Guerra energetica: la Russia apre il fronte sud-orientale |
Scritto da Matteo Cazzulani |
martedì 03 gennaio 2012 |
Oggi Sofia e Kyiv, domani Chisinau, ed entro la fine dell’anno l’intera Europa Centro-Orientale. Questi gli obiettivi che la Russia ha posto in cima alla politica energetica del 2012: una partita a scacchi da cui dipende l’autonomia energetica dell’Europa, e l’indipendenza politica di molti stati del Vecchio Continente da un diktat del Cremlino che appare sempre più inevitabile. Negli ultimi giorni del Dicembre 2010 ha avuto luogo la rottura tra Bulgaria e Russia in seguito all’uscita di Sofia dall’oleodotto Burgas-Aleksandrupolis: infrastruttura di 282 chilometri – compartecipata al 50% dalle compagnie russe Transneft, Rosneft, e Gazprom Neft, al 24,5% dalle greche Hellenic Petroleum e Thraki, all’altro 24,5% dalle bulgare Bulgargaz e Technoexportstroy, e dal restante 1% dal governo ellenico – progettata per trasportare nafta dal Mar Nero al Mar Egeo, saltando lo stretto del Bosforo e, così, penalizzare la Turchia.Secondo quanto dichiarato dal Premier bulgaro, Bojko Borysov, il progetto, concordato nel 2007, non risponde più agli interessi nazionali della Bulgaria. Dal Maggio 2010, Sofia è impegnata nella sostituzione della Russia come unico partner energetico mediante accordi bilaterali con il governo turco e la messa in comunicazione delle proprie condutture con quelle della Romania: come previsto dal Terzo Pacchetto Energetico dell’Unione Europea. Una posizione che ha provocato l’immediata reazione di Mosca, con il Ministro dell’Energia russo, Sergej Shmatko, pronto a richiedere a Sofia il pagamento delle spese pattuite e di un forte indennizzo. “Posso assicurare al Signor Shmatko che dalle casse bulgare non uscirà mai alcun Lev [la moneta bulgara, n.d.a.] per l’oleodotto Burgas-Aleksandrupolis” gli ha risposto Borysov. Secondo diversi esperti, una reazione della Russia all’insubordinazione della Bulgaria è probabile già nei primi mesi del 2012: in un inverno che rischia di tramutare i miti Balcani orientali in un rovente fronte energetico.Alta la tensione anche tra Russia ed Ucraina, in cui, tuttavia, il gioco per i russi è decisamente più facile. Kyiv ha richiesto la revisione al ribasso dei contratti per il gas, ed è arrivata addirittura a minacciare Mosca di ricorrere all’arbitrato internazionale se lo sconto non sarà ottenuto in tempi brevi. In risposta, la parte russa è rimasta ferma sulle proprie condizioni: cessione parziale, o totale, dei gasdotti ucraini al monopolista russo, Gazprom, uscita dell’Ucraina dalla Comunità Energetica Europea – CEnE -, e rinuncia all’applicazione del Terzo Pacchetto Energetico UE – che impedisce a Gazprom di gestire infrastrutture energetiche sul suolo dei Paesi che aderiscono alla CEnE -. Le richieste del Cremlino sono inaccettabili per le autorità Ucraine: chiuse con pochi pedoni a limitata possibilità di spostamento in uno scacchiere dominato dagli alfieri di Mosca. Dopo avere concesso il prolungamento della permanenza dell’esercito russo in Crimea in cambio di uno sconto sul gas mai ottenuto, il Presidente ucraino, Viktor Janukovych, non può nemmeno più contare sull’appoggio dell’Unione Europea, con cui i rapporti si sono congelati in seguito all’ondata di repressioni politiche a danno dell’Opposizione Democratica. Bruxelles è stata costretta persino alla sospensione di ogni progetto di integrazione di Kyiv per evidente deficit di democrazia.Infine, aperta la questione anche con la Moldova: altro Paese non-UE inserito nella Comunità Energetica Europea con cui la Russia è chiamata alla revisione del contratto per l’esportazione di gas. Le trattative, durate tutto Dicembre, sono state sospese per mancato accordo, ed il contratto attuale – che rende Chisinau dipendente dal gas di Mosca per circa il 90% – prolungato fino alla chiusura dei negoziati. Secondo indiscrezioni, anche alla parte moldava i russi avrebbero richiesto l’uscita dalla CEnE: un passo politico che, se compiuto, lederebbe i piani di strategia energetica comune tra l’Unione Europea ed i Paesi dell’Europa Orientale.Il Gasdotto da evitare
