è decisamente più facile. Kyiv ha richiesto la revisione al ribasso dei contratti per il gas, ed è arrivata addirittura a minacciare Mosca di ricorrere all’arbitrato internazionale se lo sconto non sarà ottenuto in tempi brevi. In risposta, la parte russa è rimasta ferma sulle proprie condizioni: cessione parziale, o totale, dei gasdotti ucraini al monopolista russo, Gazprom, uscita dell’Ucraina dalla Comunità Energetica Europea – CEnE -, e rinuncia all’applicazione del Terzo Pacchetto Energetico UE – che impedisce a Gazprom di gestire infrastrutture energetiche sul suolo dei Paesi che aderiscono alla CEnE -. Le richieste del Cremlino sono inaccettabili per le autorità Ucraine: chiuse con pochi pedoni a limitata possibilità di spostamento in uno scacchiere dominato dagli alfieri di Mosca. Dopo avere concesso il prolungamento della permanenza dell’esercito russo in Crimea in cambio di uno sconto sul gas mai ottenuto, il Presidente ucraino, Viktor Janukovych, non può nemmeno più contare sull’appoggio dell’Unione Europea, con cui i rapporti si sono congelati in seguito all’ondata di repressioni politiche a danno dell’Opposizione Democratica. Bruxelles è stata costretta persino alla sospensione di ogni progetto di integrazione di Kyiv per evidente deficit di democrazia.Infine, aperta la questione anche con la Moldova: altro Paese non-UE inserito nella Comunità Energetica Europea con cui la Russia è chiamata alla revisione del contratto per l’esportazione di gas. Le trattative, durate tutto Dicembre, sono state sospese per mancato accordo, ed il contratto attuale – che rende Chisinau dipendente dal gas di Mosca per circa il 90% – prolungato fino alla chiusura dei negoziati. Secondo indiscrezioni, anche alla parte moldava i russi avrebbero richiesto l’uscita dalla CEnE: un passo politico che, se compiuto, lederebbe i piani di strategia energetica comune tra l’Unione Europea ed i Paesi dell’Europa Orientale.Il Gasdotto da evitare

Come rilevato da autorevoli studi, la Russia punta alla capitolazione di Bulgaria, Ucraina, e Moldova per evitare la costruzione del Southstream: gasdotto sottomarino, compartecipato dal colosso italiano ENI, dalle compagnie tedesca e   francese Wintershall ed EDF, dalla greca DEPA e da quelle nazionali di Serbia, Macedonia, e Slovenia, per bypassare Paesi politicamente invisi al Cremlino – come Polonia, Romania, e, per l’appunto, Ucraina e Moldova – e contrastare i tentativi della Commissione Europea di importare gas centro-asiatico senza transitare per il territorio russo.

Noto anche come Gasdotto Ortodosso, l’infrastruttura è progettata per il 2012 secondo un percorso intricato e, per questo, costoso. Dalle rive russe sul Mar Nero la conduttura arriverà nella penisola balcanica, da cui un ramo sarà diretto in Grecia ed Italia meridionale, ed un’altro verso Macedonia, Serbia, Slovenia, fino all’Italia settentrionale. Secondo indiscrezioni, sarebbe stato progettato un terminale nella Pianura Padana.

 

http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=33622&Itemid=28

 

U.S. set to overtake Saudi Arabia as world’s biggest oil producer following boom in output:

Gli Stati Uniti saranno i più grandi produttori di petrolio al mondo?

  • U.S. production to rise 7 per cent this year to nearly 11 million barrels a day
  • Could reach 11.4 million barrels a day in 2013 – rivalling Saudi oil output
  • Boom caused by high oil prices and new drilling techniques

By Sam Adams and David Gardner

PUBLISHED: 13:01 GMT, 24 October 2012 |

 

A US oil boom is set to push America past Saudi Arabia to become the world’s top producer.

Driven by high prices and new drilling methods, the US production of crude oil is on track for the biggest single-year gain for more than 60 years.

Analysts claimed yesterday that, if the growth in domestic drilling continues, America will soon overtake Russia and Saudi Arabia – and possibly become ‘the new Middle East’ in another decade. The boom has surprised even the experts.

Scroll down for video

On the up: The U.S. is set to become the world’s biggest oil producer following a recent boom in output

‘Five years ago, if I or anyone had predicted today’s production growth, people would have thought we were crazy,’ said Jim Burkhard, head of oil markets research at US energy consulting firm IHS CERA.

Production is expected to rise by 7 per cent to hit an average of 10.9million barrels a day this year. Energy Department officials say it will average 11.4million next year, just below the current Saudi output of 11.6million.

This will be the fourth straight year of crude increases and the biggest single-year gain since 1951.

And Citibank forecasts it could reach 13million to 15million barrels per day by 2020.

But it has not led to cheaper petrol. Prices are expected to stay relatively high for the next few years because of growing demand in developing nations and political instability in the Middle East and North Africa.

