CONDANNATI PER ALTO SENSO DI UMANITA’

CONDANNATI PER ALTO SENSO DI UMANITA’

Posted on dicembre 28, 2012 by contromaelstrom

Terrorismo di Stato

condannati per non aver ucciso chi chiedeva pane

&&-  Il comando della 252° fanteria di linea in data 31 gennaio 1918  denunciava a questo Tribunale di guerra l’aiutante di battaglia L.A. e i soldati B.S. e P.O. perché il giorno 21 gennaio 1918, trovandosi in servizio di sorveglianza in un tratto di linea sul Monte Perizza, omettevano di far fuoco all’apparire di nemici sulle trincee opposte, a breve distanza, contrariamente alle precise disposizioni impartite dal comando di reggimento e formati oggetto di consegna per quei soldati. 

Nel periodo istruttorio risultò che nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, altri due militari, e precisamente il soldato F.U. e il sergente D.T.G. avevano gettato del pane nella trincea nemica e ricevuto in cambio delle sigarette. Dalla trincea nemica si era sporto un soldato austriaco chiedendo pane, alla quale richiesta il soldato F.U. ed il sergente D.T.G. avevano gettato dei pezzi di pane; poco dopo il soldato nemico si sporse di nuovo e gettò nella nostra trincea un cartoccio contenente tre sigarette; le due vedette, soldati B.S. e P.D. a quella replicata apparizione non fecero fuoco …

(Tribunale militare di guerra del VI corpo d’armata. Zona di guerra, 12 marzo 1918. sent. 119 – L.A. della provincia di Macerata, anni 28, macellaio; B.S. della provincia di Pisa, anni 31, contadino; P.O. della provincia di Ferrara, anni 30, contadino; F.U. della provincia di Pisa, anni 22, carpentiere; D.T.G. della provincia di Caserta, anni 28, fabbro; assolto il primo e condannati gli altri a pene varianti dai 7 ai 20 anni di di reclusione per violata consegna.)

non si dia retta alle fandonie dei giornali

ØØ-  Il 29 novembre 1915, dall’ufficio postale militare presso la 15° divisione, venne sequestrata per censura una lettera di pari data, anonima, diretta a B.A. di Adria, e contenente espressioni di denigrazione sulle operazioni di guerra, di vilipendio per l’esercito, di diffamazione verso ufficiali e di incitamento alla rivoluzione. La lettera stessa, tra l’altro, conteneva precisamente la seguente espressione: «Non si creda agli atti di valore dei soldati, non si dia retta alle altre fandonie del giornale, sono menzogne. Non combattono, no, con orgoglio, né con ardore; essi vanno al macello perché sono guidati e perché temono la fucilazione». In appresso aggiungeva: «I giornali parlano della presa di Gorizia (occupata dalle truppe italiane soltanto il 9 agosto 1916). Oggi stesso ho avuto la conferma che essa non sarà mai presa; ossia occorre che gli austriaci l’abbandonino. Non ci si lusinghi… i soldati italiani non sono capaci di prenderla». Inoltre attribuiva ad ufficiale delle frasi come questa: «Se avessi fra le mani il capo del governo, o meglio dei briganti, lo strozzerei»; ed infine concludeva: «Quindi unica cosa da farsi è la rivoluzione… siamo stanchi… e non si attende la scintilla».

Procedendo ad inchiesta, venne riconosciuto per autore della lettera l’accusato B.U., che confessò essere il contenuto della lettera parto della sua fantasia e di averla scritta in un momento di sconforto per la lontananza dalla famiglia.

 (Tribunale militare di guerra del V corpo d’armata. Thiene, 20 gennaio 1916, sentenza 114 – B.U. anni 25 soldato nella 36° compagnia presidiaria; condannato a 4 anni di reclusione militare per propalazione di notizie denigratorie.)

non voglio lavorare

§§- Il 5 marzo 1916, trovandosi la compagnia cui apparteneva il B.C. nelle trincee di prima linea in faccia al nemico, il predetto, ricevuto ordine dal sergente D.M.F. di recarsi a lavorare al rafforzamento delle trincee avanzate, colla sua squadra, vi si rifiutava ostinatamente.

Informato del fatto, il comandante la compagnia, capitano sig. D.R., ordinava al B. di recarsi al lavoro; non obbedendo costui, il predetto ufficiale gli domandava se non poteva o se non voleva lavorare, al che il soldato rispondeva recisamente: «Non voglio lavorare». Sopraggiunto il comandante del battaglione, maggiore sig. R.,  il B. a domanda di quest’ultimo confermava di essersi rifiutato di lavorare e ciò perché  essendo stato punito con 15 giorni di prigione di rigore per essere tornato dalla licenza con 6 giorni di ritardo, non intendeva lavorare per ugual tempo.

