Giovedì primo ottobre 2009. Catastrofe nel messinese, per non dimenticare. Saluti rossi.

La tremenda alluvione del primo ottobre del 2009 che ha colpito Giampilieri, Scaletta e altri villaggi del Messinese, causando la morte di 37 persone e danni per oltre 400 milioni di euro, ha lasciato una ferita indelebile nei familiari delle persone decedute. Tra questi Nino Lonia, che nella tragedia ha perso la moglie Maria Letizia Scionti, 43 anni, i figli Lorenzo e Francesco, due e sei anni e il suocero Salvatore Scionti, travolti dal fango a Giampilieri. La sua casa è stata inoltre distrutta e Lonia si è trovato da un giorno all’altro, senza più nulla, nè i suoi familiari, nè la casa per la quale aveva fatto tanti sacrifici. A tre anni dal nubifragio, Lonia è ormai stanco ed anche sfiduciato perché le istituzioni lo hanno lasciato sempre più solo senza dargli una mano nonostante le tante promesse ” da marinaio” fatte dai politici.

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CIRCOLO DI INIZIATIVA PROLETARIA

GIANCARLO LANDONIO VIA STOPPANI,15

21052 BUSTO ARSIZIO –VA- Italia

(Quart. Sant’Anna dietro la piazza principale)

e-mail: circ.pro.g.landonio@tiscali.it

———————————Archivio giornali murali affissi in prov. di Varese nel 2009. Anche in allegato.

SUPPLEMENTO giornale murale del 16/10/2009 (Formato PDF)

Catastrofe nel messinese. Una colata di fango sommerge “Giampilieri” e “Scaletta Zanclea” a sud di Messina. È l’ennesima catastrofe annunciata da dissesto del territorio e da mancato intervento pubblico. Si contano 35 morti, decine di dispersi, centinaia di feriti, un migliaio di sfollati. Senza lotta per il “controllo proletario” del territorio tutto va in rovina. Formare in ogni rione i “comitati proletari” per il controllo ambientale. Esigere gli indennizzi immediati. Esigere il salario minimo garantito di 1.250 euro mensili intassabili per tutti i lavoratori disastrati, disoccupati, sottoccupati.

Valanghe di fango, tra le ore 17 e le 22 di giovedì primo ottobre [2009], sommergono Giampilieri Scaletta Zanclea Briga Marina Altolia paesini di Messina. Sotto la pioggia battente le montagne sovrastanti si trasformano in torrenti di fango che travolgono case ponti macchine. La gente viene sepolta dal fango e dai detriti o intrappolata in casa senza luce telefono gas. La statale 114 rimane coperta da una coltre di melma e si interrompe ogni collegamento, stradale e ferroviario, tra la Sicilia Orientale e lo Stretto. Per tutto venerdì e in parte per sabato i rioni colpiti rimangono isolati e possono essere raggiunti solo a piedi dal mare o in elicottero. Autoambulanze, Protezione Civile, Brigata Aosta, restano bloccate. La capitaneria di porto appresta qualche soccorso dalla costa. La mattina del 2 qualche elicottero raccoglie gli scampati dai tetti delle case affondate nel fango. Molino, un agglomerato di Giampilieri, rimane isolato per tre giorni. I morti accertati nei primi quattro giorni sono 26; ma non si trovano i cadaveri delle persone che mancano all’appello (circa 20). Un migliaio di persone resta senza casa. A Giampilieri gli sfollati si accalcano nella scuola elementare di fronte alla montagna franata. Fango e tanfo avvolgono i quattro paesini.