Come rilevato da autorevoli studi, la Russia punta alla capitolazione di Bulgaria, Ucraina, e Moldova per evitare la costruzione del Southstream: gasdotto sottomarino, compartecipato dal colosso italiano ENI, dalle compagnie tedesca e francese Wintershall ed EDF, dalla greca DEPA e da quelle nazionali di Serbia, Macedonia, e Slovenia, per bypassare Paesi politicamente invisi al Cremlino – come Polonia, Romania, e, per l’appunto, Ucraina e Moldova – e contrastare i tentativi della Commissione Europea di importare gas centro-asiatico senza transitare per il territorio russo. Noto anche come Gasdotto Ortodosso, l’infrastruttura è progettata per il 2012 secondo un percorso intricato e, per questo, costoso. Dalle rive russe sul Mar Nero la conduttura arriverà nella penisola balcanica, da cui un ramo sarà diretto in Grecia ed Italia meridionale, ed un’altro verso Macedonia, Serbia, Slovenia, fino all’Italia settentrionale. Secondo indiscrezioni, sarebbe stato progettato un terminale nella Pianura Padana.
http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=33622&Itemid=28
U.S. set to overtake Saudi Arabia as world’s biggest oil producer following boom in output:Gli Stati Uniti saranno i più grandi produttori di petrolio al mondo?
By Sam Adams and David Gardner PUBLISHED: 13:01 GMT, 24 October 2012 |
A US oil boom is set to push America past Saudi Arabia to become the world’s top producer. Driven by high prices and new drilling methods, the US production of crude oil is on track for the biggest single-year gain for more than 60 years. Analysts claimed yesterday that, if the growth in domestic drilling continues, America will soon overtake Russia and Saudi Arabia – and possibly become ‘the new Middle East’ in another decade. The boom has surprised even the experts. Scroll down for video On the up: The U.S. is set to become the world’s biggest oil producer following a recent boom in output ‘Five years ago, if I or anyone had predicted today’s production growth, people would have thought we were crazy,’ said Jim Burkhard, head of oil markets research at US energy consulting firm IHS CERA. Production is expected to rise by 7 per cent to hit an average of 10.9million barrels a day this year. Energy Department officials say it will average 11.4million next year, just below the current Saudi output of 11.6million. This will be the fourth straight year of crude increases and the biggest single-year gain since 1951. And Citibank forecasts it could reach 13million to 15million barrels per day by 2020. But it has not led to cheaper petrol. Prices are expected to stay relatively high for the next few years because of growing demand in developing nations and political instability in the Middle East and North Africa. The last year the US was the world’s largest producer was 2002, after the Saudis drastically cut production because of low oil prices in the aftermath of 9/11. U.S. set to overtake Saudi Arabia as world’s biggest oil producer following boom in output
By Sam Adams and David Gardner PUBLISHED: 13:01 GMT, 24 October 2012 | UPDATED: 23:15 GMT, 24 October 2012
A US oil boom is set to push America past Saudi Arabia to become the world’s top producer. Driven by high prices and new drilling methods, the US production of crude oil is on track for the biggest single-year gain for more than 60 years. Analysts claimed yesterday that, if the growth in domestic drilling continues, America will soon overtake Russia and Saudi Arabia – and possibly become ‘the new Middle East’ in another decade. The boom has surprised even the experts. On the up: The U.S. is set to become the world’s biggest oil producer following a recent boom in output ‘Five years ago, if I or anyone had predicted today’s production growth, people would have thought we were crazy,’ said Jim Burkhard, head of oil markets research