The last year the US was the world’s largest producer was 2002, after the Saudis drastically cut production because of low oil prices in the aftermath of 9/11.

U.S. set to overtake Saudi Arabia as world’s biggest oil producer following boom in output

  • U.S. production to rise 7 per cent this year to nearly 11 million barrels a day
  • Could reach 11.4 million barrels a day in 2013 – rivalling Saudi oil output
  • Boom caused by high oil prices and new drilling techniques

By Sam Adams and David Gardner

PUBLISHED: 13:01 GMT, 24 October 2012 | UPDATED: 23:15 GMT, 24 October 2012

 

A US oil boom is set to push America past Saudi Arabia to become the world’s top producer.

Driven by high prices and new drilling methods, the US production of crude oil is on track for the biggest single-year gain for more than 60 years.

Analysts claimed yesterday that, if the growth in domestic drilling continues, America will soon overtake Russia and Saudi Arabia – and possibly become ‘the new Middle East’ in another decade. The boom has surprised even the experts.

Scroll down for video

On the up: The U.S. is set to become the world’s biggest oil producer following a recent boom in output

‘Five years ago, if I or anyone had predicted today’s production growth, people would have thought we were crazy,’ said Jim Burkhard, head of oil markets research at US energy consulting firm IHS CERA.

Production is expected to rise by 7 per cent to hit an average of 10.9million barrels a day this year. Energy Department officials say it will average 11.4million next year, just below the current Saudi output of 11.6million.
This will be the fourth straight year of crude increases and the biggest single-year gain since 1951.

And Citibank forecasts it could reach 13million to 15million barrels per day by 2020.

But it has not led to cheaper petrol. Prices are expected to stay relatively high for the next few years because of growing demand in developing nations and political instability in the Middle East and North Africa.

The last year the US was the world’s largest producer was 2002, after the Saudis drastically cut production because of low oil prices in the aftermath of 9/11.

Cost: The oil boom is, however, not expected to ease the cost of gasoline for hard-pressed U.S. motorists

Boom: US oil production has increased for four years in a row and is expected to rise to 11.4 million barrels a day in 2013. On current trends it could soon overtake Saudi Arabia’s output

Since then, the Saudis and the Russians have been the world leaders.

Americans currently use around 18.7 million barrels per day – but thanks to the growth in domestic production and the improving fuel efficiency of the nation’s cars and trucks, imports could fall by half by the end of the decade.

The increase in production has not translated to cheaper gasoline at the pump, and prices are expected to stay relatively high for the next few years because of growing demand for oil in developing nations and political instability in the Middle East and North Africa.

Still, producing more oil domestically, and importing less, gives the economy a significant boost.

Increased drilling is driving economic growth in states such as North Dakota, Oklahoma, Wyoming, Montana and Texas, all of which have unemployment rates far below the national average.

‘It’s the most important change to the economy since the advent of personal computers pushed up productivity in the 1990s’

– Philip Verleger, Peterson Institute of International Economics

Businesses that serve the oil industry, such as steel companies that supply drilling pipe and railroads that transport oil, are not the only ones benefiting from the boom in production.

Homebuilders, auto dealers and retailers in energy-producing states are also getting a lift.

The oil and gas drilling boom, which already supports 1.7 million jobs, is expected to lead to the creation of 1.3 million jobs across the U.S. economy by the end of the decade.

‘It’s the most important change to the economy since the advent of personal computers pushed up productivity in the 1990s,’ says economist Philip Verleger, a visiting fellow at the Peterson Institute of International Economics.

The major factor driving domestic production higher is a new found ability to squeeze oil out of rock once thought too difficult and expensive to tap.

Engineers have learned how to drill horizontally into long, thin seams of shale and other rock that holds oil, instead of searching for rare underground pools of hydrocarbons that have accumulated over millions of years.

Competition: Saudi Arabia and Russia have led world oil production in recent years (file picture)

To free the oil and gas from the rock, drillers crack it open by pumping water, sand and chemicals into the ground at high pressure, in a process known as hydraulic fracturing, or ‘fracking.’

The US oil boom has also been influenced by a long period of high oil prices and the recovery of production in the Gulf of Mexico following the 2010 BP well disaster and oil spill.

The most prolific of the new shale formations are in North Dakota and Texas. Activity is also rising in Oklahoma, Colorado, Ohio and other states.

Production from shale formations is expected to grow from 1.6 million barrels per day this year to 4.2 million barrels per day by 2020.

That means these new formations will yield more oil by 2020 than major oil suppliers such as Iran and Canada produce today.

From 1986 to 2008, crude production in the US fell every year but one – dropping by 44 percent over that period. The United States imported nearly 60 percent of the oil it burned in 2006.

By the end of this year, US crude output will be at its highest level since 1998 and oil imports will be lower than at any time since 1992, at 41 percent of consumption.

Whether the US supplants Saudi Arabia as the world’s biggest producer will depend on the price of oil and Saudi production in the years ahead.

