il testamento profezia di Pasolini che disturba sempre: se l’uomo è merce è merce totalmente



 

Salò, o le 120 giornate di Sodoma è stato l’ultimo film girato da Pier Paolo Pasolini (1975), ed anche il più estremo e discusso. Iniziò a circolare poco dopo la sua tragica scomparsa e fece subito scandalo (con relativo sequestro), in una società italiana bigotta e perbenista. A oltre trent’anni dalla sua realizzazione questa opera possiede ancora una vibrante forza interiore, una lucida e ossessiva capacità comunicatrice, una drammatica carica di energia premonitrice.

Salò è un lungometraggio che non lascia scampo al fruitore. Ma non è la rappresentazione della violenza in sé a determinare l’orrore in chi guarda, quanto piuttosto la consapevolezza che tale violenza è la metafora del mondo contemporaneo ed anche la raffigurazione estrema delle conseguenze nefaste dell’esercizio del potere da parte delle classi dominanti su un ceto proletario che, secondo Pasolini, stava perdendo grazie e purezza. Il sesso è lo strumento dell’applicazione maligna di tale potere, pratica marcia della sopraffazione (fisica e mentale) dell’uomo sull’uomo che si contrappone ad una sessualità libera, calorosa e semplice che la borghesia ha completamente abbandonato.

Pasolini compose un viaggio nel sangue e nella morte che colpì molti e che evidenziò con assoluta limpidezza una delle atroci attitudini dell’umanità (attitudine testimoniata da numerosi eventi storici, anche recenti): la tensione verso la violenza e la distruzione dell’altro, in applicazione di un pensiero perverso poiché luttuosamente vuoto e insulso.

Ebbene, dopo molti anni Il fotografo Fabián Cevallos ha deciso di tirar fuori da suo archivio delle preziose immagini che realizzò sul set di Salò. Si tratta di scatti di incredibile importanza poiché documentano il lavoro di Pasolini, dei suoi collaboratori e degli interpreti, facendo emergere dall’oblio alcuni frammenti di sequenze mai montate nel film e praticamente scomparse. Sono, dunque, documenti visivi fondamentali per gli studiosi di Pasolini e per tutti coloro i quali si sono sempre interessati alla cinematografia di questo grande intellettuale del Novecento.

Trentasei immagini di questo “lavoro clandestino” sono ora esposte fino al 2 novembre 2005 presso lo spazio Arte dell’Auditorium di Roma. Le pareti bianche della galleria ospitano questo percorso doloroso e denso di angoscia che evidenzia le perversioni sadiche più indicibili, i rituali parossistici e la follia prevaricatrice dei protagonisti della vicenda. Così, foto che sembrano veri e propri “fermo-immagine” del film si alternano a inquadrature che mostrano il set, anche in momenti di pausa.

 

Una sensazione di straniamento coglie inevitabilmente il fruitore, poiché entrare a freddo nel complesso e terrificante universo di Salò non è cosa semplice. Ci domandiamo cosa possa comprendere di tale significativa operazione culturale un giovane che non abbia mai visto questo capolavoro e non sappia cosa abbia rappresentato per il nostro paese Pasolini. Ma ciò ovviamente non è colpa dei giovani, appunto, ma di un sistema culturale che ha reso Salò, per molto tempo, un oggetto artistico praticamente invisibile (ora non più, per fortuna).

L’elemento positivo che è ogni immagine è accompagnata da ampie didascalie scritte da attori del film, dall’aiuto regista Fiorella Infascelli, dal critico Mario Sesti, nonché da altri esperti, che guidano il visitatore in maniera costante.

Per una volta, la didascalie svolgono, in sostanza, un ruolo essenziale e non ridondante, utile per entrare in comunicazione con il mondo creativo di un intellettuale che aveva guardato oltre, immaginando con inquietante anticipo un futuro tragico e desolante.

http://www.pasolini.net/notizie_mostraroma-fotoCevallos02.htm

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