IL POSTO DELLE FRAGOLE di Ingmar Bergman (1957)

INGMAR BERGMAN:  LO SGUARDO DELLA SOLITUDINE

 

                         IL POSTO DELLE FRAGOLE  di  Ingmar Bergman  (1957)

Molte delle osservazioni proposte per la lettura del film “Il Settimo Sigillo” valgono anche per questo film che costituisce la realizzazione forse artisticamente più equilibrata e compiuta dell’universo tematico-formale del cinema di Bergman.

“Il posto delle fragole”, film alla cui realizzazione Bergman si dedicò con molto impegno ( fino al punto di avere un esaurimento nervoso),  è  una  meditazione sulla  vita e sulla morte ed è anche una storia di conversione del protagonista, che si pente del proprio egoismo. E’, infine, un film in cui il regista sottolinea come  gli affetti possano essere  valore primario dell’esistenza e costituire ancora di salvezza da una visione pessimistica o nichilistica  della stessa.

Un vecchio medico parte in macchina con la moglie di suo figlio, carica gente che fa l’autostop, va  trovare la madre vecchissima, arriva a una università di cui viene festeggiato il suo giubileo, ma alle vicende del suo viaggio si alternano sogni, incubi, flashbacks e una lezione di vita: la rinuncia all’egoismo. Il film descrive un viaggio nella Svezia contemporanea, ma anche nel tempo, nel passato, nella fantasia. Il vecchio, ormai vicino alla morte, traccia il bilancio della propria vita, si trova di fronte a quelli che lo ammirano e che lo amano, e a quelli che lo detestano, che lo giudicano egoista, disinteressato o idiota. E rievoca gli amori giovanili, al tempo delle “fragole selvatiche”.

Il viaggio e i  fatti che lo seguiranno sono un profondo esame di coscienza per il medico che, pur avendo ottenuto ogni soddisfazione in campo professionale, a causa del suo fondamentale egoismo vive nella più gelida solitudine. Qualcosa però può ancora fare: cercare di convincere il figlio a non diventare come lui.

Si tratta della migliore opera di Bergman degli anni ’50, forse anche migliore del più ambizioso “Settimo Sigillo”, in quanto riesce ad essere una tragedia filosofica densa di tutta una tradizione culturale ( William Shakespeare, James Joyce, Marcel Proust, Thomas Mann, Søren Kierkegaard) e di una esperienza e una concezione della vita esplicantisi in fatti, personaggi e fantasie narrativamente pregnanti e commoventi.

Lo svolgersi del racconto e il discorso interiore concorrono con armonia alla comprensione della problematicità degli interrogativi esistenziali. Il film si apre con un incubo e finisce con un sogno rasserenante  che riconcilia il protagonista con la propria coscienza.

Anche qui sono  presenti sequenze da antologia della Storia del Cinema variamente riprese e citate dagli autori  che a Bergman  si ispirano ( Woody Allen in primis : i sogni; la famiglia patriarcale, che è ebraica in Allen, e si ritrova anche in altri film di Bergman fra i quali “Fanny e Alexander”).

Da ricordare, all’inizio del film,  la famosa scena dell’incubo.

Un vecchio medico parte in macchina con la nuora, carica gente che fa l’autostop, va a trovare la madre anziana, arriva in un’università di cui viene festeggiato il giubileo; ma alle vicende del suo viaggio si alternano sogni, incubi, flashback e una lezione di vita: la rinuncia all’egoismo.
Il film descrive un viaggio nella Svezia contemporanea, ma anche nel tempo, nel passato, nella fantasia.
L’anziano, ormai vicino alla morte, traccia il bilancio della propria vita, si trova di fronte a quelli che lo ammirano e che lo amano e a quelli che lo detestano, che lo giudicano egoista, disinteressato o sciocco. E rievoca gli amori giovanili, al tempo delle “fragole selvatiche”.
Il viaggio e i fatti che lo seguiranno sono un profondo esame di coscienza per il medico che, pur avendo ottenuto ogni soddisfazione in campo professionale, a causa del suo fondamentale egoismo vive nella più gelida solitudine. Qualcosa però può ancora fare: cercare di convincere il figlio a non diventare come lui.
Si tratta di una delle migliori opere di Bergman degli anni ’50, in quanto riesce ad essere una tragedia filosofica densa di tutta una tradizione culturale e di un’esperienza e una concezione della vita raccontati in fatti, personaggi e fantasie narrativamente “piene” e commoventi.
Lo svolgersi del racconto e il discorso interiore tracciano un cammino verso la comprensione della problematicità degli interrogativi esistenziali.
Ingmar Bergman, dopo “Il Settimo Sigillo”, firma una sintesi di tutte le tematiche a lui più care: dalla crisi di coppia alla ricerca del divino, dalla paura della morte alla solitudine dell’uomo moderno. La sceneggiatura del film è una vera e propria storia di conversione di grande spessore letterario. Un apporto non indifferente è costituito dagli attori, a cominciare da quel Victor Sjostrom, la cui maschera campeggia sullo schermo praticamente dall’inizio alla fine.
Film magico, sintesi di narrazione cinematografica ed espressione culturale, “Il posto delle fragole” è un’opera della nostalgia per la giovinezza, l’estate che è passata e che non potrà più tornare.
È un film sugli affetti come valore primario della vita.
Orso d’Oro a Berlino (1958).

http://www.cinemadelsilenzio.it/index.php?id=337&mod=film










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