“Banditi a Orgosolo” Vittorio De Seta

Giovanni Columbu, regista
“Banditi a Orgosolo” è importante perché è bello, perché la Sardegna compare finalmente vera, riconoscibile ai sardi e tale da suscitare per le sue vicissitudini l’immedesimazione del pubblico universale, perché reagisce e si distacca dalle rappresentazioni stereotipate e caricaturali della Sardegna, perché confida in attori reclutati localmente, non-attori che recitano in modo ammirevole un mondo e delle storie che sono in loro, perché introduce un modello produttivo avventuroso, affidato a un’estrema economia dei mezzi e delle professionalità, l’ economia più consona a non forzare la messa in scena e minimizzare ogni artificio recitativo, perché il linguaggio è asciutto, perché sulle parole prevalgono le immagini e i silenzi, perché è stato girato in sardo e poi doppiato in un italiano privo di coloriture regionali, perché il doppiaggio impersonale e atono e in un certo senso astratto ha il valore di una didascalia sonora che lasciando vivere e parlare i volti, la mimica e la gestualità, lascia anche intuire allo spettatore l’identità linguistica dei personaggi. A riprova della validità di quel doppiaggio che potrebbe oggi apparire inadeguato alle soluzioni produttive e stilistiche del film, posso dire che più volte mi è capitato di incontrare qualcuno che ricorda “Banditi a Orgosolo” come un film parlato in sardo. Infine, un altro motivo di rilievo del film che mi sembra vada sottolineato è che il suo autore non è sardo e per questo testimonia  l’irrilevanza dell’identità anagrafica rispetto alla sensibilità e al talento degli autori.
Sapendo di esprimere un paradosso potremmo sostenere che “Banditi a Orgosolo” è ancora più attuale oggi di quanto non fosse cinquant’anni fa. Allora la rappresentazione di un mondo sofferente, oppresso dall’ingiustizia, isolato e quasi residuale, prossimo a essere travolto da inarrestabili sconvolgimenti generali, sembrava doversi ricondurre espressamente alle zone interne della Sardegna, isolate, lontane e quasi irreali, ma tuttavia ben identificate e circoscritte. Allora la rappresentazione e la denuncia si inscrivevano in una dimensione sociale e antropologica. Il film lo dichiarava in apertura e questo lo avvalorava e forse al tempo stesso prospettava un limite.

Ora il film si offre a percezioni e letture diverse. Mantiene il carattere di documento, certifica luoghi e trascorsi storici, mostra con le sue obiettive e inesorabili immagini cose che sono accadute e state realmente, e tuttavia diventa sogno e fiaba terribile. Estinguendo i propri caratteri contingenti il film assume il valore di una metafora più vasta, ancora più vera e attuale: si proietta sull’intero universo umano, diversamente ma non meno sofferente e lacerato, insidiato e oppresso dall’ingiustizia, ancora una volta isolato e residuale nelle sue parti ora soverchiate da globali e oscuri sconvolgimenti.
De Seta rivive clamorosamente nella stagione più recente della cinematografia sarda. Il ricorso ad attori non professionisti, gli stilemi del documentario ripresi nella narrazione a soggetto, la flessibilità dei progetti riadattati sul campo, l’attenzione al vitale e indominabile divenire della messa in scena, tutti fattori ricorrenti nel fare cinema oggi in Sardegna, testimoniano la felicità e la forza della visione del cinema che De Seta ha più volte sostenuto ed espresso con “Banditi a Orgosolo” e in tutti i suoi bellissimi film. Credo che il cammino intrapreso da De Seta non solo possa essere ripercorso ma si offra a nuove esplorazioni e possa dare frutti straordinari e rendere possibili nuove entusiasmanti scoperte. Il vasto campo di ricerca che trovo più appassionante e che sento avere le sue più profonde radici nell’esperienza fatta da De Seta riguarda la possibilità di fare emergere nella recitazione tutto quanto in un interprete è meno consapevole e deliberato.

