The Road, La strada , Preparare un fuoco non è come accendere una sigaretta…London Jack

 

Vagabondaggi americani: Jack London

Di Paolo Melissi

Il Jack London che scrive nove articoli pubblicati su “Cosmopolitan” e che, in seguito, confluiranno nel volume La strada non sono gli scritti di un camminatore ma di un vagabondo. Si tratta infatti di scritti relativi al periodo in cui lo scrittore, a soli diciotto anni, attraversò in lungo e in largo gli Stati Uniti camminando a piedi e saltando su treni merci di passaggio, elemosinando per mangiare e finendo anche in carcere per un mese.

Nel libro, appena pubblicato da Castelvecchi per la cura di Davide Sapienza, i ricordi di vita sulla strada si uniscono alle istruzioni per l’uso, alla rivisitazione degli espedienti per sfuggire ai pericoli di un interrogatorio della polizia, per riuscire a ottenere qualcosa da mangiare da una famiglia di pacifici contadini, o per evitare il pericolo più grande, quello di essere ammazzati dal personale ferroviario per vendicare l’uccisione di qualche collega da parte di un hobo o di un tramp. Perché c’è una certa differenza tra le due “categorie”. Per hobo s’intende il vagabondo che viaggia a bordo dei treni merci, mentre per tramp indica semplicemente un vagabondo. Ed è per questo motivo che le nove parti che lo compongono diventano, insieme, non solo un’operazione di ricostruzione di un periodo della sua vita, e un dovuto riconoscimento a una parte popolazione americana non solo tenuta fisicamente ai margini della società ma anche tagliata fuori dalle cronache e dall’informazione giornalistica. Gli hobo rappresentano una questione che l’America rimuove, che preferisce tenere nascosta.

È una vita difficile e rischiosa quella del vagabondo, e la sua attrattiva più grande è l’assenza di monotonia.

“La vita a Vagabondlandia è proteiforme come una fantasmagoria, dove l’impossibile accade e dove ad ogni curva ti salta fuori l’imprevisto dai cespugli. Un hobo non sa mai cosa succederà un minuto dopo, per cui vive solo l’attimo presente”.

Viaggiare a piedi o sui treni in clandestinità, dunque, presume allora un’idea e un ideale di libertà, di svincolamento da regole e legami propri della vita “borghese” inquadrata, regolata e, anche, monotona. Vagare per il continente, il vivere nel continuo spostamento può dirsi introduzione a uno stato mentale diverso, proprio del vivere coscientemente alla deriva, o senza un’unica rotta.

Il diario del vagabondo è la parte del libro che riporta alle vicende vissute da Jack London nel 1894. L’America attraversa una dura crisi economica, migliaia di persone si spostano a piedi e sui treni o con mezzi di fortuna lungo lo stato-continente.

“Ovunque ho incontrato persone dirette a est, solo una andava a ovest. Qui oggi ho incontrato anche l’originale. Sta facendo a piedi dal Colorado a Frisco, dove andrà per mare. Poi un francese che se l’era fatta tutta a piedi dal Minnesota a Sacramento e ritorno sin qui”.

Il diario è un percorso secco tra i giorni che si susseguono in movimento da Reno attraverso il grande deserto americano, scanditi dagli incontri e le vessazioni dei controllori e dei frenatori. In queste pagine, come in tutte le altre, viene fuori il senso del movimento, dell’andare, dell’andare nonostante tutto.

Tutto accade in netto anticipo rispetto ai tempi di Woody Guthrie, cantore dell’America errante, e alla nascita di un immaginario collettivo legato al movimento di una nazione lungo le sue strade infinite. In netto anticipo anche rispetto a chi fu autentica incarnazione del movimento, nella realtà come nelle pagine dei suoi libri: il Jack Kerouac di Sulla strada, che sarebbe stato pubblicato molto più avanti, nel 1957.

http://www.sulromanzo.it/2010/04/vagabondaggi-americani-jack-london.html

 

La strada. Diari di un vagabondo

Mentre gli Stati Uniti della rivoluzione industriale e del nascente imperialismo costruivano l’immagine patinata e vincente del “sogno americano”, uno scrittore dava voce agli angoli più bui del nuovo continente, mettendo nero su bianco – accanto alla vita dei barboni, dei disoccupati e dei diseredati – le contraddizioni di un sistema in cui il benessere di pochi veniva pagato con la povertà di molti. È in questo modo che, tra il 1906 e il 1907, Jack London scrive “La Strada”: nove capitoli di una saga a cui il padre di capolavori come Zanna Bianca e Martin Eden dava il nome di “vagabonlandia”. Fedele al pensiero di un autore dallo spirito ribelle e dalla biografia a dir poco avventurosa, “La Strada” non è soltanto il libro che anticipa di mezzo secolo “On the Road” di Kerouac e che, con il passare del tempo, alimenterà la poetica di scrittori come Steinbeck e Orwell, ma, nella versione curata da Davide Sapienza, fornisce le coordinate di un percorso artistico ed esistenziale ancora poco conosciuto. Per completare la “vagabonlandia” di London, infatti, questa edizione raccoglie l’inedito “Il diario del vagabondo” che, insieme ai racconti Come sono diventato socialista, Il vagabondo e Principessa, rappresenta il tributo di un grande viaggiatore all’arte di (soprav)vivere alla giornata.

