Qualche parola su me stesso (1913)
Amo guardare come muoiono i bambini.
L’avete mai vista la brumosa onda della risacca del riso
dietro la proboscide della tristezza?
Io, invece,
nella biblioteca delle strade
ho sfogliato così spesso il volume delle tombe.
La mezzanotte
palpava con fradicie dita
me
e il chiuso steccato,
e con la calvizie delle cupola imperlata dall’acquazzone
galoppava la cattedrale impazzita.
E vedo: Cristo fuggiva dall’icona,
e la fanghiglia baciava in lacrime
il lembo della tunica sbattuto dal vento.
Io grido contro il muro,
conficco il pugnale delle parole frenetiche
nella polpa del cielo inturgidito:
<< Sole!
Padre mio!
Abbi tu almeno pietà, non tormentarmi!
E’ il sangue mio da te versato che scorre sul lungo cammino.
E’ la mia anima
in quei brandelli della lacerata nuvola
sull’arrugginita croce del campanile
nel cielo riarso!
Tempo!
Almeno tu, sciancato pittorucolo di icone,
dipingi la mia immagine
nel sacrario del secolo deforme!
Sono solitario come l’ultimo occhio
di un uomo in cammino verso la terra dei ciechi>>.
Ma voi potreste? (1913)
A un tratto impiastricciai la mappa dei giorni prosaici,
dopo aver schizzato tinta da un bicchiere,
e mostrai su un piatto di gelatina
gli zigomi sghembi dell’oceano.
Sulla squama d’un pesce di latta
lessi gli appelli di nuove labbra.
Ma voi
potreste
eseguire un notturno
su un flauto di grondaie?