VIDEO: See how the US Dept of Energy is backing biofuel research:

Read more: http://www.dailymail.co.uk/news/article-2222413/US-set-overtake-Saudi-Arabia-worlds-biggest-oil-producer-following-boom-output.html#ixzz2HBXODYzl 

Petrolio: Al via esplorazioni nell’Artico per Islanda e Norvegia

Le stime parlando di una produzione tra i 250 e i 500 milioni di barili di petrolio e di circa 100 miliardi di metri cubi di gas

di red – 04 gennaio 2013 17:23

È stato firmato lo scorso venerdì Reykjavik l’intesa bilaterale tra Islanda e Norvegia per l’avvio di ricerche petrolifere nell’Artico. Il governo islandese ha in mente, infatti, di sfruttare gli enormi giacimenti di idrocarburi nei fondali marini che si trovano nelle due licenze esplorative che si è aggiudicata vicino l’isola norvegese Jan Mayen. Si tratta di una importante apertura anche per sollevare l’economia dell’isola dopo la pesante crisi finanziaria che ha colpito Reykjavik nel 2008. A partecipare alla campagna esplorativa sarà la compagnia di Stato norvegese Petoro che avrà uno stake del 25 per cento in entrambe le aree in concessione. Secondo le stime del Norwegian Petroleum Directorate le due zone di concessione potrebbe portare a una produzione tra i 250 e i 500 milioni di barili di petrolio e di circa 100 miliardi di metri cubi di gas.

http://www.ilvelino.it/it/article/petrolio-al-via-esplorazioni-nellartico-per-islanda-e-norvegia/d0778044-1f12-41fa-bac3-e9fbe5134b48

videocarta: Il semifreddo Artico che Ha riscaldato OSLO più collage articoli artici

pubblicato il 24 luglio 2011
NTNN) – Gli otto Paesi membri del Consiglio Artico (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Svezia) hanno firmato, per la prima volta nella storia, un trattato di cooperazione condiviso che riguarda la responsabilità delle ricerche e dei soccorsi aerei e marini. Il documento, approvato ieri nella capitale della Groenlandia, Nuuk, contiene una mappa delle aree di competenza delle singole protezioni civili nazionali. Vladimir Titov, viceministro degli Esteri russo, lo ha definito “il primo documento pan-artico della storia”. Fino a ieri erano stati raggiunti soltanto accordi bilaterali o trilaterali, naufragati sulle spinose questioni relative alla sovranità fuori dalle acque territoriali. Il Consiglio ha discusso anche la possibilità di ammettere come osservatori permanenti Stati non artici quali la Cina, l’Italia, il Giappone, la Corea del sud, e la Commissione europea.
Dietro il raggiungimento dell’accordo si può scorgere l’inizio di una vera e propria spartizione del territorio artico. I dati dell’Osservatorio geologico degli Stati Uniti parlano di 90 miliardi di barili di petrolio, 47mila miliardi di metri cubi di gas e grandi giacimenti di gas liquefatto custoditi sotto al mare. Un vero e proprio tesoro per i Paesi industrializzati. Alcuni dispacci pubblicati da WikiLeaks mostrano come le autorità statunitensi siano seriamente interessate a queste risorse naturali, soprattutto per rafforzare la propria superiorità politica ed economica. La Russia, che possiede la parte più grande di costa artica, ha già compiuto diverse missioni esplorative reclamando la sovranità su alcune porzioni di territorio. Nel 2007 ha piantato la propria bandiera sotto il Polo Nord e ha aperto, la scorsa estate, una rotta per il trasporto di gas e petrolio verso i mercati asiatici. L’idea di una guerra per l’Artico è stata allontanata da Vladimir Putin che, nel settembre scorso, ha affermato “che qualunque problema potrà essere risolto in futuro grazie allo spirito di partnership, al tavolo delle trattative e in base alle norme internazionali e al diritto”.
Gli interessi economici ed energetici verso la regione artica incrociano la questione del cambiamento climatico rovesciandone i termini. Secondo un recente studio internazionale, l’Oceano Artico potrebbe rimanere privo di ghiacciai entro trenta o quaranta anni. Lo scioglimento dei ghiacci, provocato dalla combustione degli idrocarburi, è però il più grande alleato dei Paesi industrializzati perchè rende facilmente accessibili le risorse energetiche nascoste e modifica le rotte commerciali tra Atlantico e Pacifico. Il paradosso di questa situazione è stato sottolineato dall’attivista di Greenpeace Ben Ayliffe: “Invece di guardare allo scioglimento dei ghiacci come a un problema da affrontare, figlio del cambiamento climatico, i leader delle Nazioni artiche stanno investendo in attrezzature militari per combattere per il petrolio che c’è sotto. Si stanno preparando a estrarre quegli stessi combustibili fossili che sono la causa prima dello scioglimento dei ghiacci. È come gettare benzina sul fuoco”. (NTNN)