Si tratta di una via di ricerca che riguarda il modo di concepire la sceneggiatura e poi di avvalersene nel momento del casting, della scelta delle location, poi delle riprese e della direzione degli attori e infine del montaggio. Un procedimento costantemente soggetto ad aggiustamenti, che non può essere ridotto a formula né posseduto e comandato, una disciplina o forse solo una rigorosa e affascinante disposizione mentale e operativa che riguarda gli attori, in particolare la relazione tra l’attore e il personaggio, e che prima ancora riguarda lo stesso regista. Anche questo che oggi fermenta e genera nuovi esiti nell’esperienza del fare cinema in Sardegna si offre lungo il cammino intrapreso da De Seta
Felice Tiragallo, antropologo
Il film è importante perché la sua comparsa e circolazione ha dato forma ed ha espresso, con una efficacia  ed una immediatezza prima sconosciute, il problema delle zone interne in Sardegna, ma anche su una scala più vasta, il tema delle contraddizioni del processo di modernizzazione nel mondo occidentale, della presenza di vaste aree sociali che  affermavano implicitamente un diritto alla partecipazione alla vita democratica. Inoltre, su un piano più strettamente cinematografico il film di De Seta ha affermato uno stile anti-industriale e anti-convenzionale (location vere, attori non professionisti, adesione narrativa alla realtà sociale e materiale, …) mai arrivato a una sintesi così alta nell’efficacia, nel dominio degli esiti espressivi e nell’economia dei mezzi. Marc Henri Piault, uno studioso di antropologia visiva, ha affermato che in De Seta, nel complesso della sua produzione, si assiste al prodigio di uno stile che “surfeggia”, che cavalca le onde del flusso reale degli accadimenti in un miracoloso equilibrio di semplicità, sobrietà e lucidità di osservazione. In definitiva penso che “Banditi ad Orgosolo” sia uno di quei film che non si limitano a rappresentare, ma incarnano un problema, così come, a mio parere, “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi. Non a caso entrambi sono nati nella stessa stagione culturale e politica del Paese. In Sardegna il film  è stato accolto complessivamente con favore. Ignoro i dati del botteghino, ma osservo che la rivista sarda di cultura più prestigiosa in quegli anni, “Ichnusa”, diretta da Antonio Pigliaru, dedicò un numero speciale al film, facendone oggetto di analisi meditate e articolate. Il tema della condizione pastorale, la mobilità forzata, la precarietà delle basi fondiarie, l’abigeato, il sequestro di persona come espressione “tipica” della devianza criminale, il difficile rapporto con le istituzioni statuali erano temi assai dibattuti, spesso a un livello alto, nella società sarda, allora alle prese con lo sforzo modernizzatore del Piano di Rinascita. e in quella nazionale, con la istituzione della Commissione parlamentare Medici a fine anni Sessanta, che doveva indagare sulle cause sociali, storiche e d economiche del malessere delle zone interne.

 

“Banditi ad Orgosolo” fu spesso, a entrambi i livelli,  un eccellente catalizzatore di questo dibattito, che durò fin dentro gli anni Settanta, quando il film veniva ancora capillarmente proiettato in assemblee studentesche, circoli del cinema, e altri luoghi di aggregazione. Oltre che nella storia del cinema, il film è considerato un punto di riferimento nella storia più specialistica dell’antropologia visiva, dove “Banditi ad Orgosolo” occupa un posto vicino a capolavori come “Nanook of the North” di Robert Flaherty, o “Les Maitres Fous” di Jean Rouch. Volendo fare dei confronti tematici e stilistici interni all’Isola, lo stesso Fiorenzo Serra, grande documentarista, ha impresso nel suo narrare i modi di vita e le tradizioni della Sardegna una forma di esemplarità didattica e di generalizzazione che invece De Seta, a mio parere, raggiunge proprio nella misura in cui non vuole perseguirle, tanta e così intensa è la sua adesione alla vicenda umana che si svolge davanti alla macchina da presa.  L’attualità di “Banditi ad Orgosolo” sta nel fatto che il film, come notavo, arriva ai nostri giorni “intrecciato” al problema umano e sociale che narra. Esso è, ancora oggi uno dei veicoli per l’immaginario collettivo della figura del pastore sardo nei termini più sfaccettati e profondi. Il film rappresenta dunque ancora oggi  l’insieme dei problemi che lo riguardano e che non sono estinti. Ma che si sono trasformati.

Dunque sarebbe bene collocare il film di De Seta nel suo contesto storico, riconoscerlo come un intervento di militanza civile e politica, cosa che fra le altre cose ambiva ad essere,  e affidargli il ruolo di espressione filmica insostituibile delle radici storiche contemporanee della questione delle zone interne, ruolo che del resto occorre riconoscere, nel suo ambito, anche all’inchiesta su Orgosolo di Franco Cagnetta, che ispirò il film.  Non mi pare che “Banditi ad Orgosolo” abbia lasciato eredi diretti nella cinematografia recente di autori sardi. ..

segue su

 

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