L’ultimo Natale di Guerra e Il sistema periodico

Anagrafe

 

Gli ascensori erano quattro, ma uno era fuori esercizio, come al solito. Non era sempre lo stesso, ed anche il cartello appeso alla maniglia non era sempre lo stesso: quello, ad esempio, diceva “fuori esercizio”, altri dicevano “non funziona”, o “guasto”, o “non toccare”, o addirittura “torno subito”. Forse era il portiere, o l’addetto alla manutenzione, che li alternava secondo un suo capriccio vagamente ironico.

Davanti alle altre tre porte c’era la coda, e anche questo avveniva tutti i giorni, all’ora dell’entrata e dell’uscita. Se il suo ufficio non fosse stato al nono piano, Arrigo sarebbe salito a piedi; qualche volta lo faceva, anche per tenersi in esercizio, ma quel mattino si sentiva un po’ stanco.

La cabina finalmente arrivò, ed era già piena di impiegati che venivano dal 1° e dal 2° interrato. Arrigo si fece largo con energia, ma senza gesti sgarbati, e la cabina riparti; si fermava a tutti i piani con uno scossone, e gente entrava e usciva, salutandosi distrattamente. Al 9° piano Arrigo usci e bollò la cartolina: da due anni c’era un orologio di controllo a ogni piano, e questa era stata una innovazione sensata; prima ce n’era uno solo al pianterreno, il che provocava un ingorgo spaventoso, anche perché c’era poca disciplina e molti cercavano di sorpassare. Nel suo ufficio quasi tutte le scrivanie erano già occupate. Arrigo sedette al suo posto, cavò dal primo cassetto la foto a colori della moglie con la bambina, e dal secondo la cancelleria e le schede avanzate dal giorno precedente. Questo era effetto di una fissazione del capo ufficio: a fine giornata tutte le scrivanie dovevano essere sgombre. Chissà poi perché; non certo per la pulizia, perché quella si faceva due o tre volte all’anno: se non vuoi la polvere sui tuo piano di lavoro te la devi togliere da te.

Il lavoro di Arrigo era di natura amministrativa.

Ogni giorno, dal piano di sopra, gli arrivava un pacchetto di schede; ogni scheda era intestata a un essere umano e portava la data della sua morte; ad Arrigo spettava solo precisarne il modo.

Spesso Arrigo si prendeva delle arrabbiature per vari motivi. La scadenza non era sempre la stessa: era prevista a distanza di anni, o di mesi, o di giorni, senza alcuna regola apparente, e questo gli sembrava un’ingiustizia.

Neppure gli sembrava ragionevole che non ci fossero regole per l’età: c’erano giorni in cui gli consegnavano centinaia di schede di neonati. Poi, il capo ufficio protestava se Arrigo si limitava a formulazioni generiche: doveva essere un sadico o un patito della cronaca nera. Non gli bastava che Arrigo scrivesse ” incidente”, voleva tutti i particolari e non era mai soddisfatto. Pretendeva anche che ci fosse sempre una correlazione fra i dati delle schede e le modalità, e questo molte volte metteva Arrigo in imbarazzo.

La prima scheda di quel giorno non gli diede problemi. Portava il nome di Yen Ch’ing-Hsu, di 58 anni, celibe, nato a Han Tou ed ivi residente, lavoratore portuale, nessuna malattia notevole. Arrigo non aveva idea di dove fosse Han Tou: se ogni volta si dovesse andare a vedere sull’atlante si starebbe freschi. Yen aveva ancora trentasei giorni di vita, ed Arrigo se lo raffigurò sullo sfondo di un tramonto esotico, seduto su un rotolo di gomene di fronte a un mare torbido color buccia di banana, sfinito dal suo lavoro quotidiano, solo e triste. Un uomo così non teme la morte e neppure la cerca, ma un’imprudenza la può commettere. Arrigo ci pensò sopra qualche istante e poi lo fece cadere da una impalcatura: così non avrebbe sofferto tanto.

Neppure Pedro Gonzàles de Eslava lo mise in imba-razzo. Nonostante il nome sonante doveva essere un povero diavolo, beveva, era stato coinvolto in diverse risse fra immigrati clandestini, aveva 46 anni e aveva lavorato in mezza dozzina di fattorie del Profondo Sud. Aveva cinque mesi di vita, e lasciava quattro figli, che però stavano con la moglie e non con lui: la moglie era portoricana come Pedro, era giovane e lavorava anche lei. Arrigo consultò l’Enciclopedia Medica e se la cavò con una epatite.

