Averroè – Ibn-Rushd (1126-1198),

influenza sul pensiero occidentale.

Problema fondamentale del pensiero di Averroè è il rapporto filosofia-religione, che si riduce sostanzialmente all’altro Aristotele-Corano: Aristotele rappresenta infatti il punto piú alto cui possa giungere la riflessione filosofica basata sulla ragione, e il Corano è l’espressione piú alta e piú completa – perché viene dopo i libri sacri degli Ebrei e dei Cristiani – della rivelazione divina su cui si basa la fede religiosa. La religione non è in contrasto con la filosofia, le verità che la prima rivela agli uomini sono le stesse cui l’uomo può giungere con l’esercizio della propria ragione; solo che, mentre la maggioranza degli uomini non è capace di andare al di là della propria immaginazione ed ha quindi bisogno – per intendere – dei simboli e delle allegorie degli scritti sacri, i filosofi, con l’esercizio della ragione, riescono ad andare al di là delle immagini e dei simboli ed a cogliere la verità nella sua pura razionalità.
La distinzione e la concordanza tra verità di fede e verità di ragione non ha però in Averroè questo solo significato filosofico, bensí anche un preciso significato politico:

In breve, i filosofi credono che le leggi religiose siano necessariamente arti politiche, i cui principi sono offerti dalla ragione naturale e dall’ispirazione… Secondo i filosofi, insomma, le religioni sono necessarie perché guidano verso la saggezza in una direzione comune a tutti gli esseri umani; laddove la filosofia dirige alla conoscenza della felicità solo un certo numero di persone intelligenti, le religioni mirano all’istruzione delle masse in genere. (Incoerenza dell’incoer. I)

V’è perciò una sostanziale concordanza delle tre grandi religioni, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo, le quali regolano con le loro leggi la vita sociale dell’uomo in vista della sua felicità, laddove i filosofi possono raggiungerla appunto realizzando il proprio fine che consiste – aristotelicamente – nel comprendere e contemplare. Ciò che ne deriva è non soltanto la distinzione tra una minoranza di eletti ed una maggioranza di incolti bisognosi dell’educazione religiosa, ma anche la necessità per i filosofi di non criticare o esprimere dubbi circa i principi religiosi. Perché è vero che in ogni religione si mescolano ispirazione divina e ragione, ma è vero anche che sarebbe pericoloso – politicamente – affermare che esiste perciò una “religione naturale” cui si può giungere con i soli lumi della ragione. Infatti

tutti i filosofi concordano sul fatto che la norma dell’azione deve fondarsi sull’autorità, perché non si può dimostrare l’obbligatorietà dell’azione se non attraverso l’esistenza di virtù che si realizzano nelle azioni morali e nelle attività operative. (Incoer. Dell’incoer.,I)

Ma la dottrina piú nota di Averroè, oggetto di grande interesse e di grandi discussioni nel mondo latino, è quella dell’intelletto. Criticando la dottrina di Avicenna che ordinava neoplatonicamente le essenze in una gerarchia e distingueva quindi tra l’essere necessario e l’essere possibile, Averroè sostiene che gli universali non sono forme aventi una esistenza separata ed indipendente dagli esseri individuali che costituiscono l’unica vera realtà; gli universali non sono altro che astrazioni che l’intelletto opera sulla base delle proprie esperienze degli enti individuali. Nell’intelletto, poi, bisogna distinguere un intelletto attivo da un intelletto passivo; come la luce rende visibili i colori e le forme alla vista nell’atto della sensazione visiva, cosí l’intelletto attivo determina la comprensione degli intelligibili nell’intelletto passivo. Quest’intelletto passivo, che è tale in quanto è in potenza, è chiamato da Averroè ilico, cioè materiale: materiale, però, non significa né legato alla sensibilità, né – come voleva Aristotele per l’anima – forma di una determinata corporeità.

Infatti, poiché la facoltà che vien chiamata intelletto ilico pensa tutte le cose, ossia percepisce le forme di tutte le cose, bisogna che non sia mescolata ad alcuna forma; non deve cioè essere mescolata, come le altre facoltà materiali, al soggetto in cui si trova. (Commento medio sull’Anima)

Infatti, se l’intelletto materiale fosse mescolato alla forma del corpo, ne deriverebbe o che questa forma ostacolerebbe l’acquisizione di altre forme, o le muterebbe una volta percepitele, mettendo in crisi cosí l’universalità della conoscenza. Ne deriva che l’intelletto materiale non è che una semplice disposizione:

l’intelletto in potenza è una semplice disposizione, e non qualcosa in cui si trova la disposizione. Veramente, tale disposizione si trova in un soggetto; ma, dato che essa non gli si mescola, il suo soggetto non è, esso, l’intelletto in potenza.
(Commento medio sull’Anima)

Fin qui l’originale elaborazione del pensiero aristotelico di Averroè sembra accordarsi con quella di Alessandro di Afrodisia, in realtà il commentatore arabo è ben lontano da quello greco. Tanto per Averroè quanto per Alessandro l’intelletto passivo e l’intelletto attivo sono una sola e medesima cosa: l’uno è considerato in quanto riceve gli intelligibili, l’altro in quanto elabora e costruisce gli intelligibili. Mentre però per Alessandro intelletto passivo ed intelletto attivo costituiscono la forma di un corpo individuale e quindi periscono con la sua morte, per Averroè non è cosí. Distinguendo nell’anima tre parti dell’intelletto, l’intelletto che riceve (passivo), l’intelletto che fa (attivo) e l’intelletto che è fatto, Averroè separa le prime due (che sono la stessa cosa considerata da due punti di vista diversi), in quanto eterne e ingenerate, dalla terza, che è generata e corruttibile, ed è quella appunto che si trova nel singolo individuo. Ne deriva cosí che l’intelletto materiale, unico per tutti gli uomini, ha una realtà eterna, mentre gli individui – gli intelletti che sono fatti, cioè creati da Dio – vivono un’esistenza mortale. È vero che l’intelletto materiale ha sempre un’esistenza legata agli uomini, in quanto non possono esistere gli intelligibili se non sono pensati concretamente da intelletti umani, ma è anche vero che sono legati agli uomini come specie umana e non come singoli individui: questi muoiono, mentre non muore l’umanità.

E poiché siamo arrivati alla conclusione che l’intelletto materiale è unico per tutti gli uomini, dobbiamo concluderne del pari che la specie umana è eterna, di modo che l’intelletto materiale non abbia da restar mai privo dei principi universali noti a tutta la specie umana, cioè delle prime affermazioni e di quei concetti che son comuni a tutti. (Commento medio all’Anima)

Naturalmente questi originali sviluppi dell’aristotelismo non potevano non incontrare forti resistenze sia negli ambienti delle filosofie neoplatonico-cristiane, sia in quelli dell’aristotelismo latino, come vedremo; ma anche negli ambienti della stessa cultura araba le tesi di Averroè incontrarono fortissime resistenze da parte dei rappresentanti piú ortodossi e ligi alla tradizione coranica. La proclamata identità fra religione e filosofia non evitò ad Averroè di subire le accuse, le persecuzioni e l’esilio che si abbatterono su di lui nell’ultimo periodo della sua vita, fino alla morte.

http://www.giutor.com/sdf/ant/capXIII/par5.htm

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