at US energy consulting firm IHS CERA. Production is expected to rise by 7 per cent to hit an average of 10.9million barrels a day this year. Energy Department officials say it will average 11.4million next year, just below the current Saudi output of 11.6million. And Citibank forecasts it could reach 13million to 15million barrels per day by 2020. But it has not led to cheaper petrol. Prices are expected to stay relatively high for the next few years because of growing demand in developing nations and political instability in the Middle East and North Africa. The last year the US was the world’s largest producer was 2002, after the Saudis drastically cut production because of low oil prices in the aftermath of 9/11. Cost: The oil boom is, however, not expected to ease the cost of gasoline for hard-pressed U.S. motorists Boom: US oil production has increased for four years in a row and is expected to rise to 11.4 million barrels a day in 2013. On current trends it could soon overtake Saudi Arabia’s output Since then, the Saudis and the Russians have been the world leaders. Americans currently use around 18.7 million barrels per day – but thanks to the growth in domestic production and the improving fuel efficiency of the nation’s cars and trucks, imports could fall by half by the end of the decade. The increase in production has not translated to cheaper gasoline at the pump, and prices are expected to stay relatively high for the next few years because of growing demand for oil in developing nations and political instability in the Middle East and North Africa. Still, producing more oil domestically, and importing less, gives the economy a significant boost. Increased drilling is driving economic growth in states such as North Dakota, Oklahoma, Wyoming, Montana and Texas, all of which have unemployment rates far below the national average. ‘It’s the most important change to the economy since the advent of personal computers pushed up productivity in the 1990s’– Philip Verleger, Peterson Institute of International Economics Businesses that serve the oil industry, such as steel companies that supply drilling pipe and railroads that transport oil, are not the only ones benefiting from the boom in production. Homebuilders, auto dealers and retailers in energy-producing states are also getting a lift. The oil and gas drilling boom, which already supports 1.7 million jobs, is expected to lead to the creation of 1.3 million jobs across the U.S. economy by the end of the decade. ‘It’s the most important change to the economy since the advent of personal computers pushed up productivity in the 1990s,’ says economist Philip Verleger, a visiting fellow at the Peterson Institute of International Economics. The major factor driving domestic production higher is a new found ability to squeeze oil out of rock once thought too difficult and expensive to tap. Engineers have learned how to drill horizontally into long, thin seams of shale and other rock that holds oil, instead of searching for rare underground pools of hydrocarbons that have accumulated over millions of years. Competition: Saudi Arabia and Russia have led world oil production in recent years (file picture) To free the oil and gas from the rock, drillers crack it open by pumping water, sand and chemicals into the ground at high pressure, in a process known as hydraulic fracturing, or ‘fracking.’ The US oil boom has also been influenced by a long period of high oil prices and the recovery of production in the Gulf of Mexico following the 2010 BP well disaster and oil spill. The most prolific of the new shale formations are in North Dakota and Texas. Activity is also rising in Oklahoma, Colorado, Ohio and other states. Production from shale formations is expected to grow from 1.6 million barrels per day this year to 4.2 million barrels per day by 2020. That means these new formations will yield more oil by 2020 than major oil suppliers such as Iran and Canada produce today. From 1986 to 2008, crude production in the US fell every year but one – dropping by 44 percent over that period. The United States imported nearly 60 percent of the oil it burned in 2006. By the end of this year, US crude output will be at its highest level since 1998 and oil imports will be lower than at any time since 1992, at 41 percent of consumption. Whether the US supplants Saudi Arabia as the world’s biggest producer will depend on the price of oil and Saudi production in the years ahead. VIDEO: See how the US Dept of Energy is backing biofuel research:Petrolio: Al via esplorazioni nell’Artico per Islanda e NorvegiaLe stime parlando di una produzione tra i 250 e i 500 milioni di barili di petrolio e di circa 100 miliardi di metri cubi di gasdi red – 04 gennaio 2013 17:23È stato firmato lo scorso venerdì Reykjavik l’intesa bilaterale tra Islanda e Norvegia per l’avvio di ricerche petrolifere nell’Artico. Il governo islandese ha in mente, infatti, di sfruttare gli enormi giacimenti di idrocarburi nei fondali marini che si trovano nelle due licenze esplorative che si è aggiudicata vicino l’isola norvegese Jan Mayen. Si tratta di una importante apertura anche per sollevare l’economia dell’isola dopo la pesante crisi finanziaria che ha colpito Reykjavik nel 2008. A partecipare alla campagna esplorativa sarà la compagnia di Stato norvegese Petoro che avrà uno stake del 25 per cento in entrambe le aree in concessione. Secondo le stime del Norwegian Petroleum Directorate le due zone di concessione potrebbe portare a una produzione tra i 250 e i 500 milioni di barili di petrolio e di circa 100 miliardi di metri cubi di gas.http://www.ilvelino.it/it/article/petrolio-al-via-esplorazioni-nellartico-per-islanda-e-norvegia/d0778044-1f12-41fa-bac3-e9fbe5134b48videocarta: Il semifreddo Artico che Ha riscaldato OSLO più collage articoli artici pubblicato il 24 luglio 2011 La strategia di Putin prevede lo sfruttamento delle immense riserve energetiche della Siberia, lo sviluppo di forti alleanze commerciali tra i grandi paesi, Cina compresa, l’investimento di grandi capitali e la ripartizione dei rischi tra paesi produttori e consumatori, l’adeguamento degli attuali prezzi politici a quelli di mercato, il controllo del sistema dei gasdotti e degli oleodotti di tutti i paesi della vecchia Unione Sovietica. William F. Warren , scrittore e studioso americano, primo rettore della Boston University, individuava, in un suo libro del 1885, nel Polo Nord la sede dei giardini dell’Eden, ossia il Paradiso terrestre. La vasta regione che circonda il Polo, l’Artide, non è in realtà mai stata sotto il dominio politico di alcuna nazione, a causa delle condizioni climatiche non adatte all’uomo, che si è finora limitato a condurre esperimenti e attività militari, soprattutto durante la guerra fredda. Le reazioni, ovviamente, non si sono fatte attendere. La Danimarca, sotto la cui sovranità rientra la Groenlandia, la più grande isola al mondo, ha risposto con una analoga missione. Il Canada ha annunciato la costruzione di due nuove basi navali a difesa dei suoi confini, deridendo i Russi per i metodi adottati e definendoli adatti al XV secolo. Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno già aperto una disputa con Il Canada stesso per il futuro del celebre e finora inaccessibile Passaggio a nord-ovest, che presto potrebbe diventare una nuova rotta di navigazione tra Atlantico e Pacifico, in considerazione dello scioglimento della banchisa polare dovuto all’innalzamento delle temperature. Le ragioni di questa nuova possibile guerra (molto) fredda sono legate alla presenza dei tesori nascosti sotto i ghiacci: i russi sostengono di aver individuato riserve petrolifere per oltre cento miliardi di tonnellate, ma il totale secondo alcuni scienziati potrebbe raggiungere il 25% delle intere riserve mondiali; i giacimenti di gas sarebbero immensi e altrettanto vasta sarebbe la gamma dei metalli presenti nel sottosuolo (diamanti, oro, platino, nickel