Stava studiando la terza scheda quando Fernanda lo chiamò al telefono. Aveva visto sul giornale che a un certo Cineclub davano Metropolis; perché non andarlo a ve-dere stasera? Arrigo non amava essere interrotto sul lavoro e si tenne sul vago.

La terza scheda era addirittura ovvia, uno che corre in motocicletta tutti sanno come va a finire. Nessuno lo obbligava, non aveva che da scegliersi un altro mestiere: in casi come questi non c’è da avere scrupoli. Però si ritenne obbligato a precisare la dinamica dell’incidente mortale e il curriculum ospedaliero.

Pierre-Jean La Motte non gli riusci simpatico. Era nato a Lione, ma a 32 anni era già ordinario di Scienze Politiche all’Università di Rio: un raccomandato, evidentemente. Aveva solo venti giorni di vita, benché stesse benissimo e giocasse a tennis tutte le mattine. Arrigo stava scervellandosi per trovargli una morte sensata quando venne Lorusso ad invitarlo a prendere un caffè.

Arrigo scese con lui al quarto piano dove erano le macchine automatiche. Lorusso era noioso, aveva un figlio che non riusciva bene in matematica, ed Arrigo pensava che con un padre come quello sarebbe stato strano che il ragazzo fosse un’aquila. Poi Lorusso cominciò a lamentarsi della moglie che spendeva troppo e del riscaldamento che non funzionava.

Anche la macchina del caffè non funzionava bene. Lorusso la prese a pacche e finalmente vennero fuori due tazzine di caffè, pallido e insipido ma bollente. Mentre Arrigo si sforzava di trangugiarlo scottandosi la gola, Lorusso continuava a parlare dello stipendio che arrivava sempre in ritardo e delle ritenute che erano eccessive. Arrigo ritornò infine alla sua scrivania e schiacciò Pierre-Jean come un verme: emorragia cerebrale, così impara.

Verso le dieci Arrigo aveva finito con gli arretrati, ma l’usciere gli aveva già messo sulla scrivania il pacco delle schede del giorno. La prima era tutta cincischiata, forse dalla macchina datatrice: si capiva solo che riguardava una persona di sesso femminile e di nome Adelia. Arrigo la mise da parte, tanto meglio per Adelia, guadagnare tempo conviene sempre.

Comunque si riservava di scrivere una comunicazione di servizio: capita sempre più spesso che la prima scheda di ogni pacco sia danneggiata, il fatto è in-crescioso, si prega il servizio manutenzione di provvedere, distinti saluti.

Si soffermò invece sulla scheda seguente. Karen Kvarna, di otto anni, nata a Slidre, un paesino di montagna, nel cuore della Norvegia. Karen, figlia unica, malattie n.n., scolara, doveva morire il giorno seguente, ed Arrigo si piantò. Se la immaginò bionda come la canapa, gentile, allegra, serena, sullo sfondo di solenni montagne incontaminate: se doveva morire, allora senza di lui, lui non ci avrebbe messo mano.

Prese la scheda e bussò alla porta del capo ufficio: senti brontolare “avanti”, entrò e disse che era un’indecenza. Che il lavoro era organizzato malissimo, che l’acquisto del randomizzatore era stata un’idea idiota, che le schede erano piene di errori, per esempio proprio questa. Che erano tutti pecoroni e carrieristi e nessuno osava protestare e nessuno prendeva il lavoro sul serio. Che lui ne aveva abbastanza, che dell’avanzamento se ne infischiava e che chiedeva il trasferimento.

Si vede che il capo ufficio una scenata da parte di Arrigo se l’aspettava da un pezzo, perché non diede segno di meraviglia e neppure di indignazione. Forse era addirittura contento di togliersi di torno un programmatore dal carattere cosi instabile. Disse ad Arrigo di ripassare da lui il giorno dopo: il giorno dopo gli consegnò l’ordinanza di trasferimento e gli fece firmare due o tre documenti giustificativi.

Così Arrigo si trovò retrocesso dal grado 7 al 6, e trasferito ad un ufficetto nell’attico del palazzo dove si stabiliva la forma del naso dei nascituri.

