DEL GRANDE METODO (sezione della morte) 53

Della pensioni di stato ai poeti

 

Me-ti diceva: Io nutro qualche dubbio sulle pensioni che lo Stato paga ai poeti honoris causa. Questo può an­dar bene quando il poeta ha reso con una sua opera un servigio particolare allo Stato, dico allo Stato e non alla na­zione. Per opere belle in quanto tali le pensioni non sono giustificate. Lo Stato non deve fare regali per cui non ri­ceve contropartite e dovrebbe astenersi dal voler rappre­sentare la nazione in campo culturale. Ma anche i poeti non devono prendere nulla dallo Stato se non gli dànno delle contropartite. Questo li mette in un pericoloso rap­porto di dipendenza dallo Stato, cioè dalle autorità del momento. Ciò che lo Stato può fare è di mantenere i poe­ti pagandoli per compiere traduzioni da lingue straniere. Questo è un lavoro che richiede semplicemente abilità artigianali. È facilmente controllabile, e il controllo favo­risce l’intelligenza dell’arte. Gli artisti potranno allora in­trodurre nelle proprie opere tutte le innovazioni che ri­terranno necessarie e nessuno potrà condannarli per que­sto a morire di fame – magari per amore delle antiche o­pere d’arte! Le innovazioni che andranno eventualmente a finire nelle traduzioni saranno sempre limitate e soprat­tutto controllabili. Ma i poeti stessi saranno così messi in grado di misurare le proprie creazioni su quelle di altri poeti- d’altro tempo o d’altra lingua. E riceveranno il lo­ro compenso per utili servigi che rendono alla nazione, poiché le buone traduzioni sono della massima importan­za per ogni letteratura. Si aggiunga che dovranno impa­rare le lingue straniere, ciò che è parimenti molto utile, già per il solo fatto che così conosceranno meglio la pro­pria. In tal modo, se lo Stato paga le traduzioni esso fa ab­bastanza – e non troppo – perché nascano nuove opere.

 

Bertolt Brecht :

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