Vittorio De Seta – Un Uomo a metà (1966)

 

Michele, giovane intellettuale, entra in crisi quando, senza rendersene conto, la sua concezione di vita entra in conflitto con la morale collettiva. Ne deriva una grave nevrosi che lo stacca dalla vita, dal lavoro, dal prossimo. Ricoverato in clinica, riesce, rievocando il passato, a rimettere insieme i frammenti sparsi della propria personalità. Storia d’una nevrosi raccontata dall’interno, cioè un film di pura soggettività, è, a livello di scrittura, fondato sul principio dell’alternanza del volto del protagonista in primo piano con le immagini della realtà o dei ricordi: il volto di Perrin è “il solo elemento oggettivo, mentre tutto il resto è mentale, ossia soggettivo” (A. Moravia). Così la vicenda è messa fuori dal tempo, diventa uno stato di coscienza e, perciò, gli oggetti e le persone non sono narrati, ma contemplati. Ne deriva un andamento onirico pur nel suo nitore che a torto fu accusato di formalismo. Scritto dal regista con la moglie Vera Gherarducci e Fabio Carpi, con un suggestivo bianconero di Dario Di Palma. Uno dei film italiani meno capiti degli anni ’60.

 

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