La causa del disastro
il dissesto idrogeologico del territorio

I segnali di quanto avviene in pomeriggio si vedono sin dalla mattina in quanto la fiumana Storta, un torrente che taglia in due Giampilieri, sorpassa il livello della strada e la montagna emette sinistri boati. Questi segnali richiamano poi alla memoria la devastazione verificatasi il 25 ottobre 2007 allorquando un nubifragio aveva riversato in mare fango e detriti risparmiando fortunosamente le case. Ora la montagna scivola sulle case. E il disastro annunciato diventa realtà. La Giunta messinese, col Sindaco in testa, e la Protezione civile regionale da anni conoscevano la grave situazione idrogeologica del territorio collassato per essere stata rilevata dai tecnici del genio civile e ripetutamente denunciata da varie associazioni locali (1). I responsabili dell’amministrazione locale e quelli della Protezione civile regionali non solo hanno omesso di predisporre le opere necessarie a mettere in sicurezza il territorio ma hanno persino trascurato la manutenzione ordinaria. Colpito dalla tragedia l’ing. Gaetano Sciacca, funzionario del genio civile di Messina, ha riferito ai quotidiani che, constatata l’incuria degli amministratori, all’inizio del 2009 aveva depositato un esposto alla Procura con cui denunciava le gravi condizioni di rischio del territorio; che la direzione regionale della Protezione civile aveva i mezzi per intervenire; e che stentano anche gli interventi di manutenzione ordinaria (2). Quindi il disastro, sul piano contingente e tecnico, ha i suoi diretti, individuati e ben individuabili responsabili: il Sindaco, la Giunta del Comune di Messina, la Direzione regionale della Protezione civile, gli ispettorati dell’amministrazione statale, tutti fino al governo. E questa responsabilità non può essere giustificata dall’enorme quantità di acqua caduta nelle cinque ore di eccezionale pioggia (3) in quanto i mancati interventi di manutenzione e consolidamento, oltre a non attenuare il fenomeno ne hanno ingigantito gli effetti devastanti. Eppertanto l’eccezionalità delle piogge non può spostare la responsabilità del disastro dall’uomo alla natura.

Lo scaricabarile sulle responsabilità e la cagnara tra “leghisti” e “sudisti”

per mascherare lo sfruttamento capitalistico-affaristico-privatistico del territorio

Il sindaco di Messina (Giuseppe Buzzanca) continua a ripetere che si è trattato di un evento straordinario e contesta che la Protezione civile abbia dato un adeguato allarme, rilevando che essa si sarebbe limitata a parlare di allarme meteo non di allarme catastrofe. Ora tutti i tecnici, del Comune e della Protezione civile, sanno che la costiera messinese è ad altissimo rischio sismico e idrogeologico e che senza il riassetto del territorio basta un temporale per provocare disastri (4). Per cui, senza mettere mano a questo riassetto – cosa da cui si guardano bene Sindaci Governatori Governo – il rimbalzo delle responsabilità è ridicolo e ingannevole (5).

Ma è ancora più indecente e ingannevole la cagnara sulle responsabilità sollevata da leghisti e da sudisti. I leghisti istituzionali mettono sotto processo il Sud, recriminando che questo pensa a scroccare fondi statali per costruire abusivamente e che il territorio meridionale è dominato dalle organizzazioni mafiose. I sudisti siciliani ribattono che i loro compari di governo soffrono di riflesso automatico nell’assimilare la Sicilia all’abusivismo e all’illegalità e lamentano che l’esecutivo non ha avuto neanche la pietà di proclamare il lutto nazionale riconosciuto alle vittime di Viareggio e persino a Mike Bongiorno. In modo ancora più furbesco e insidioso alimentano la cagnara il governatore Lombardo e la Prestigiacomo, i quali si scagliano contro l’abusivismo e lo scempio del territorio, mentre il primo ha concesso la sanatoria a tutti i piani regolatori sino al 2007 e la seconda sostiene il piano casa che rompe, con l’aumento delle cubature e delle sopraelevazioni, ogni equilibrio urbano esistente. Questa è una cagnara da bisca. Nell’emergenza si punta il dito contro l’abusivismo, che è un aspetto marginale della cementificazione dei suoli (6), e si nasconde lo sfruttamento capitalistico intensivo, speculativo e privatistico, del territorio (pubblico e privato) causa generale e permanente degli scempi e disastri passati presenti e futuri. Sotto processo va messo quindi, non l’abusivismo, ma la legalità (7).

La “responsabilità sistemica” da cui nessun politicante
o pubblico amministratore può prosciogliersi

Tutti i disastri, che avvengono ormai quotidianamente e che si distinguono solo per le dimensioni e la distruttività sociale e ambientale non sono la conseguenza di fenomeni naturali o eccezionali, sono il prodotto del modello di organizzazione sociale, il risultato intrinseco del capitalismo di putrefazione. La cementificazione inarrestabile dei suoli, il ruolo crescente giocato dal settore edilizio nell’accumulazione capitalistica, lo sfruttamento intensivo delle aree sotto la spinta dell’innalzamento della rendita urbana, hanno trasformato e trasformano il territorio in una bomba esplosiva (8). Basta un temporale, un incendio, un crollo, un incidente stradale ferroviario o aereo per provocare disastri inimmaginabili. La realtà della società capitalistica contemporanea è quindi quella di una disastrosità sistemica.

