Della pensioni di stato ai poeti
Me-ti diceva: Io nutro qualche dubbio sulle pensioni che lo Stato paga ai poeti honoris causa. Questo può andar bene quando il poeta ha reso con una sua opera un servigio particolare allo Stato, dico allo Stato e non alla nazione. Per opere belle in quanto tali le pensioni non sono giustificate. Lo Stato non deve fare regali per cui non riceve contropartite e dovrebbe astenersi dal voler rappresentare la nazione in campo culturale. Ma anche i poeti non devono prendere nulla dallo Stato se non gli dànno delle contropartite. Questo li mette in un pericoloso rapporto di dipendenza dallo Stato, cioè dalle autorità del momento. Ciò che lo Stato può fare è di mantenere i poeti pagandoli per compiere traduzioni da lingue straniere. Questo è un lavoro che richiede semplicemente abilità artigianali. È facilmente controllabile, e il controllo favorisce l’intelligenza dell’arte. Gli artisti potranno allora introdurre nelle proprie opere tutte le innovazioni che riterranno necessarie e nessuno potrà condannarli per questo a morire di fame – magari per amore delle antiche opere d’arte! Le innovazioni che andranno eventualmente a finire nelle traduzioni saranno sempre limitate e soprattutto controllabili. Ma i poeti stessi saranno così messi in grado di misurare le proprie creazioni su quelle di altri poeti- d’altro tempo o d’altra lingua. E riceveranno il loro compenso per utili servigi che rendono alla nazione, poiché le buone traduzioni sono della massima importanza per ogni letteratura. Si aggiunga che dovranno imparare le lingue straniere, ciò che è parimenti molto utile, già per il solo fatto che così conosceranno meglio la propria. In tal modo, se lo Stato paga le traduzioni esso fa abbastanza – e non troppo – perché nascano nuove opere.
Bertolt Brecht :
DEL GRANDE METODO