La strategia di Putin prevede lo sfruttamento delle immense riserve energetiche della Siberia, lo sviluppo di forti alleanze commerciali tra i grandi paesi, Cina compresa, l’investimento di grandi capitali e la ripartizione dei rischi tra paesi produttori e consumatori, l’adeguamento degli attuali prezzi politici a quelli di mercato, il controllo del sistema dei gasdotti e degli oleodotti di tutti i paesi della vecchia Unione Sovietica.
La Russia, infatti, è oggi con il 26,7% il primo produttore mondiale di gas e prevede di quintuplicare nell’arco di venti anni le sue riserve accertate. Per quanto riguarda il greggio, la cui produzione oggi è di 555 milioni di tonnellate, pari al 14,3 % del totale mondiale, si prevede, secondo stime OCSE (Organizzazione per l’Economia la Co-operazione e lo Sviluppo Economico), che raggiungerà la soglia degli 800 milioni di tonnellate nel 2020 pari al 20 % dell’attuale produzione mondiale. Da questi dati si evince che la possibilità della Russia nel settore del petrolio greggio sia minore rispetto a quello del gas naturale.
Mosca persegue una politica energetica di dimensioni planetarie, stringe patti di alleanza commerciale e prende impegni di investimenti strutturali, guardando sia ad Occidente che a Oriente. La Gazprom, la società fornitrice di gas a partecipazione statale, che opera in regime di monopolio è la pedina più importante e oggi si colloca al terzo posto, dopo Exxon Mobil e General Electric, con 300 miliardi di dollari di capitalizzazione e ha superato la Mircosoft, la cui capitalizzazione è di 280 miliardi.
Vladimir Putin, che nel prossimo luglio presiederà per la prima volta il vertice del G8 a San Pietroburgo, intende giocare un ruolo di primo piano nella politica energetica mondiale e per spingere l’Europa e gli Stati Uniti ad investire nei gasdotti, negli oleodotti e nello sviluppo dei giacimenti in Siberia e nell’Artico.
http://economia.tesionline.it/economia/articolo.jsp?id=883

William F. Warren , scrittore e studioso americano, primo rettore della Boston University, individuava, in un suo libro del 1885, nel Polo Nord la sede dei giardini dell’Eden, ossia il Paradiso terrestre. La vasta regione che circonda il Polo, l’Artide, non è in realtà mai stata sotto il dominio politico di alcuna nazione, a causa delle condizioni climatiche non adatte all’uomo, che si è finora limitato a condurre esperimenti e attività militari, soprattutto durante la guerra fredda.
Pur lontano dagli occhi e da molti cuori, l’Artico ha grande valore strategico ed economico per i paesi che vi si affacciano, cioè Stati Uniti, Canada, Russia, Danimarca e Norvegia, i quali dispongono già di una zona economica esclusiva entro 370 chilometri dalle loro coste (Figura 1). Tuttavia ogni stato ha la possibilità di estendere i suoi diritti di sfruttamento, se dimostra che la sua piattaforma continentale va oltre gli attuali limiti.
A tale scopo, la Russia ha inviato lo scorso anno una missione scientifica ufficiale nel Mar Glaciale Artico che, dopo aver percorso per circa due mesi la dorsale Lomonosov (la catena montuosa sottomarina che taglia l’Artico a metà dalla Siberia  alla Groenlandia) conducendo rilievi e sondaggi, ha piantato la sua bandiera a 4200 metri sotto il Polo, nella convinzione che questo sia collegato alla sua piattaforma continentale (Figura 2).

Le reazioni, ovviamente, non si sono fatte attendere. La Danimarca, sotto la cui sovranità rientra la Groenlandia, la più grande isola al mondo, ha risposto con una analoga missione. Il Canada ha annunciato la costruzione di due nuove basi navali a difesa dei suoi confini, deridendo i Russi per i metodi adottati e definendoli adatti al XV secolo. Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno già aperto una disputa con Il Canada stesso per il futuro del celebre e finora inaccessibile Passaggio a nord-ovest, che presto potrebbe diventare una nuova rotta di navigazione tra Atlantico e Pacifico, in considerazione dello scioglimento della banchisa polare dovuto all’innalzamento delle temperature.

Le ragioni di questa nuova possibile guerra (molto) fredda sono legate alla presenza dei tesori nascosti sotto i ghiacci: i russi sostengono di aver individuato riserve petrolifere per oltre cento miliardi di tonnellate, ma il totale secondo alcuni scienziati potrebbe raggiungere il 25% delle intere riserve mondiali; i giacimenti di gas sarebbero immensi e altrettanto vasta sarebbe la gamma dei metalli presenti nel sottosuolo (diamanti, oro, platino, nickel e così via). Il temuto riscaldamento globale pare dunque aprire interessanti opportunità economiche. L’area coperta dai ghiacci artici ha raggiunto i livelli minimi (Figura 3)da quando 30 anni fa iniziarono i rilevamenti attraverso i satelliti, con una diminuzione  a velocità superiori a ogni previsione, dato che l’ecosistema artico è particolarmente sensibile agli innalzamenti delle temperature. Allo stesso tempo, la sua complessità fa sì che altri parametri biologici e atmosferici si stiano stabilizzando o siano addirittura tornati nella norma.
La scomparsa di un simbolo come il passaggio a nord-ovest, dove generazioni di esploratori si spinsero all’avventura invano e che anche in tempi più recenti è stato percorribile solo da navi rompighiaccio, e la prospettiva che fra qualche anno possa essere una rotta comune per le petroliere, pongono questioni a cui è difficile oggi dare risposte soddisfacenti

