Vivere (Ikiru) (1952)

Vivere (Ikiru,生きる) è un film del 1952 scritto e diretto da Akira Kurosawa.

Il film esamina le sofferenze di un burocrate di Tokyo e la sua finale ricerca del senso delle vita. Nel cast del film brillano Takashi Shimura, che recitò in molti film di Kurosawa (il più famoso dei quali come capo ne I sette samurai), che qui interpreta il povero dipendente Kanji Watanabe.

 Akira Kurosawa

Trama

L’impiegato comunale Watanabe, capoufficio della sezione civile, vedovo da venticinque anni, scopre di avere un tumore allo stomaco. Tutto gli crolla addosso, e nessuno è in grado di aiutarlo, neppure il figlio Mitsuo, che anzi lo maltratta. Ritira tutti i quattrini dalla banca e decide di godersi i pochi mesi che gli restano.

Con un amico, autore di romanzi, gira per i night di Tokyo. Frequenta una giovane ex-collega di ufficio, che gli consiglia di dare le dimissioni e di rendersi utile con qualche iniziativa seria. Ricorda che in ufficio si era occupato della trasformazione di una zona paludosa in un parco giochi per bambini. Cinque mesi dopo, Watanabe è morto. Il parco giochi esiste. I giornalisti si chiedono se il merito spetti davvero al sindaco, come egli va dicendo, e apprendono, consultando le carte, che era stato Watanabe a fare la spola da un ufficio all’altro per rimettere in moto un progetto arenato nell’incuria generale.

All’inaugurazione nessuno lo ricorda: lui che si era spento seduto su un’altalena del nuovo parco, felice di essere riuscito a compiere il “miracolo”. I colleghi, ubriachi, giurano di prendere esempio da lui. Le madri dei bambini pensano al loro benefattore. Il giorno dopo è tutto dimenticato. Un altro impiegato ha preso il suo posto in ufficio; non si parlerà mai più di Watanabe.

Critica

« Un riepilogo del cinema di Kurosawa, l’ha definito qualcuno. “Un’opera discorsiva, lunga e varia – spiegano gli storici Anderson e Ritchie – piena di svolte e mutamenti. Passa da clima a clima, dal presente al passato, dal silenzio a un frastuono assordante, e sempre nel modo meno confuso e più affascinante”. Un gioco serrato fra un’azione lineare al presente, un esteso flashforward e numerosi brevi flashback incastrati nel flusso centrale del racconto consente di rivelare, di sorpresa in sorpresa, i segreti dell’odissea di Watanabe […] e di mettere a fuoco i due temi del film: l’analisi a ciglio asciutto di una vita che si spegne; la satira feroce di una burocrazia impiegatizia che soffoca la società. […] Il pessimismo kurosawiano stringe in un blocco espressivo di forte suggestione in un mondo intero di pensieri, di aspirazioni, di rimpianti e di illusioni. Non c’è, come altre volte, né enfasi né sfarzo. C’è soltanto l’amarezza per l’inevitabile sconfitta»
(dal Dizionario dei capolavori del cinema, di Giammatteo-Bragaglia, 2007, Mondadori)

Vivere è presente nella classifica dei 100 più grandi film secondo il Time, mentre compare al 459º posto nella lista dei 500 film più grandi di tutti i tempi secondo Empire Magazine. Il film ha una percentuale positiva del 100% basata su 24 recensioni critiche di vari critici sul sito web Rotten Tomatoes.

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Vivere_%28film_1952%29

Sorry samurai fans, ‘Ikiru’ is Kurosawa’s greatest film

To many film fans, Akira Kurosawa’s career seems to be more well-known for action-driven samurai pictures. It’s hard not to agree with this assessment, especially with landmark films like Throne of Blood, Yojimbo, Ran, and – of course, his best action film – The Seven Samurai.

Yet for this seeming reputation, the Japanese director’s best work may actually be a film that came out two years before the Seven Samurai burst onto the filmmaking scene. It was an extraordinary drama about an ordinary man who decided to take steps in changing his life before it ends. That film was Ikiru.

Kanji Watanabe (Kurosawa regular Takashi Shimura) is a bureaucrat in Japan, working the same job – day after day, in the same, monotous groove – for 30 years. There isn’t much for him outside of his life, save for his children who have little to no interest in seeing him. Then he receives a diagnosis, which is given to the audience as the film’s first image: Watanabe discovers he has stomach cancer, and he doesn’t have much time left.

During the film’s first half, Watanabe searches through Japan to find some reasoning in his new diagnosis, and to gain a new purpose in the remaining time he has left. What he ends up discovering – through his meetings with a drunk writer and a young girl who makes toys – leaves an impact that is felt through the rest of the film.

Yet this change also affects Watanabe’s fellow workers. In the film’s second half, they try to understand what caused him to act the way he did. They and the audience also learn one major detail of Watanabe’s last days, when it came to his job. While his fellow bureaucrats may be confused by the action their co-worker took, the impact of the action itself is life-altering for the commoners who demand it. (It’s best for the audience to experience the moment for themselves, without any need to spoil it.)

What Kurosawa made with Ikiru was one of the ultimate films about the meaning of life. Unlike most American directors who take terminal illness movies and turn them into “Movies of the Week” (complete with overwrought melodrama and way-too-sappy music), Kurosawa doesn’t take this approach. Instead, he lets the audience know Watanabe from a distance – but even then, if they don’t get close to the man, they may still accept the changes he makes in his life. Sometimes that’s what the shortening of time can do to a man – try to pull off one last act of kindness to seal his legacy. That’s one thing every person on this Earth wants, and in Ikiru, Kurosawa makes this point clear. The film’s ending also cements it, with little doubt.

http://www.examiner.com/review/sorry-samurai-fans-ikiru-is-kurosawa-s-greatest-film

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