e così via). Il temuto riscaldamento globale pare dunque aprire interessanti opportunità economiche. L’area coperta dai ghiacci artici ha raggiunto i livelli minimi (Figura 3)da quando 30 anni fa iniziarono i rilevamenti attraverso i satelliti, con una diminuzione a velocità superiori a ogni previsione, dato che l’ecosistema artico è particolarmente sensibile agli innalzamenti delle temperature. Allo stesso tempo, la sua complessità fa sì che altri parametri biologici e atmosferici si stiano stabilizzando o siano addirittura tornati nella norma. http://www.quadrantefuturo.it/appunti/terra/i-colori-del-ghiaccio.aspx Negli ultimi decenni il Polo Nord è diventato oggetto di una crescente attenzione da parte della Comunità Internazionale, in ragione delle rilevanti ricchezze naturali che hanno attirato gli interessi di diversi stati. L’Artico ha iniziato quindi ad essere soggetto ad una costante militarizzazione conseguente alla corsa per la sua conquista. Nell’ultimo anno, i principali paesi che si affacciano nel circolo polare hanno annunciato l’avvio di una considerevole espansione del loro potenziale militare nel Polo. Anche il nuovo Segretario Generale della NATO, Andres Fogh Rasmussen, ha dichiarato, a settembre, la sua intenzione di aumentare il ruolo dell’Alleanza nella regione. Tutti questi elementi hanno reso la regione uno dei punti pi caldi del globo, scatenando una vera e propria gara tra le nazioni subartiche, cio Canada, Norvegia, Russia, Stati Uniti, Danimarca (per via della Groenlandia, sua provincia autonoma). Il terreno del contendere e’ quello della sovranita’ sulle risorse in questione ed i diritti di proprieta’ dei singoli Stati, non risolti dalle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. Tale Convenzione consente ai paesi con uno sbocco sul mare di estendere i loro diritti per lo sfruttamento delle risorse naturali, minerarie, energetiche e biologiche, dalle attuali 200 a 350 miglia, se e’ scientificamente provato che le 150 miglia aggiuntive rappresentino effettivamente “il prolungamento naturale della piattaforma continentale”. La sfida dunque e’ quella di poter dimostrare la fondatezza delle proprie pretese sull’ estensione piu’ ampia possibile. Per il Canada, l’ Artico rimane una questione strategica fondamentale: Ottawa considera il Pno alla stregua di acque interne, rivendicate a titolo storico in nome dell’ uso fattone da parte delle popolazioni autoctone. Il governo canadese, nel 2007, aveva annunciato due progetti militari tesi a sostenere le rivendicazioni di sovranita’ nella regione: la costruzione di un centro di addestramento al combattimento in condizioni estreme a Resolute Bay, 600 km a sud del Polo Nord magnetico, e un porto d’ altura nel villaggio minerario abbandonato di Nanisivik, all’ estremo nord dell’ isola di Baffin, per il rifornimento ai vascelli di pattugliamento, costretti a rientrare nei porti base sulla costa atlantica o pacifica. A questo progetto si aggiungeva lo stanziamento di 3,1 miliardi di dollari canadesi (circa 2, 2 miliardi di euro) per la costruzione di 6-8 pattugliatori d’ altura di 5 classe. Nuovi attori tentano di inserirsi nella partita. La Cina nel 2008 ha ottenuto lo statuto di osservatore presso il Consiglio dell’ Artico; la Corea del Sud,importante potenza mercantile, guarda con interesse all’ apertura di potenziali rotte e si sta a sua volta muovendo per diventare osservatore; allo stesso ruolo ambisce il Giappone. Gli Stati Uniti hanno aggiornato la loro politica strategica con una direttiva presidenziale diramata lo scorso gennaio, definendosi “una nazione artica, con forti e variegati interessi nella regione, compresi ampi e fondamentali interessi di sicurezza nazionale”. La Nato ha auspicato la costituzione di una presenza militare permanente, mentre la Commissione Europea ha adottato nel novembre del 2008 la Comunicazione intitolata L’ Unione Europea e la Regione Artica, con la quale auspica la protezione dell’ Artico e