http://www.quadrantefuturo.it/appunti/terra/i-colori-del-ghiaccio.aspx

Negli ultimi decenni il Polo Nord è diventato oggetto di una crescente attenzione da parte della Comunità Internazionale, in ragione delle rilevanti ricchezze naturali che hanno attirato gli interessi di diversi stati. L’Artico ha iniziato quindi ad essere soggetto ad una costante militarizzazione conseguente alla corsa per la sua conquista. Nell’ultimo anno, i principali paesi che si affacciano nel circolo polare hanno annunciato l’avvio di una considerevole espansione del loro potenziale militare nel Polo. Anche il nuovo Segretario Generale della NATO, Andres Fogh Rasmussen, ha dichiarato, a settembre, la sua intenzione di aumentare il ruolo dell’Alleanza nella regione.
Si sciolgono i ghiacci, riemergono i “tesori”. E’ chiaro che gli Stati artici desiderano estendere la loro sovranità a queste acque contese viste le nuove ricchezze che il riscaldamento globale sta facendo scoprire. Prima di tutto lo scioglimento dei ghiacci permetterà la nascita di nuove ed efficienti rotte commerciali. La distanza da Shanghai al New Jersey, per esempio, sarà più veloce da percorrere rispetto a quella che passa attraverso il Canale di Panama. Si tratterebbe di nuove rotte che limiterebbero il traffico del Canale di Suez, di Panama e dello Stretto di Malacca ed eviterebbero inoltre di attraversare regioni politicamente instabili come quelle mediorientali, scongiurando i possibili attacchi dei pirati del Corno d’Africa. Ma l’Artico è soprattutto ricco di risorse naturali. La regione possiede circa il 13% del petrolio e il 30% dei gas naturali ancora non scoperti. Oltre alle risorse energetiche, è anche una grande fonte di pesce e di metalli preziosi. Inoltre, gli invertebrati che vivono nel Polo Nord rappresentano preziose risorse per il settore chimico e farmaceutico essendo utilizzati per la produzione di analgesici e altri tipi di medicine.
Nuove ricchezze, nuovi conflitti. La scoperta di nuovi tesori comporta l’inizio di nuove dispute. Le ricchezze dell’Artico lo hanno reso terra di conquista e per farlo, i cinque stati costieri del Mar Glaciale Artico (Stati Uniti, Canada, Norvegia, Danimarca tramite la Groenlandia e Russia) con la Dichiarazione di Ilulissat del 2008, hanno deciso di escludere la necessità dell’elaborazione di un regime ad hoc per l’Artico e di applicare le disposizioni di Diritto Internazionale, in modo particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. Con questa soluzione è possibile applicare gli istituti della piattaforma continentale e della zona economica esclusiva che comportano l’estensione della propria sfera di sovranità, permettendo lo sfruttamento delle risorse naturali. Non sono mancati casi di sovrapposizione delle pretese, come nel caso della Russia e della Norvegia che si sono rivolte alle Nazioni Unite per ottenere l’accertamento della fondatezza delle loro rivendicazioni sul margine esterno della piattaforma. I due Stati sono riusciti a risolvere la loro disputa nel mese di settembre di quest’anno, trovando un accordo per lo sfruttamento delle risorse energetiche nell’Artico. L’accordo riguarda un territorio che si estende su una superficie di oltre 175mila kmq nel mare di Barents. Ma contrasti persistono tra Russia e Canada che si contendono la dorsale diLomonosov (una catena montuosa sottomarina), considerandola entrambi il prolungamento naturale delle rispettive placche continentali. La Russia si era rivolta alle Nazioni Unite già nel 2001 per far prevalere le proprie pretese e nel 2007 aveva compiuto un eclatante atto dimostrativo attraverso la spedizione di due sottomarini che avevano piantato la bandiera russa ad oltre 4.200 metri di profondità in un punto della dorsale contesa. Sia Canada che Russia continuano ad inviare spedizioni esplorative condotte da geologi ed esperti per ottenere nuove documentazioni da sottoporre all’ONU. Il vincitore otterrà il diritto di sfruttare una superficie di oltre un milione di kmq ricca di gas, petrolio e altre risorse naturali.
La rottura degli equilibri politici e l’intervento della NATO. Lo scioglimento dei ghiacci comporta anche la rottura degli equilibri tra i Paesi dell’Artico. La preoccupazione che una simile situazione possa portare ad un conflitto è effettiva ed è stata espressa dalla NATO nel Programma Scienza per la Pace e la Sicurezza che ha condotto, nell’autunno di quest’anno, ad un incontro sui problemi di sicurezza internazionale legati al cambiamento climatico. La Federazione Russa ha grandi progetti riguardanti l’Artico, tra questi anche la costruzione di una stazione nucleare galleggiante per l’estrazione del petrolio. Il timore che questi progetti possano essere ostacolati, ha spinto questo Paese a far conoscere, tramite il ministro degli Affari Esteri, Sergey Lavrov, il proprio disaccordo circa “l’intromissione” della NATO nella soluzione della controversia per la spartizione dell’Artico. La crescente tensione è anche dimostrata dai continui test militari condotti dalla marina militare russa che il 5 dicembre ha provato, con successo, il missile balistico intercontinentale Bulava lanciato dal nuovo sottomarino “Yury Dolgoruky”.
I rischi ambientali. I rischi ambientali sono concreti. Il surriscaldamento globale è causa di notevoli problemi per l’ecosistema artico. Ad essi si aggiungeranno quelli di un prossimo ed intenso sviluppo del turismo. Attualmente però le preoccupazioni delle organizzazioni ambientaliste si concentrano sullo sfruttamento del petrolio ed i possibili incidenti che potrebbero verificarsi. Se nell’Artico si ripetesse un disastro come quello della “marea nera” che lo scorso anno ha colpito il Golfo del Messico, significherebbe la sua completa distruzione. Grande attenzione è rivolta anche nei confronti delle navi che trasportano materiale nucleare. Queste, partendo dalla Polonia e dirette verso il porto russo di Murmansk, devono affrontare le ostilità del Mare Artico che aumentano notevolmente i rischi di naufragio.
La delicatezza del particolare ecosistema del Polo Nord dovrebbe essere tenuta sempre in considerazione dalle compagnie petrolifere e dalle nazioni del circolo Artico. Questa volta è assolutamente necessario dare la priorità al rispetto dell’ambiente sugli interessi economici.
http://www.dirittodicritica.com/2011/01/04/in-guerra-per-lartico/
Lo scioglimento costante dei ghiacci, oltre a sollevare questioni di carattere ambientale e climatico, ha innescato una vera e propria corsa per la conquista dell’ Artico. Secondo una valutazione dell’ U.S. Geological Survey, agenzia scientifica del Governo degli Stati Uniti, nelle 33 province geologiche che compongono la regione sarebbero presenti 90 miliardi di barili di petrolio e circa 47.3 triliardi di metri cubi di gas. Altri 44 miliardi di barili di fluidi gassosi potrebbero trovarsi nel sottosuolo. In pratica, un quarto dei giacimenti di idrocarburi nel mondo, sino ad oggi completamente inaccessibili a causa delle enormi masse di ghiaccio che ne impediscono l’ estrazione. I cambiamenti climatici, inoltre, potrebbero aprire anche nuove rotte di trasporti merce via mare, rendendo navigabile il passaggio a Nord-Ovest (Pno), una rotta di navigazione che, passando attraverso l’ arcipelago artico canadese e proseguendo attraverso lo Stretto di Bering, collega l’ Oceano Atlantico all’ Oceano Pacifico con un vantaggio di 6 o 7 giorni rispetto al canale di Panama, e riduce di migliaia di chilometri il passaggio dal Giappone all’ Europa.

