Hercules da Seneca a Jasper Heywood a Vivaldi

Seneca, Hercules Furens
Rudolf Peiper, Gustav Richter,

http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A2007.01.0003

Hercules furens

Ispirata all’Eracle di Euripide, l’Hercules Furens è paradigma del pensiero di Seneca. Il filoso, infatti, espresse anche con la poesia le proprie convinzioni etiche, ma, a differenza delle opere in prosa, in cui la riflessione partiva dal punto di vista del saggio stoico, che osservava la realtà dal mondo beato del sapiente, nelle tragedie l’analisi parte dal mondo dei dannati e dall’orrore ineffabile in cui si trovano. Secondo il mito ripreso dall’originale euripideo, Ercole, l’eroe per eccellenza, è in preda ad una follia distruttiva per volere di Giunone, e, inconsapevole, uccide la moglie Megara e i figli. Una volta riacquistata la lucidità, l’eroe è pronto a darsi la morte, ma trova sostegno nel re di Atene Teseo. Recatosi a Delfi per purificarsi dall’orrendo delitto, Eracle riceve dalla Pizia l’ordine di porsi al servizio del re di Micene Euristeo che gli impose le “dodici fatiche”, le imprese più note legate al nome dell’eroe.La differenza sostanziale tra la versione di Seneca e il modello greco risiede nella più ampia concezione della realtà e dell’individuo: l’ostilità degli dei, che irrompono nella vita degli uomini rendendoli impotenti davanti ad una forza che si sottrae a qualunque criterio di ragionevolezza, non è più sufficiente a giustificare la perdita della ragione dell’eroe. La riflessione del filosofo latino supera il concetto arcaico dell’ira divina per andare a ricercare nella complessa personalità di Ercole l’origine della follia. In Euripide, infatti, l’improvvisa follia che porta l’eroe al massacro della propria famiglia resta immotivata, semplice attuazione di un crudele disegno divino; in Seneca, invece, la pazzia è rappresentata come delirio di potenza, volontà di dominio supremo: una tensione che diventa estremizzazione patologica della virtù dell’eroe. Un’interpretazione che sottende il monito all’equilibrio della ragione perché l’ambizione a superare ogni limite si trasforma, da prodezza, in pericoloso eccesso.

http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=teatro_seneca_ercole&hl=ita

 

SENECA, HERCULES FURENS 1

http://www.theoi.com/Text/SenecaHerculesFurens.html

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Jasper Heywood, SJ (1535 – 9 January 1598), son of John Heywood, translated into English three plays of Seneca, the Troas (1559), the Thyestes (1560) and Hercules Furens (1561).

He was a fellow of Merton College, Oxford, but was compelled to resign from that society in 1558. In the same year he was elected a fellow of All Souls College, but, refusing to conform to the changes in religion at the beginning of the reign of Elizabeth I, he gave up his fellowship and went to Rome, where he was received into the Society of Jesus.

For seventeen years he was professor of moral theology and controversy in the Jesuit College at Dillingen, in present-day Bavaria. In 1581 he was sent to England as superior of the Jesuit mission, but his leniency in that position led to his recall.

On his way back to the Continent, a violent storm drove him back to the English coast. He was arrested on the charge of being a priest, but, although extraordinary efforts were made to induce him to abjure his opinions, he remained firm. He was condemned to perpetual exile on pain of death, and died at Naples on 9 January 1598.

His verse translations of Seneca were supplemented by other plays contributed by Alexander Neville, Thomas Nuce, John Studley and Thomas Newton. Newton collected these translations in one volume, Seneca, his tenne tragedies translated into Englysh (1581). The importance of this work in the development of English drama can hardly be overestimated.

He also wrote four poems published in 1576 in the Elizabethan collection known as The Paradise of Dainty Devices.

Seneca e il teatro elisabettiano

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