Attenzione ai movimenti tellurici sotto la fragile arena internazionale

Mercoledì 02 Gennaio 2013 13:46

Attenzione ai movimenti tellurici sotto la fragile arena internazionale

Negli ultimi anni nulla è come sembra in politica internazionale. Le vecchie certezze hanno lasciato il passo  a una fragilità che permette di intravedere futuri soprassalti. Dove meno ci si aspettano.

Contrariamente a quello che può far supporre il farraginoso gioco della diplomazia, il sottosuolo di quella che è nota come arena internazionale si sta muovendo in modo decisivo negli ultimi anni. Questo movimento tellurico di fondo ingoia improvvisamente protagonisti della storia che sembravano eterni (come nel caso dell’egiziano Mubarak e del libico Gheddafi e tutto lascia intendere che sarà il destino del siriano Al-Assad) provocando gravi squilibri regionali e nuove alleanze alle quali ci vorranno anni per solidificarsi.

Però in generale si tratta di un movimento lento ma ininterrotto che presuppone un ridisegno della mappa geostrategica mondiale che non si era visto negli ultimi cento anni.

La crisi globale ha provocato uno scorrimento verso il sud del Nord ricco, disegnando un’Europa nella quale l’asse mediterraneo sembra condannato a somigliare sempre di più ai Paesi dell’est, che 25 anni dopo la caduta dell’URSS continuano ad essere relegati nel vagone di coda.

Gli USA continuano a cercare un nuovo paradigma che gli permetta di mantenere la loro supremazia mondiale e, dimenticata la Guerra Fredda e dopo essere usciti in malo modo dal loro ultimo decennio di guerra all’Islam, rivolgono il loro sguardo verso quello che è sempre stato il loro obiettivo geostrategico, il Pacifico.

Conta, per loro, la crescente concorrenza di una Cina che non è più ormai una potenza emergente ed è diventata la seconda economia mondiale e la principale fabbrica del Pianeta.

L’ASSE DEL PACIFICO

Il mondo è un affare tra due

Le complesse relazioni tra USA e Cina segneranno, senza dubbio, l’andamento del nuovo anno e dei successivi. E conviene rimarcare questa complessità, ogni volta che, ben oltre la messa in scena periodica di conflitti -in tema di tasso di cambio del reminbi o su aspetti commerciali- entrambe le potenze si necessitano reciprocamente. A Pechino non interessa un indebolimento degli USA al di là di un certo limite e Washington ha nella Cina uno dei principali acquirenti del suo immenso deficit.

Lo stesso accade con la questione militare. Gli USA denunciano di tanto in tanto l’incremento veramente esponenziale delle spese per la difesa dei dirigenti cinesi, ma questi ricordano che continuano a destinare a questo capitolo una minore percentuale del PIL del Paese rispetto a quello che spendono gli USA. E, in cifre assolute, il Pentagono si prende 500 miliardi abbondanti di dollari l’anno, mentre l’Esercito Popolare cinese, il più numeroso del mondo, non supera gli 80 miliardi.

In questo gioco di accuse demagogiche, non c’è dubbio che gli USA approfitteranno delle inquietudini che genera il riacutizzarsi delle rivendicazioni territoriali della Cina in molti dei suoi vicini -e alcuni alleati  strategici degli USA- come il Giappone, la Corea del Sud, il Vietnam e le Filippine per cercare di consolidare il loro dominio del Pacifico.

Pechino cercherà di far valere il dialogo bilaterale per risolvere queste dispute, mentre gli USA farà appello a soluzioni regionali nelle quali il peso cinese venga diluito e la loro posizione segni la strada da seguire.

AMERICA LATINA

Escalation di tensioni

La disputa per l’egemonia regionale fra tre grandi potenze, Stati Uniti, Cina e Brasile, disegna all’orizzonte una escalation di conflitti. Per il 2013 possiamo aspettarci un maggior attivismo delle principali forze destabilizzatrici, le destre alleate di Washington, per lo meno in Venezuela e Argentina, che si sono trasformate negli scenari dei maggiori scontri.