Tutti questi elementi hanno reso la regione uno dei punti pi caldi del globo, scatenando una vera e propria gara tra le nazioni subartiche, cio Canada, Norvegia, Russia, Stati Uniti, Danimarca (per via della Groenlandia, sua provincia autonoma). Il terreno del contendere e’ quello della sovranita’ sulle risorse in questione ed i diritti di proprieta’ dei singoli Stati, non risolti dalle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. Tale Convenzione consente ai paesi con uno sbocco sul mare di estendere i loro diritti per lo sfruttamento delle risorse naturali, minerarie, energetiche e biologiche, dalle attuali 200 a 350 miglia, se e’ scientificamente provato che le 150 miglia aggiuntive rappresentino effettivamente “il prolungamento naturale della piattaforma continentale”. La sfida dunque e’ quella di poter dimostrare la fondatezza delle proprie pretese sull’ estensione piu’ ampia possibile.
Una delle questioni piu’ combattute e’ quella che riguarda la Dorsale Lomosonov, catena montuosa sottomarina, lunga 1.700 km, scoperta dai russi nel 1948 e da essi considerata un prolungamento della piattaforma continentale asiatica. Una prima missione di rivendicazione territoriale e’ stata compiuta nell’ agosto 2007, quando da un rompighiacci e’ stato calato un sommergibile che ha piantato una bandiera russa (vedi foto sotto), fabbricata in titanio, sul fondo, in corrispondenza del Polo Nord, a 4.300 metri di profondita’. La Danimarca si oppone e rivendica la Dorsale in esclusiva a se stessa, ritenendola un’ appendice subacquea della Groenlandia, che benche’ dotata di ampia autonomia e’ un possedimento danese. Entrambi sperano di dimostrare che l’ area costituisca un’ estensione della propria piattaforma territoriale. Per questi motivi, gli stati circumpolari hanno avviato le attivita’ di rilevamento, per arrivare ad una mappatura dei fondali e depositare le proprie rivendicazioni presso la Commissione delle Nazioni Unite sui Limiti della Piattaforma Continentale. A fine marzo 2009, il Consiglio russo per la sicurezza ha varato una nuova strategia, che stabilisce lo sviluppo delle risorse artiche come priorita’ per il 2020 ed ha annunciato la creazione di una forza speciale, provvista di basi militari lungo la costa settentrionale, e di una rete di intelligence.