La catastrofe del messinese sotto l’aspetto generico è una esemplificazione di questa disastrosità sistemica; sotto l’aspetto specifico è anche una manifestazione, un indice, del collasso progressivo del territorio. Per 800 anni l’insediamento di Giampilieri ha vissuto tranquillamente con la montagna. Solo da qualche decennio esso ha dovuto constatare e temere che questa costituiva un pericolo pubblico. L’alluvione dell’ottobre 2007 è stata la prova generale dell’attuale disastro. Come si è arrivati a tanto? Si è arrivati a tanto perché i mancati interventi di messa in sicurezza della montagna e, più in generale, quella che viene correntemente chiamata incuria amministrativa dipendono, non dalle sole decisioni tecniche di questa o quella amministrazione (locale, regionale, centrale) o soltanto da queste, bensì dalla logica di governo del territorio. E questa logica è improntata al saccheggio affaristico privatistico speculativo, legale o legalizzato, del territorio; col conseguente crescente degrado e dissesto dello stesso. All’origine della catastrofe messinese, e delle altre analoghe catastrofi passate presenti e prossime, c’è il dissesto idrogeologico generale, ossia l’intreccio monetario-affaristico tipico del capitalismo decadente. A Giampilieri la montagna, in crescente dissesto per la sua devalorizzazione, è scivolata sull’agglomerato urbano cresciuto su ogni palmo di terreno edificabile. E tutto per una questione di soldi a monte e a valle. Quindi, se davanti i tribunali ordinari amministratori e politicanti possono sfuggire alle loro responsabilità dirette in quanto borghese non mangia borghese; non potranno invece sfuggire alla loro responsabilità sistemica davanti i tribunali proletari.

Le misure abbozzate dal governo: niente messa in sicurezza ma spiantamento

Il 4 ottobre dalla prefettura di Messina il presidente del consiglio, riconoscendo che si tratta di disastro previsto, delinea i seguenti interventi: 1°) prima di tutto nomina, quale commissario per l’emergenza post-alluvione, il governatore Lombardo; 2°) in secondo luogo promette agli sfollati che verrà stanziato un miliardo e che verranno sospesi tasse e mutui; 3°) in terzo luogo che verrà seguito il modello Abruzzo: ricostruzione dei paesi in alcune zone della provincia. Il 7 alla Camera Bertolaso precisa che l’intervento in soldi è per 40 milioni (20 della Regione e 20 del Governo); e che questi soldi basteranno solo per fronteggiare le prime situazioni di emergenza, cioè gli interventi in atto da cui sono escluse ricostruzioni e messa in sicurezza. Egli ha precisato, altresì, che non è stato stabilito sul come procedere alla costruzione delle nuove abitazioni da destinare ai 728 sfollati negli alberghi. Nello stesso giorno la presidenza del consiglio concede il lutto nazionale. E il 10 a Messina le alte cariche dello Stato, responsabili del disastro, pubblicizzano il loro cordoglio ai familiari delle vittime. Come si vede da questi primi accenni il governo non sgancia soldi, né per i disastrati (rimasti senza niente), né per la messa in sicurezza del territorio, né per le ricostruzioni. Mira allo spiantamento della popolazione (modello Abruzzo) per favorire i nuovi costruttori e alla conservazione, salvo qualche toppa, dello stato esistente del dissesto idrogeologico. La protesta di fronte alla Prefettura di Messina, dove si è recato il premier Berlusconi (Ansa) 4 ottobre 2009

Bene hanno fatto i sinistrati a insorgere contro il modello Abruzzo e a denunciare che la colpa del disastro non è dell’abusivismo bensì dei politici e della loro insipienza. Ma per procedere su questa strada e, ancor di più, per perseguire un nucleo di interessi comuni, occorre delimitarsi socialmente, distinguendo i lavoratori dal resto della popolazione, definire obbiettivi ispirati a questi interessi comuni, organizzare adeguati organismi di lotta. I disastri del nostro tempo richiedono soluzioni, non tecniche, ma politico-sociali.