La possibile scomparsa di Hugo Chávez metterà alla prova la solidità del processo bolivariano. Anche se Brasile e Cina hanno stabilito solide alleanze strategiche con il Venezuela, la destra e gli Stati Unti mantengono la loro capacità destabilizzatrice. In Argentina il governo di Cristina Fernández dovrà mostrare che può gestire la situazione economica e finanziaria per frenare la scalata sociale e politica delle classi medie e alte contro il suo governo.

Nel resto della regione sudamericana predomina la stabilità anche se c’è da stabilizzare la situazione paraguayana dopo il golpe costituzionale contro Fernando Lugo. Tramite l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), il Brasile mostra la sua capacità stabilizzatrice nella regione, che sta scegliendo di risolvere i propri affari senza l’ingerenza statunitense. Il Mercosur, allargato al Venezuela, continuerà a crescere con l’incorporazione di Bolivia ed Ecuador.

Più a nord, nei Caraibi, nel Centroamerica e nel Messico, il rapporto di forze è completamente diverso. La mano militare del Pentagono e del Comando Sud continuano a dettare il ritmo con scarse interferenze. Il nucleo della conflittualità interstatale e sociale continuerà ad essere focalizzato in Sudamerica, e più in particolare nella regione andina del Perù, dove sono in collisione le egemonie in decadenza e quelle emergenti.

IL MONDO ARABO

Si procede zoppicando

Due anni dopo, possiamo elencare alcune delle conseguenze negative della «primavera araba»: lo scontro militare (Siria) o lo scontrao politico (Tunisia, Egitto, Libia, Yemen) hanno dato una nuova opportunità ai gruppi associati al “franchising” Al-Qaeda, hanno aumentato l’influenza delle potenze reazionarie del Golfo (Arabia Saudita e Qatar) e deviato la battaglia per la democratizzazione verso una «guerra fredda» tra sunnismo e sciismo, hanno portato al governo (Tunisia ed Egitto) partiti islamici compiacienti con il capitalismo, hanno reso più fragili tutte le frontiere nazionali e hanno prodotto una frattura nella sinistra araba e internazionale. Il bilancio pertanto è disastroso?

Tutte queste conseguenze potevano essere evitate solo mantenendo dittature feroci la cui contestazione ha aperto, invece, un ventaglio di potenziali trasformazioni.

Dal punto di vista geostrategico, possiamo segnalarne alcune: Israele si trova più isolato e screditato che mai mentre la Palestina rafforza il suo ruolo simbolico come capitale e garanzia dell’anti-imperialismo regionale, gli USA retrocedono nella zona di fronte a una nuova promiscuità di alleanze incrociate tra vecchie potenze e potenze emergenti e si mette il punto finale, con venti anni di ritardo, alla Guerra Fredda e al XX secolo.

Ma dal punto di vista politico, un processo che può essere solo di lunga durata fa ora prevedere cambiamenti impensabili fino a tre anni fa: popoli che si mobilitano e organizzano e che minacciano per la prima volta il cuore della bestia (i Paesi del Golfo e la Giordania), donne e minoranze linguistiche e nazionali che lottano per i propri diritti, una sinistra che si scuote di dosso schemi atavici e ritrova la piazza, l’ emergere il primo piano di una gioventù repressa e umiliata, la rifondazione di una cultura che si inchinava, affascinata o terrorizzata, davanti al potere personale e che, tramite il mito Bouazizi, si allinea con i perdenti e rifiuta i dispotismi.

Il bilancio sarà ancora provvisorio per decenni. Ma bisognerebbe essere pazzi -o essere imperialisti- per preferire che ciò non fosse successo.

ASIA ED EURASIA

Afghanistan e Iran

Il 2013 sarà caratterizzato dall’accelerazione dei piani di ritirata occidentale dall’Afghanistan, cosa che senza alcun dubbio produrrà un cataclisma in una regione, l’Asia Centrale, che si mantiene in una posizione di equilibrio sulla punta di uno spillo.

La Russia sta già calibrando il futuro di una zona nella quale tutto lascia presagire un ritorno in forze del  potere talebano e, nel peggiore degli scenari, una guerra civile che potrebbe rianimare i latenti moviminti islamisti, particolarmente forti nella strategica valle di Fergana e che mettono in discussione lo status quo che la Russia è riuscita ad assicurare in repubbliche come l’Uzbekistan e il Tagikistan mantenendo i dittatori al potere.