Per il Canada, l’ Artico rimane una questione strategica fondamentale: Ottawa considera il Pno alla stregua di acque interne, rivendicate a titolo storico in nome dell’ uso fattone da parte delle popolazioni autoctone. Il governo canadese, nel 2007, aveva annunciato due progetti militari tesi a sostenere le rivendicazioni di sovranita’ nella regione: la costruzione di un centro di addestramento al combattimento in condizioni estreme a Resolute Bay, 600 km a sud del Polo Nord magnetico, e un porto d’ altura nel villaggio minerario abbandonato di Nanisivik, all’ estremo nord dell’ isola di Baffin, per il rifornimento ai vascelli di pattugliamento, costretti a rientrare nei porti base sulla costa atlantica o pacifica. A questo progetto si aggiungeva lo stanziamento di 3,1 miliardi di dollari canadesi (circa 2, 2 miliardi di euro) per la costruzione di 6-8 pattugliatori d’ altura di 5 classe. Nuovi attori tentano di inserirsi nella partita. La Cina nel 2008 ha ottenuto lo statuto di osservatore presso il Consiglio dell’ Artico; la Corea del Sud,importante potenza mercantile, guarda con interesse all’ apertura di potenziali rotte e si sta a sua volta muovendo per diventare osservatore; allo stesso ruolo ambisce il Giappone. Gli Stati Uniti hanno aggiornato la loro politica strategica con una direttiva presidenziale diramata lo scorso gennaio, definendosi “una nazione artica, con forti e variegati interessi nella regione, compresi ampi e fondamentali interessi di sicurezza nazionale”. La Nato ha auspicato la costituzione di una presenza militare permanente, mentre la Commissione Europea ha adottato nel novembre del 2008 la Comunicazione intitolata L’ Unione Europea e la Regione Artica, con la quale auspica la protezione dell’ Artico e della sua popolazione, l’ uso sostenibile delle sue risorse, e la governance multilaterale. La militarizzazione dell’ area ormai e’ un dato di fatto.
La corsa al miglior posizionamento strategico, l’ incertezza riguardo i diritti di proprieta’ dei singoli Stati e gli interessi convergenti, data la presenza di vaste risorse e opportunita’ economiche, rendono imprevedibili le condotte che ciascuno di essi potrebbe adottare all’ insorgere di eventuali conflitti. Nonostante il clima teso, e’ comunque doveroso sottolineare che la possibilita’ di fruizione concreta delle risorse energetiche sepolte sotto i ghiacciai, per ora, appare abbastanza virtuale. Secondo l’ U.S. Geological Survey, l’ 84% di tutte queste risorse si troverebbe in mare aperto, ed un sondaggio condotto tra il 2007 e il 2008 da Frederic Lasserre, professore di geografia all’ Universite’ Laval, ha mostrato che su 125 compagnie marittime di varie regioni, solamente 11 sarebbero effettivamente interessate a usare il Pno. Inoltre, i rischi ecologici sarebbero enormi. Infatti, come ha dimostrato l’ incidente della Exxon Valdez al largo delle coste dell’ Alaska nel 1989, l’ intervento per emergenze in acque con presenza di ghiaccio rimane estremamente difficoltoso. Un ruolo decisivo, per attenuare i rischi di un’ escalation militare senza ritorno, dovrebbe giocarlo il Consiglio Artico, tribunale internazionale fondato nel 1991, e centro di cooperazione intergovernativa che discute sui problemi dei governi Artici. Gli stati membri attualmente sono il Canada, la Danimarca, la Finlandia, l’ Islanda, la Norvegia, la Russia, la Svezia e gli USA. Il Consiglio sta portando avanti negoziati per prevenire ulteriori tensioni e stemperare quelle esistenti tra i vari attori internazionali, in attesa di una transazione che prima o poi si rendera’ necessaria.
Autore: Fortunato Caparra
Fonte: www.geopolitica.info
http://www.stefanocareddu.it/geopolitica/artico-una-nuova-guerra-fredda/

lunedì 9 maggio 2011

Nobel e Artico: la querelle tra Cina e Norvegia

Secondo AFP report, l’ambasciatore cinese in Norvegia Tang Guoqiang, qualche giorno fa aBergen, la seconda citta del Paese, ha chiesto che il governo norvegese chieda scusa per l’assegnazione del premio Nobel per la Pace al dissidente cinese Liu Xiaobo. La Cina afferma che il suo rapporto con la Norvegia migliorerà se il governo norvegese si scuserà.

