Carlo Levi e la Sicilia di Mario Farinella

natale di guerra di mario farinella

Dietro la mia ombra camminavano i soldati.
Camminavano soldati dinnanzi alla mia solitudine.
Andavano sul ponte, nel buio.
Sembrava avessero i piedi di piombo
che mi calpestavano l’anima.
Mi figuravo lontani paesi
e m’entrava freddo dal bavero.
Guardavo in alto, sui balconi,
semmai mi chiamasse la voce di mia madre.
Restavano chiusi i balconi e dietro le imposte
rauche voci lontane annunziavano battaglie.
Camminavo senza volerlo.
Forse perchè mi precedeva rumore d’acque.
I soldati camminavano e i loro piedi
come se fossero di piombo.
Battevano sul ponte, battevano sul cuore:
Avanti indietro soldati e ombre di soldati.

 

Carlo Levi

Mario Farinella è tornato, ancora una volta, nel­la profonda Sicilia interna, nelle colline del feudo, nelle città e nei borghi della miseria, nell’oscuro pae­se dei contadini, nel cuore antico dove la storia dei secoli è un groppo, un complesso, una condizione inef­fabile di dolore. E noi ci torniamo con lui, in queste sue pagine.

Con lui, fisicamente, c’ero stato molti anni fa, nel periodo delle lotte per la terra e per la libertà, che erano il grande salto storico che faceva rovesciare come un guanto il tempo fermo, e farne apparire al sole l’interno nascosto, la vita celata, l’implicito valo­re di mutamento. Mario Farinella mi aveva accompa­gnato in qualcuno di quei miei viaggi, che non erano soltanto, per me, la scoperta di una Sicilia vera, de­gli uomini nuovi che andavano creando un mondo nuovo, ma la scoperta di una parte di me, la più au­tentica e legittima, che in quegli uomini, in quelle terre, si ritrovava. E io sono grato al mio compagno d’allora, che, per essere uno dei migliori testimoni e partecipe, era ottima guida in quel tempo drammati­co e felice di trasformazioni. Egli ci aveva dato allora, con i suoi articoli, e anche con le sue poesie, dei do­cumenti preziosi: e oggi torna, dopo tanti anni, ripercorrendo (come avviene ai poeti) le proprie strade, di fronte a una realtà fatta diversa, nella quale pare che si parta dal niente per riprendere un filo interrot­to, a darci un altro, altrettanto efficace, semplice e sin­cero racconto dello stato del feudo, che è insieme de­scrizione di una condizione politica e sociale valida per l’azione materiata di realtà, contenuto poetico per la fantasia e per la storia.

Siamo passati in questi anni attraverso una scon­fitta, una delle tante sconfitte storiche, non mai to­tali, non mai definitive, non mai prive di un profon­do, celato elemento di vittoria, del mondo contadino. Gli articoli di Farinella (pubblicati su L’ORA e qui raccolti in volume) fanno parte dei documenti di que­sta sconfitta, e insieme di quel tanto di positivo, di, malgrado tutto, vittorioso e creativo che vi è impli­cito e che oggi si manifesta. Gli anni dei primi viag­gi di Mario Farinella erano anni eroici e creativi: il sorgere di una coscienza del presente, di una forza at­tuale, dal mondo potenziale contadino. Il costo ne era dolore e morte (e Farinella conosce gli assassina­ti sulle trazzere e nelle piazze, le lacrime di una guer­ra contadina): ma il senso era felicità e nascita, sen­so dell’esistenza, conquista della libertà. Questo senso, una volta acquistato, permane per sempre, anche quando la realtà pare rinnegarlo, sminuirlo e nascon­derlo, nei cuori celati e negli atti. E non furono le uc­cisioni, nè le persecuzioni, né le delusioni, né le attese, né il pianto, a interrompere quel movimento, che anzi esse ne erano parte necessaria, dolente e corag­giosa spinta. Ma la storia andava apparentemente su altre strade (proprio ora che, per la prima volta, il movimento contadino aveva saputo essere originale, non strumento inconsapevole di restaurazione, ma protagonista); e la riforma agraria interveniva come un’arma per interrompere o deviare la vitalità, nel bi­nario morto della microscopica proprietà contadina, antieconomica e insostenibile; fino all’abbandono di una terra inutile, alla fuga necessaria lontano dalla patria e dalla terra, fatta sterile e nemica. I problemi della rinascita contadina parvero a molti del tutto ri­solti: il risolvere crocianamente un falso problema è dimostrarne l’inesistenza. Dove è il mondo contadi­no? Nelle fabbriche e nelle miniere di Milano e To­rino, della Germania, della Svizzera, del Belgio, sen­za terra o sottoterra, negli astratti purgatori dove an­che la lingua è altra.