della sua popolazione, l’ uso sostenibile delle sue risorse, e la governance multilaterale. La militarizzazione dell’ area ormai e’ un dato di fatto. lunedì 9 maggio 2011Nobel e Artico: la querelle tra Cina e NorvegiaSecondo AFP report, l’ambasciatore cinese in Norvegia Tang Guoqiang, qualche giorno fa aBergen, la seconda citta del Paese, ha chiesto che il governo norvegese chieda scusa per l’assegnazione del premio Nobel per la Pace al dissidente cinese Liu Xiaobo. La Cina afferma che il suo rapporto con la Norvegia migliorerà se il governo norvegese si scuserà. Il governo norvegese ha nominato una commissione indipendente per selezionare i vincitori, e Liu è stato insignito del Nobel per la Pace nel 2010 “per la sua lunga e non violenta lotta per i diritti fondamentali dell’uomo in Cina”. Liu è imprigionato in Cina e le autorità cinesi lo considerano alla stregua di un comune criminale. Le crescenti ambinzioni del Paese del dragone verso la regione artica hanno intensificato l’importanza di un rapporto di cooperazione tra Norvegia e Cina, la quale sta adoperandosi per poter contare di più nel dibattito sulle questioni artiche e ha chiesto lo status di osservatore permanente al Consiglio Artico. La Norvegia è uno stato membro nel consiglio, che è un forum intergovernativo per la cooperazione gli tra Stati artici. In una conferenza in Cina nell’agosto del 2010, il ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Støre aveva espresso parere favorevole ad un posto per la Cina come stato osservatore permanente, andando ad aggiungersi a Germania, Francia, Olanda, Polonia, Spagna e Gran Bretagna. La Norvegia sostiene la richiesta cinese e spera in un consenso con gli altristati membri delConsiglio artico (Arctic Council), e si augura che la Cina continui a partecipare attivamente ai lavori del Consiglio nel suo stato attuale come”Ad-hoc Observer States“, al pari d’Italia, Giappone e Corea del sud. La Cina è interessata all’accesso nella regione durante la stagione in cui è libera dai ghiacci per le vaste risorse, tra cui petrolio e gas. Essa ha partecipato in qualità di “Ad-hoc Observer States“, nelleriunioni dell’ Arctic Councilnel 2007 e nel 2009, ma nessuna decisione è stata sinora presa sulla richiesta della Cina per lo status di osservatore permanente. Né permanente, né come osservatori ad hoc detengono diritto di voto nel consiglio, ma lo status di osservatore permanente farebbe aumentare la presenza della Cina nelle questioni artiche. Lo scorso mercoledì il governo norvegese ha risposto all’ambasciatore cinese, riconoscendo la reazione delle autorità cinesi ‘al premio dato a Liu, ma le decisioni di aggiudicazione dei premi sono indipendenti dal governo norvegese. ” The Ottawa Declaration“del 1996 ha formalmente istituito il Consiglio artico come un forum di alto livello intergovernativo per fornire un mezzo per promuovere la cooperazione, il coordinamento e l’interazione tra gli Stati Artici, con il coinvolgimento delle comunità indigene dell’Artico quali il Saami Council, Russian Arctic Indigenous Peoples of the North, the Inuit Circumpolar Council, Gwich’in council International, Aleut International Association and the Arctic Athabaskan Council La dichiarazione di Ottawa ha nominato otto membri dell’Arctic Council: Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Federazione Russa, Svezia e Stati Uniti. Il Consiglio artico ha condotto numerosi studi sui cambiamenti climatici, petrolio e gas, e spedizioni artiche. http://ilprofessorechos.blogspot.com/2011/05/nobel-e-artico-la-querelle-tra-cina-e.html Russia, Grecia Turchia : GAZPROMENADE http://www.controappuntoblog.org/2012/05/08/russia-grecia-turchia-gazpromenade/ GAZPROM : Bulgaria E SLOVENIA SIGLANO ACCORDO PER SOUTH STREAMSouth Stream/ Oggi Putin sul Mar Nero inaugura lavori gasdotto |
Stoccolma, camion sulla folla e post su competizione risorse artico …
gli INUIT come erano e come sono | controappuntoblog.org
la geopolitica dell’Artico n. 124 gennaio 2017