Infine ci sarà anche da stare molto attenti all’anno cruciale che vivrà l’Iran, con elezioni nelle quali si annuncia il regresso delle vecchie fazioni dell’establishment rivoluzionario –dopo un accordo tra l’ayatollah Khamenei e Akhbar Hashemi Rafsanjani – per il ritiro del presidente Mahmud Ahmedinejad- e non è da scartare che l’Occidente cerchi di nuovo di abbattere il potere di Teheran con un nuovo tentativo di rivoluzione colorata come quello fallito alle presidenziali del 2009. Tutto questo come alternativa a una guerra contro l’Iran a causa del suo programma nucleare che compare solo nell’agenda di Israele. Il problema è Tel Aviv e il suo crescente unilateralismo.

UNIONE EUROPEA

«Ciao 2013»

Nell’ambito europeo e dell’Unione Europea, sarà un anno caratterizzato dalle elezioni tedesche dell’autunno. E non perché la rielezione della Merkel o il ritorno della SPD al potere vada a cambiare di molto la relazione di questo Paese con la UE, ma perché buona parte dello sviluppo e del ritmo del titubante processo d’integrazione comunitaria passa a «modalità inverno» ogni volta che un «grande» vota.

Il 2013, l’anno che vedrà l’ingresso della Croazia, comincia con un cambio nella presidenza semestrale di (alcuni dei) consigli dei ministri dell’Unione. L’Irlanda rileva Cipro. Ma, soprattutto, inizia con la negoziazione in corso del quadro di bilancio pluriannuale (2014-2020), dove l’Unione appare più spaccata che divisa in due fazioni: i contribuenti netti che vogliono ridurre il blancio e i bisognosi, trasformatisi in europeisti convinti nella loro richiesta di una cassa comune più grande. La negoziazione segnerà il divenire della UE a partire dal 2014 e condizionerà altri aspetti della discussione messa in pausa a dicembre sullo sviluppo dell’Unione Economica e Monetaria.

Due temi dovrebbero essere prioritari: come riattivare l’economia e come invertire il brutale deterioramento del tanto celebre quanto quasi inesistente modello di welfare europeo (ce n’è più di uno, ovviamente).

Nell’ambito più sociale, forse la cosa più interessante sarà osservare l’evoluzione dell’iniziativa della Commissione europea per lottare contro il tabacco. Anche il riconoscimento dei titoli per lavorare in un altro Stato membro sarà un punto rilevante dell’agenda europea nel 2013.

AFRICA

Il ritorno di Al Qaeda?

La decolonizzazione africana con lapis e righello e l’oblio al quale il mondo ha sottoposto il Continente Nero lo trasforma nello scenario ottimale per la instabilità e il suo corollario, cioè il suo emergere come rifugio di movimenti che hanno perso i loro santuari originali, sa per errori propri che per pressioni esterne.

È il caso del franchising di Al-Qaeda e dei grupppi situati nell’orbita del jihadismo transnazionale. Il Mali e la vasta regione di Azawad (equiparabile al territorio dello Stato francese) farà senza dubbio notizia nel 2013. Rivendicato come proprio territorio dai tuareg, l’instabilità dopo il colpo di Stato in Mali è stata sfruttata per occupare-liberare il territorio, nel quale Al Qaeda del Maghreb e altri gruppi hanno conquistato una posizione di vantaggio. Non finisce qui la lista di Paesi con gravi problemi armati legati ad una interpretazione rigorista della jihad. È il caso del nord della Nigeria, con il movimiento Boko Haram (i talebani nigeriani) e può essere quello del Niger, un vasto territorio che condivide la frontiera -è tutto dire- con l’instabile Libia.

Tutto ciò in un continente dove la povetà estrema e l’instabilità coincidono con un processo crescente di urbanizzazione (con megalopoli come Lagos e Kinshasa) che è una bomba ad orologeria in società senza la minima articolazione sociale ed economica. Speriamo di esagerarare

. http://www.senzasoste.it/le-nostre-traduzioni/panorama-2013-attenzione-ai-movimenti-tellurici-sotto-la-fragile-arena-internazionale

Atención a los movimientos telúricos bajo la frágil arena internacional

http://www.rebelion.org/noticia.php?id=161641

 

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