Per tali fatti il B. veniva denunciato a questo Tribunale; ma pochi giorni dopo, si rendeva colpevole di una ben più grave mancanza. Invero nel pomeriggio del 12 marzo era stato portato a conoscenza dei soldati che avrebbe avuto luogo una azione di guerra di lì a poche ore. Apparve subito allora che nella compagnia eravi un gruppo di soldati che tale azione in particolare, ed in genere alla guerra, mostra vasi contrario, sobillando inoltre i compagni con una propaganda de moralizzatrice esplicata in diversi modi, tra cui l’affissione di cartelli contenenti scritti sediziosi. Di tale azione deleteria e funesta per lo spirito patriottico e di disciplina dei soldati della compagnia, il B. era già da tempo segnalato ai suoi superiori come uno dei maggiori responsabili, tanto che il comandante la compagnia aveva creduto opportuno incaricare il sergente D.M.F. di vigilarlo e riferirgli sul suo contegno in compagnia.

Il tenente V., rientrando il 12 detto mese nella compagnia accantonata nelle officine di Adria, dopo che i soldati erano stati informati dell’azione progettata per giorno successivo, trovò che i soldati, riunitisi per loro conto e disarmati, vociavano e gridavano, ed il B. che era uno dei più scalmanati e gridava ai suoi compagni: «Vogliamo parlare al colonnello». Il tenente afferrato per un braccio il B. lo costrinse a seguirlo, tentò di appartarlo dai compagni; ma in quel momento sopraggiunto il comandante del reggimento colonnello sig. P., riuscito a ottenere il silenzio, arringò la truppa incitandola a fare tutto il suo dovere nell’azione che stava per essere impegnata, e cercando di elevare lo spirito ed il morale col linguaggio più adatto in simili circostanze.

Ma un gruppo di 7 o 8 soldati fra cui erano il B.C. e l’A.A., rimaneva in attitudine ostile; e quando il colonnello, impressionato dal contegno di tale gruppo, terminata l’arringa, ebbe chiesto se alcuno volesse dire qualche cosa, […] Fu in quel momento che dallo stesso gruppo partirono grida confuse di : «Non si può! Non si può! » il colonnello distinto nel gruppo l’A., che era uno dei più scalmanati lo faceva uscire dalle fila e gli chiedeva che cosa non si poteva. L’A. rispose: «Non si può avanzare», ed alla domanda del colonnello perché non si poteva avanzare, rispondeva, senz’altro aggiungere: «Perché non si può! ». dopo ciò al colonnello non restò che ordinare ai due soldati riottosi di seguirlo, ed agli ufficiali di restare in compagnia per prevenire altri possibili incresciosi incidenti. […]

(Tribunale di guerra del VII corpo d’armata. Zona di guerra. = B.C., calabrese, anni 25, incensurato; A.A. siciliano, anni 25, incensurato, entrambi soldati nel 144° fanteria: condannati alla pena di morte col mezzo della fucilazione nella schiena per rifiuto d’obbedienza in presenza del nemico. Sentenza eseguita il 14 aprile 1916.)

abbasso la guerra

##- La sera del 12 aprile 19 aprile 1916 in Orzano,poco dopo le ore venti, una pattuglia dei carabinieri, dopo aver fatto sgombrare l’osteria della piazza, vedendo che su detta piazza s’era formato un gruppo di una ottantina di soldati che cantava e schiamazzava, intervenne dicendo di smetterla, di non fare baccano e di ritirarsi. I soldati però non badarono alle loro parole e continuarono a schiamazzare, mentre detti carabinieri essendo impotenti perché soltanto in due , si ritirarono in un angolo della piazza attendendo l’ora della ritirata per intervenire più energicamente e far uso all’occorrenza della forza.

Frattanto due ufficiali del 126° reggimento fanteria, capitani T. e B., i quali trovavansi in una casa sulla piazza, dubitando che i soldati avessero adattato, sopra un motivo popolare, parole indisciplinate, poiché ogni tanto emergeva la parola “126”, scesero onde poter meglio percepire qualche frase e il significato della canzone.

Proprio in quel momento, appena giunti, la canzone finiva e dal gruppo centrale partivano le grida di «Abbasso la guerra». Gli ufficiali furono pronti ad accorrere afferrando due militari uno dei quali, attuale giudicabile C.C., sorpreso mentre ripeteva il grido, non oppose resistenza, mentre l’altro, rimasto ignoto, riuscì a fuggire dopo breve colluttazione col capitano T. Accorsi prontamente i carabinieri avvenne una fuga generale, mentre però un sasso lanciato da militare pure sconosciuto, colpiva al copricapo un carabiniere e di rimbalzo il capitano T. alla fronte…

(Tribunale militare di guerra del II corpo d’armata . Dolegna, 11 maggio 1916 – sent. 133 = C.C. della provincia di Teramo, anni 25, soldato del 126°fanteria condannato a 10 anni di reclusione militare per rivolta.)

Le sentenze riportate sono tratte dal libro:
 
Plotone di esecuzione, di E. Forcella e  A. Monticone, Laterza Editori 1972

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