Si disse dunque che il problema contadino, il problema della terra, non esisteva più: una certa po­litica, un certo sviluppo storico li aveva eliminati. I «poli di sviluppo», la riforma, la nuova fase dell’e­conomia europea, li aveva respinti nella secolare ine­sistenza: essi ora non servivano più, erano tornati nel­l’ombra.

Ma, come al primo sole che anticipa la primavera ricompaiono le farfalle e le lucertole e le api, è bastato che l’Assemblea siciliana approvasse una legge istitutiva dell’Ente di sviluppo agricolo, che dapper­tutto apparissero le antiche bandiere; e le occupazio­ni e le speranze. Che cosa sta avvenendo, e che cosa si prepara? Mario Farinella si mette in strada, e torna con molte risposte: non quelle dei politici e dei teo­rici, ma quelle dirette e vissute degli uomini e delle donne incontrati per via. Nel viaggio si incontrano anche i ricordi, e i giu­sti dimenticati riappaiono, come ombre e come testi­moni. Esce vivo dal tessuto della memoria, il giusto di Riesi, Filippo Dibilio, che ha ragione, anche se la storia gli dà torto, contro il «partito baronale». E riap­pare, perché esiste ed è vivo, come un eroe nascosto e profanato, Alleo dí Aragona, avvolto di affetto.

O Aragona! Quando io ci fui, e ne scrissi, dei 1500 minatori moderni, protagonisti della nuova cul­tura, ne erano rimasti solo 400; e ora che Farinella c’è tornato, fra le miniere chiuse e i palazzi cadenti, nella fortezza della Lega, ne ha trovato solo 150, e i vecchi paladini solitari. E nei paesi contadini desolati arrivano le lettere dall’esilio, e nelle terre tornate in­colte, il solo lavoro è la rimessa degli emigrati.

Ma la terra è là.. gli emigrati vogliono ritornare: una nuova speranza pare accennarsi; e insieme una nuova volontà, una nuova coscienza tecnica, un nuo­vo modo del mondo contadino di porsi i propri pro­blemi, e di conoscersi. Il problema, che pareva chiuso, si ripropone, da un altro punto di partenza. La sconfitta non appare più come un dato, da accettarsi come definitivo, ma come uno dei tanti alterni mo­menti di un lunghissimo processo storico. Altri mo­menti difficili avevano fatto disperare il mondo del­le campagne, e intonare un virile lamento ai suoi poe­ti. «Pozzanghera nera il 18 aprile», gridava Rocco Sco­tellaro, giovane voce di quella disperazione, che i fat­ti degli anni seguenti lasciarono indietro e portarono nel ricordo. Ora pare cominci un nuovo momento: Farinella ci offre qui dei dati per conoscere, per sape­re chi siamo, dove siamo, di dove partiamo. La sto­ria dei dieci anni passati, tra la gloria che resta chiu­sa nei cuori fermi, è quello che ci attende, la storia vera degli uomini, delle loro vite, dei giorni che si seguono, di quello che hanno distrutto e che hanno portato, non è stata scritta. Ho raccontato nel mio «Cristo si è fermato a Eboli», delle quattro guerre contadine della storia d’Italia. La quinta guerra con­tadina, che dura da vent’anni (e ha i suoi protagoni­sti poeti e i suoi cronisti), è tuttavia soltanto agli ini­zi: e non sarà perduta.

http://casarrubea.wordpress.com/2011/12/18/carlo-levi-e-la-sicilia-di-mario-farinella/

Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.