Da vedere: “Hunger” di Steve McQueen

Finalmente a quattro anni dalla sua uscita si può vedere anche in Italia “Hunger”, opera prima di Steve McQueen, sulla lotta dell’IRA per il riconoscimento dello status di prigionieri politici ai propri militanti incarcerati. Una battaglia costata dieci caduti, da molti considerata disperata e perdente (vedi nel film il bellissimo dialogo fra Bobby Sands e il prete), ma che segnò una svolta decisiva nella lotta per il riconoscimento della piena cittadinanza ai cattolici dell’Ulster. Un film da vedere. Quando il cinema italiano troverà il coraggio di fare un film simile sui brigatisti prigionieri nei supercarceri dell’Asinara e di Trani?

 

Adriano De Grandis

 

Hunger, il calvario di un corpo diventa un manifesto politico

 

C’è voluto il successo di “Shame” per vedere finalmente anche in Italia l’opera d’esordio di Steve McQueen, regista e artista multimediale britannico, che con “Hunger” vinse a Cannes nel 2008 la Camera d’or per la miglior opera prima. “Shame”, al contrario di molte critiche d’entusiasmo, ha destato in noi l’impressione di essere ben al di sotto della forma e della forza incredibile e disturbante dell’opera d’esordio, contando sul tema della sessualità, sul ripetuto nudo frontale di Fassbender (premiato meritatamente a Venezia come miglior attore) e a uno stile molto cool.

Anche in “Hunger” protagonista è il corpo di Fassbender, solo che l’esuberanza erotica è sostituita dal fisico che diventa luogo di martirio, col digiuno volontario fino alla morte (impressionante l’immagine scheletrica dell’attore). Siamo nel famigerato carcere Maze nell’Ulster, durante la lotta per l’indipendenza dell’Irlanda del Nord (anni ’80), quando Bobby Sands dette il via, assieme ai suoi compagni, a una forma estrema di rivolta e protesta contro il governo Thatcher.

“Hunger” è un film magnifico, tra i più agghiaccianti. Sgradevole tra escrementi e urina, violento fino all’insopportabilità, pone lo spettatore davanti a un inferno, che McQueen carica con uno stile secco e feroce, senza pause distensive, mettendo a dura prova lo sguardo che fatica a non restare sconvolto.

È perfetto nella scansione traumatica dei tempi, nella scelta sintomatica dei dettagli, nei silenzi orribili e in quell’unico, immenso, interminabile dialogo tra Bobby Sands e il suo prete d’infanzia (17 minuti memorabili di piano sequenza), autentico manifesto politico-esistenziale del film, dove Liam Cunningham è adeguata spalla di un gigantesco Fassbender. Un film imperdibile, ma non per tutti, dove il calvario di un corpo diventa ragione politica.

(Da: www.gazzettino.it/)

 

http://cedocsv.blogspot.it/2012/05/da-vedere-hunger-di-steve-mcqueen.html



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