http://www.ibs.it/code/9788876153624/london-jack/strada-diari-vagabondo.html

he Road by Jack London – Free Ebook – Project Gutenberg

Preparare un fuoco non è come accendere una sigaretta…

17/10/2012

Me ne accorsi molti anni fa nel wild. Non immaginavo neppure che un giorno avrei tradotto Jack London ma ci volle poco per capire che in certi casi la frase “accendere un fuoco”, oppure “farsi un fuoco” non descrive adeguatamente quello che si deve fare nella wilderness. E io ero in piena estate nel nord Europa. Figuriamoci durante l’inverno cosa avrei dovuto fare. Quando tornai dallo Yukon nell’ottobre 2006 mi apprestai ad affrontare la prima traduzione di Jack London. Ero andato per la terza volta nel grande nord nel giro di pochi mesi, anche per “sentire” il Klondike e lo Yukon. Jack London era vero. A ventidue anni andò nel Grande Nord ed era già un uomo vissuto. Un autodidatta. Proprio come il suo Martin Eden. Fu questo a fregarlo dinnanzi alla supponenza di schiere di “intellettuali” invidiosi del suo talento e del suo successo. Così invidiosi da non notare che il suo racconto più bello – To Build A Fire – parla di natura e per farlo utilizza “l’uomo”, il protagonista senza nome che compie errori molto gravi nella foresta boreale, a sessanta gradi sotto zero, in gennaio. Nel preparare un fuoco uno di questi errori gli sarà fatale, perché originato dalla supponenza di fronte alla Natura madre di cui siamo parte. Il cane questo lo sa. Infatti vivrà.

Purtroppo la grande maggioranza degli intellettuali è sedentaria, astratta, urbanizzata e addomesticata. Pensa che la realtà siano i libri quando al massimo i libri contengono anche realtà. Ma la poesia della Natura, questa grande sconosciuta (a loro), quella manca. E dunque nessuno aveva notato che qualsiasi traduttore delle epoche precedenti, leggendo To Build A Fire avrebbe dovuto capire che to build significa costruire, erigere, edificare, plasmare, assemblare, fabbricare. Lo diceva il mio amato dizionario Ragazzini, edizione 1974. Che poi continua e aggiunge significati: costruirsi, farsi (la casa). A un autore come me che per maestri di scrivere la natura ha poeti pellerossa, Barry Lopez, Jack London, Herman Melville, Herman Hesse, Joseph Conrad, Walter Bonatti, Mario Rigoni Stern, la wilderness delle parole mi aiuta a trovare il contatto: il fiammifero metaforico che sfrega la corteccia di betulla per illuminarmi nel cammino.

Nel trovarmi di fronte il testo mi chiesi come era stato possibile non capire il semplicissimo principio che dice: leggi ciò che traduci prima di tradurlo, studia il background. Di London ho tradotto da Rivoluzione a Il richiamo della foresta, fatto la curatela di Martin Eden e ho sempre cercato di dare al lettore quello che London ha dato a me: il movimento dal piano interiore a quello fisico. Movimento e wilderness sono i due elementi centrali di Preparare un fuoco. Questo dovevo preservare per farvi sentire il freddo, per farvi immaginare di essere là con l’uomo a preparare il fuoco. L’ho visto di persona quando l’amico Marco Paolini mi disse che avrebbe utilizzato questa traduzione come base per lo spettacolo Uomini e cani. Marco ha la straordinaria dote di diventare il testo.

Ma cosa accade nel racconto? Un giovane uomo si avventura da solo, senza uno zaino, lungo un torrente ghiacciato per raggiungere gli amici a un campo dove hanno trovato una vena d’oro. A un certo punto il protagonista rompe il sottile strato di ghiaccio e si bagna i piedi. Sessanta gradi sotto zero. Per sopravvivere deve preparare un fuoco:

Si spostò verso l’argine, lo risalì e arrivato in cima, trovò un deposito di legna secca da ardere creato dalla piena che era rimasto agganciato al sottobosco vicino ai tronchi di molti abeti più piccoli. Si trattava soprattutto di ramoscelli e bastoncini ma cerano anche pezzi di rami stagionati più grandi e una bella erba secca della stagione precedente. Cominciò con il buttare sulla neve i pezzi più grandi che avrebbero costituito la sede del fuoco, evitando di farlo crollare su se stesso sciogliendo la neve sottostante. Estrasse dalla tasca un pezzo di corteccia e sfregandola con un fiammifero accese il fuoco più velocemente che se avesse avuto della carta; poi posò la corteccia sulla base e ravvivò la fiamma utilizzando fascine d’erba secca e i rami più piccoli. 

L’agire dell’uomo come dizionario. Egli costruisce una potenziale salvezza, erige, edifica e poi plasma, assembla, fabbrica. Non basterà.

Lavorava con attenzione, lentamente, ben consapevole del pericolo che stava correndo e la fiamma, gradualmente, cresceva mentre l’uomo, per darle vigore si serviva di rami secchi via via più consistenti. Si accovacciò nella neve, estraendo i ramoscelli incastrati nella boscaglia per gettarli direttamente sul fuoco. Sapeva di non poter fallire: quando un uomo con i piedi bagnati si trova a sessanta sotto zero, non deve fallire il primo tentativo di far partire un fuoco. 

Siamo forme della Terra, non dimentichiamolo mai. Soprattutto quando si traducono i racconti di un genio come Jack London.

Davide Sapienza
Davide Sapienza

http://dizionari.zanichelli.it/la-parola-al-traduttore/2012/10/17/preparare-un-fuoco-non-e-come-accendere-una-sigaretta/

ILTALLONE DI FERRO JackLondon – The Iron Heel

http://www.controappuntoblog.org/2013/07/15/iltallone-di-ferro-jacklondon-the-iron-

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