http://www.amicigg.it/libri/libro.php?libro=14

PPrriimmoo LLeevvii Il Sistema Periodico – il.raccolto

Il sistema periodico

Il sistema periodico, Einaudi, Supercoralli Nuova serie, 1975

I ventuno testi de Il sistema periodico sono intitolati ciascuno a un elemento chimico: Idrogeno, Zinco, Potassio, Nichel e così via, fino a comporre una sintesi della tavola periodica degli elementi fissata nel 1869 dal chimico russo Dmitrij Mendeleev: di qui proviene infatti il titolo del volume. Di volta in volta, l’elemento che dà il titolo alla storia ne è anche il materiale protagonista, o per meglio dire il catalizzatore della sua energia morale e narrativa. Soltanto nel racconto che apre il libro, Argon, la presenza dell’elemento non è concreta ma simbolica: Levi incomincia raccontandoci la storia dei suoi antenati, una bizzarra quanto ramificata tribù di ebrei piemontesi. L’argon, gas perfetto e raro il cui nome significa in greco antico «l’Inoperoso», è l’emblema del carattere di queste persone sfaccendate e argute, portate a discussioni oziose e capziose, dotate di paradossali virtù e di abitudini eccentriche. Una volta fissato sulla carta il lessico famigliare di questa specie rara, condannata di lì a qualche decennio allo sterminio per mano nazista, Levi intreccia tra loro – saltando di elemento in elemento – ben tre macrostorie: la storia sua personale, dalla prima adolescenza fino all’età adulta; la storia della sua generazione calpestata dal fascismo, dalle leggi razziali approvate nel 1938, dalla guerra mondiale, da una breve e inesperta lotta partigiana e infine dalla deportazione nei Lager; la terza e ultima macrostoria è quella dei chimici «appiedati», che lottano corpo a corpo con la materia per carpirne i segreti e piegarla, procedendo per prove ed errori. Levi racconta storie di chimici artigiani che si arrangiano adoperando i cinque sensi più il buonsenso, e disegna in questo modo un’autobiografia personale e collettiva.

Il sistema periodico è il libro più completo e composito di Levi: il più «primoleviano» di tutti, come lo ha definito Italo Calvino. In queste pagine la testimonianza storica è offerta al lettore con uno stile letterario di smagliante felicità, nel quale troviamo fuse la forza morale, l’umorismo e il gioco linguistico. Grande pedagogo, Levi ci offre gli insegnamenti della sua esperienza con una energia persuasiva che è animata dalla levità e dall’ironia: per questa ragione, il Sistema è il libro nel quale possiamo contemplare intera la sua persona fisica e morale; intera, e insieme scomposta nei suoi elementi primi, così come promette il titolo.

Se, imitando il suo esempio, proviamo ad analizzare questo libro, ci troveremo moltissimi caratteri e vicende di Levi: ci troveremo persino, nei racconti intitolati al Piombo e al Mercurio, la sua preistoria di scrittore adolescente, “prima di Auschwitz”. Troveremo il più pudico e commovente ritratto morale che egli abbia mai disegnato, quello dell’amico alpinista e partigiano Sandro Delmastro (Ferro). Ci troveremo la sua educazione professionale e sentimentale maturata in anni politicamente bui. Troveremo congiunte l’attesa della morte e l’energia di sopravvivenza nel racconto Oro, dove Levi ci descrive – con sorprendenti dettagli comici – la sua cattura da parte dei fascisti dopo poche settimane di esperienza partigiana. Troveremo ancora, dopo la liberazione dal Lager (in Auschwitz è ambientato un solo racconto, Cerio), la libertà del dopoguerra, la gioia di lavorare e di raccontare; e rivedremo le ombre di Auschwitz che tornano a inquietare e incuriosire in un racconto come Vanadio. Troveremo, infine, l’omaggio al suo doppio legame con la chimica e la scrittura, alla propria vocazione di uomo che ricorda, testimonia, lavora e racconta, nella storia dell’atomo di Carbonio, sulla quale il libro si conclude.

Il sistema periodico vinse nel 1975 il Premio Prato.

«Con questo suo nuovo libro, Primo Levi ci dimostra come in lui la vocazione di scrittore-testimone non si sia esaurita nella pagine mirabili di Se questo è un uomo e di La tregua.

A prima vista, si tratta qui dell’autobiografia di un chimico, articolata in ventun “momenti” ognuno dei quali trae spunto da un elemento: l’azoto, il carbonio, il piombo, il nichel e così via. Sono dunque altrettanti incontri con la materia, vista volta a volta come madre o come nemica, davanti a cui si rinnova la condizione atavica dell’uomo cacciatore in lotta col mondo intorno a lui per conoscerlo e per sopravvivere: storie di un mestiere “che è poi un caso particolare, una versione più strenua, del mestiere di vivere”; ricco di sconfitte di vittorie e di miserie, di avventure e di incontri, capace di impegnare in pari misura la ragione e la fantasia.