 La questione territoriale-ambientale è una questione di guerra tra le classi

L’esperienza di una catastrofe per chi la vive per la prima volta è un’esperienza unica; ma l’esperienza delle catastrofi si sedimenta socialmente; e di questa bisogna tenere massimamente conto. Il 16 maggio 1998 venivano sommersi dal fango per lo scivolamento del manto di copertura della montagna i Comuni di Quindici Sarno Bradignano Lauro San Felice a Castello ed altri delle province di Avellino Caserta Salerno. La calata di fango provocava più di 200 morti e danni ingenti alle case e alle infrastrutture (ved. Suppl. 16/5/98 inserito nel 3° volume della raccolta 1997-1999). A conclusione dell’analisi di questo enorme disastro, al quale per la dinamica somiglia sorprendentemente quello attuale del messinese, traevamo le seguenti considerazioni: a) i governi destinano sempre meno fondi alla manutenzione di un ambiente sempre più disastrato; per cui collassano da ogni lato le basi di vita della gente; b) la catastroficità del sistema è entrata in fase conflagrativa; c) dal disastro campano bisogna trarre la conclusione che la questione ambientale è una questione basilare della guerra tra le classi; d) di conseguenza lavoratori e giovani possono salvaguardare la loro vita solo battendosi contro il sistema devastatore.

Queste considerazioni valgono in pieno per i paesi disastrati del messinese. Eppertanto, su questa premessa e a conclusione, proponiamo e rivolgiamo ai lavoratori e ai giovani messinesi le seguenti indicazioni operative.

1) Formare i comitati proletari di quartiere e di rione per il controllo e il risanamento dell’ambiente.

2) Esigere il salario minimo garantito di 1.250 euro mensili intassabili per lavoratori giovani rimasti senza lavoro o disoccupati semioccupati sottopagati.

3) Esigere l’assegnazione di case agibili a favore di tutti i lavoratori sinistrati e senzatetto.

4) Imporre alle autorità la bonifica del territorio.

5) Esigere l’indennizzo entro un mese di tutti i danni subiti e un sussidio per artigiani e diretto-coltivatori rimasti senza mezzi.

6) Combustibili luce gas e telefono gratuiti fino al superamento dell’emergenza.

7) Blocco di ogni tassa contributo mutuo.

8) Attaccare giunte governatori governo responsabili della devastazione.

9) Guerra sociale e rivoluzionaria contro la macchina statale del sistema di distruzione per il potere proletario.

NOTE

(1) Un comitato formatosi a Scaletta Zanclea aveva fatto un esposto alla Procura chiedendo che questa procedesse nei confronti degli amministratori incuranti al fine di evitare il peggio.

(2) Tipo: raccolta delle acque; consolidamento dei versanti; piantumazione di essenze nelle superfici interessate da incendi; realizzazione di vie di fuga per consentire alla gente di scappare.

(3) Un esperto del CNR definisce le cinque ore di pioggia battente, pari a 250 mm, “bombe d’acqua”, “ciclone extra tropicale”; spiegando che questo si è formato in quanto la temperatura si è elevata di 3 gradi rispetto alla media; e, aggiungendo, che il resto è dovuto al degrado e al cemento.

(4) Solo il Comune di Messina è attraversato da circa 60 torrenti; ed ha più di 70 aree ad alto rischio, di cui una decina ad elevato rischio idrogeologico.

(5) Buzzanca contesta poi il ministro dell’ambiente (Prestigiacomo), rilevando che i fondi messi a disposizione dal ministero (11.185.000 euro) erano vincolati all’acquisto di autobus a metano, alla rete ciclabile, al traffico veicolare, al centro di distribuzione urbana delle merci. Come si vede il territorio non va sistemato, va sfruttato e ogni emergenza torna buona.

(6) L’abusivismo cammina come garba alle cricche di potere: è tollerato se serve a fini di consenso sociale; è criminalizzato se serve a fini di cassa e di esproprio.

(7) Bertolaso il 7 ottobre ha dichiarato alla Camera che l’abusivismo è una delle maggiori cause della catastrofe. Ma ciò contrasta con la realtà: a Giampilieri è venuta giù, come nel 1998 a Sarno, la montagna, che ha travolto ciò che poteva travolgere.

(8) Senza contare le costruzioni non denunciate in Italia si registrano 65 milioni di immobili una coltre di cemento che da sola avvinghia il territorio in modo sempre più squilibrante e disastroso. Metà di questi immobili, che valgono due anni di Pil, è concentrata al Nord. Col piano casa questa coltre può ingrandirsi dal 20 al 30% o anche di più a seconda dei casi e delle decisioni delle Regioni.

Milano. Ottobre 2009.
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Edizione a cura di

RIVOLUZIONE COMUNISTA
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