Il governo norvegese ha nominato una commissione indipendente per selezionare i vincitori, e Liu è stato insignito del Nobel per la Pace nel 2010 “per la sua lunga e non violenta lotta per i diritti fondamentali dell’uomo in Cina”. Liu è imprigionato in Cina e le autorità cinesi lo considerano alla stregua di un comune criminale.

Le crescenti ambinzioni del Paese del dragone verso la regione artica hanno intensificato l’importanza di un rapporto di cooperazione tra Norvegia e Cina, la quale sta adoperandosi per poter contare di più nel dibattito sulle questioni artiche e ha chiesto lo status di osservatore permanente al Consiglio Artico. La Norvegia è uno stato membro nel consiglio, che è un forum intergovernativo per la cooperazione gli tra Stati artici.

In una conferenza in Cina nell’agosto del 2010, il ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Støre aveva espresso parere favorevole ad un posto per la Cina come stato osservatore permanente, andando ad  aggiungersi a Germania, Francia, Olanda, Polonia, Spagna e Gran Bretagna. La Norvegia sostiene la richiesta cinese e spera in un consenso con gli altristati membri delConsiglio artico (Arctic Council),  e si augura che la Cina continui a partecipare attivamente ai lavori del Consiglio nel suo stato attuale come”Ad-hoc Observer States“, al pari d’Italia, Giappone e Corea del sud.
In quella occasione, il ministro  Støre elogiò la Cina per le sue pionieristiche ricerche nell’Artico e parlò  dell’importanza della collaborazione tra ricercatori norvegesi e cinesi.

La Cina è interessata all’accesso nella regione durante la stagione in cui è libera dai ghiacci per le vaste risorse, tra cui petrolio e gas. Essa ha partecipato in qualità di “Ad-hoc Observer States“, nelleriunioni dell’ Arctic Councilnel 2007 e nel 2009, ma nessuna decisione è stata sinora presa sulla richiesta della Cina per lo status di osservatore permanente. Né permanente, né come osservatori ad hoc detengono diritto di voto nel consiglio, ma lo status di osservatore permanente farebbe aumentare la presenza della Cina nelle questioni artiche.

Lo scorso mercoledì il governo norvegese ha risposto all’ambasciatore cinese, riconoscendo la reazione delle autorità cinesi ‘al premio dato a Liu, ma le decisioni di aggiudicazione dei premi sono indipendenti dal governo norvegese.

The Ottawa Declaration“del 1996 ha formalmente istituito il Consiglio artico come un forum di alto livello intergovernativo per fornire un mezzo per promuovere la cooperazione, il coordinamento e l’interazione tra gli Stati Artici, con il coinvolgimento delle comunità indigene dell’Artico quali il Saami Council, Russian Arctic Indigenous Peoples of the North, the Inuit Circumpolar Council, Gwich’in council International, Aleut International Association and the Arctic Athabaskan Council

La dichiarazione di Ottawa ha nominato otto membri dell’Arctic Council: Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Federazione Russa, Svezia e Stati Uniti.  Il Consiglio artico ha condotto numerosi studi sui cambiamenti climatici, petrolio e gas, e spedizioni artiche.

http://ilprofessorechos.blogspot.com/2011/05/nobel-e-artico-la-querelle-tra-cina-e.html

http://controappunto.altervista.org/videocarta-il-semifreddo-artico-che-ha-riscaldato-oslo-piu-collage-articoli-artici/

Russia, Grecia Turchia : GAZPROMENADE

http://www.controappuntoblog.org/2012/05/08/russia-grecia-turchia-gazpromenade/

GAZPROM : Bulgaria E SLOVENIA SIGLANO ACCORDO PER SOUTH STREAM

http://www.controappuntoblog.org/2012/11/17/gazprom-bulgaria-e-slovenia-siglano-accordo-per-south-stream/

South Stream/ Oggi Putin sul Mar Nero inaugura lavori gasdotto

http://www.controappuntoblog.org/2012/12/07/south-stream-oggi-putin-sul-mar-nero-inaugura-lavori-gasdotto/


Stoccolma, camion sulla folla e post su competizione risorse artico …

gli INUIT come erano e come sono | controappuntoblog.org

la geopolitica dell’Artico n. 124 gennaio 2017

http://www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/repository/affariinternazionali/osservatorio/approfondimenti/PI0124App.pdf

Les manœuvres militaires russes dans l’Arctique ; vecchi post su artico …

La Danimarca vuole un pezzo di Polo Nord ; vecchi post artico

Il Canada nell’Artico ; Ghiaccio e risorse: conferenza, S.E2014 : 3 video

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