Ma il libro racconta anche la storia di una generazione, qui rappresentata nei suoi esponenti migliori (si veda la splendida figura di Sandro Delmastro). Ne esce ricostruita la vicenda di una formazione civile maturata negli anni del fascismo, poi nelle drammatiche vicende della guerra, della lotta partigiana, della deportazione, del reinserimento nella faticosa ripresa del dopoguerra: è la storia esemplare di chi, partendo dalla concretezza del mestiere di chimico, si autoeduca a capire le cose e gli uomini, a prendere posizione, a misurarsi, con una ironia ed una autoironia che non escludono la fermezza.

O forse il libro può essere letto come un apologo: la sfida ininterrotta con la materia inerte o malevola è una metafora conradiana dell’esistenza, della sua opacità di fondo, su cui emergono stranezze, fallimenti e riuscite imprevedibili. Come in tutti i libri di Primo Levi, anche qui la serenità del giudizio morale fa tutt’uno con una scrittura di classica precisione; si ritrova, trasferita in un campo meno disumano, l’esigenza di testimoniare a favore della ragione e della dignità».

«The author of this book – a series of essays each named after a chemical element – is an organic chemist. The book, however, is not about chemistry but about the personal and emotional development of the author. Levi is a Jew and a famous Italian writer, best known for two books entitled Survival in Auschwitz and The Re-awakening in English translation. Both are expressions of human survival by dignity and of Jewish humor without pathos – a combination rare among American Jewish writers.

The present book is again a terse, low- key, but intensely serious document of life under stress-either the stress of a youth curbed by fascism or the stress of a chemist struggling with stubbornly defective reagents. The names of chemical elements are used sometimes as metaphors, sometimes more literally to provide occasions for sharp vignettes of the author’s early life. As a Jewish student in a fascist society that made Jews openly pariahs; as a climber who found relief in fighting mountain slopes instead of the unapproachable fascist rulers; as a partisan facing the Nazi enemy in those same mountains; and finally as a young chemist learning to deal with the incompetence or worse of the industrial world – Levi sustains an evenness of mood through which shines the consciousness of a hard personal integrity.

Among the essays the first, Argon, depicts the little-known society of Piedmontese Jews, in which both Levi and this reviewer were raised, a culture that for a long time hardly interacted with the surrounding Christian world (hence behaving like the noble gas argon in air) yet made some outstanding contributions to Italian intellectual life. Anthropologists may be interested in this essay, which reveals a hitherto neglected facet of Italian society.

The essay called Gold is both personal and symbolic. In prison as a partisan, his life in immediate danger, Levi found relief in consorting with a professional smuggler who had at some time eked a living by collecting a few flakes of gold from a mountain river. The implied message: there is some gold to be found in a human being, or in a river, or in prison if you are alert to it.

Other essays are closer to natural science. Potassium – set in 1941 – tells of a brief courtship the author had with physics as a possible vocation. The immediate impetus was apparently the willingness of a young physics teacher of philosophical bent to take seriously the intellectual eagerness of a student whom chemistry teachers had, not surprisingly, left unstimulated. This reviewer, who a few years earlier had found among Italian physicists the intellectual stimulus liberating him from a humdrum medical education, can vouch almost to the last comma for the authenticity of the experience described by Levi.

Arsenic is a vignette that could easily have been turned into a crime investigation in the hands of a less sensitive author. One of his first clients brings to Levi a pound of sugar which he suspects of having been doctored. Levi analyzes it and finds plenty of arsenic. For the rest of the day he goes on with other work. Next day the client returns, hears the verdict, explains calmly that a competitor – a cobbler like himself – has been making his life hard and now has apparently attempted to poison him. No fuss, no police; the cobbler, a quiet Piedmontese, will return the sugar to his enemy and “explain two or three things” to him. Levi’s philosophy of constructive faith in reasoning reminds me, here and elsewhere in the book, of Diderot’s trust in human common sense.

Vanadium is the story of a more recent event. While dealing with a German firm concerning a batch of imported resin (which misbehaved because of a vanadium salt impurity) Levi discovered that his German correspondent was the same man who had been his boss in the Auschwitz camp. The exchanges that ensue illustrate the conflicts of an honest man divided between the forgiveness demanded by personal self-respect and the contempt felt for a Nazi colleague – truly an impurity in the scientific milieu.

In all 18 essays the writing has an immediacy achieved without sacrifice of sophisticated literary skill. The English translation manages to keep the freshness of the original Italian best seller. Primo Levi succeeds in transforming chemical concepts and processes into metaphorical comments on life. He also achieves the more difficult feat of writing autobiographical stories without either self-effacement or self-congratulation. These essays are in fact, as the author calls them in the essay called Nickel, “tales of militant chemistry”».

http://www.primolevi.it/Web/Italiano/Contenuti/Opera/110_Edizioni_italiane/Il_sistema_periodico

Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.