Milan Kundera La festa dell’insignificanza; cultura….

“L’insignifiance, mon ami, c’est l’essence de l’existence. Elle est avec nous partout et toujours. Elle est présente même là où personne ne veut la voir : dans les horreurs, dans les luttes sanglantes, dans les pires malheurs. Cela exige souvent du courage pour la reconnaître dans des conditions aussi dramatiques et pour l’appeler par son nom. Mais il ne s’agit pas seulement de la reconnaître, il faut l’aimer l’insignifiance, il faut apprendre à l’aimer.”

Milan Kundera

La festa dell’insignificanza

Traduzione di Massimo Rizzante
Fabula

Gettare una luce sui problemi più seri e al tempo stesso non pronunciare una sola frase seria, subire il fascino della realtà del mondo contemporaneo e al tempo stes­so evitare ogni realismo – ecco La festa dell’insignifi­canza. Chi conosce i libri di Kundera sa che il desiderio di incorporare in un romanzo una goccia di «non serietà» non è cosa nuova per lui. Nell’Im­mortalità Goe­the e Hemingway se ne vanno a spasso per diversi capitoli, chiacchierano, si divertono. Nella Lentezza, Vera, la moglie dell’autore, lo mette in guardia: «Mi hai detto tante volte che un giorno avresti scritto un romanzo in cui non ci sarebbe stata una sola parola seria … Ti avverto pe­rò: sta’ attento». Ora, anziché fare attenzione, Kundera ha finalmente realizzato il suo vecchio sogno estetico – e La festa del­l’insignificanza può essere considerato una sintesi di tutta la sua opera. Una strana sintesi. Uno strano epilogo. Uno strano riso, ispirato dalla nostra epoca che è comica perché ha perduto ogni senso dell’umo­rismo. Che dire ancora? Nulla. Leggete!

https://www.adelphi.it/libro/9788845928543

Kundera e “La festa dell’insignificanza”

di Emilio Fabio Torsello
14.11.13
La festa dell’insignificanza
di Milan KunderaAdelphi, 2013Un’opera eclettica, uno scrittore onniscente che spacchetta in paragrafi, periodi e segmenti i pensieri dei personaggi, li intreccia quasi fosse una trama teatrale, con gli attori che entrano ed escono continuamente dal palcoscenico della pagina: momenti – quasi tutti insignificanti agli occhi del mondo – poche battute a ricordare la vita di ciascuno.
La festa dell’insignificanza“, l’ultimo romanzo di Milan Kundera pubblicato da Adelphi, non è una lettura semplice per gli intrecci e i voli pindarici che l’autore concede ai protagonisti. Romanzo mentale prima che di trama, con una scrittura leggera Kundera mette il lettore davanti ai misteri irrisolti della vita, sostrato drammatico alle azioni e al vivere quotidiano. E quell’irrisolto che ognuno si porta dentro è al contempo tanto pesante, individuale (ma l’individualismo non esiste, fa dire Kundera a uno dei suoi personaggi), da essere insignificante e universale. E allora tutto diviene insignificante: i gesti, le parole, le bugie, gli scherzi, le assenze, gli amori mancati, la morte. In una parola: ad essere insignificante per Kundera è l’individuo, la vita stessa di personaggi del tutto comuni e senza storia. Ma insignificanti e quasi clowneschi appaiono anche grandi personaggi storici come Stalin e Cruschev che Kundera fa comparire nell’opera: tutti leggeri, inconsistenti come una piuma che all’improvviso qualcuno s’accorge cadere dal soffitto alto di una sala da ballo. Una scena affollata, costellata di esistenze che trascolorano nel personaggio successivo, incapaci di segnare un sentiero, di lasciare traccia. Tanto nella vita quotidiana quanto nella storia.
Ed è così che un personaggio del romanzo, Ramon, esclama rivolto ad un suo ex collega di lavoro:

C’è una cosa, D’Ardelo, di cui volevo parlarle da tempo. Del valore dell’insignificanza. […] l’insignificanza mi appare sotto un aspetto del tutto diverso, sotto una luce più forte, più rivelatrice. L’insignificanza, amico mio, è l’essenza della vita. E’ con noi ovunque e sempre. E’ presente anche dove nessuno la vuole vedere: negli orrori, nelle battaglie cruente, nelle peggiori sciagure. Occorre spesso coraggio per riconoscerla in condizioni tanto drammatiche e per chiamarla con il suo nome. Ma non basta riconoscerla, bisogna amarla, l’insignificanza, bisogna imparare ad amarla. […] Respiri, D’Ardelo, amico mio, respiri questa insignificanza che ci circonda, è la chiave della saggezza, è la chiave del buonumore…”

Eppure, Kundera non sminuisce i piccoli drammi personali – insignificanti nella storia ma cruciali nel presente – il fardello di ogni personaggio lo caratterizza, lo misura rispetto alla vita e agli altri. Si potrebbe quasi azzardare che è quell’insignificanza che ciascuno si porta dentro a renderci persone, a contraddistinguerci e a farci comuni, nell’illusione della differenza.
https://www.criticaletteraria.org/2013/11/milan-kundera-festa-insignificanza-recensione.html

Vodevil para aliviar desengaños

En su nueva novela Kundera construye un libro de chanzas, un tratado encubierto de ética.

A Beckett y a Valle-Inclán les hubiese encantado leer este divertimento resabiado, este Libro de buen humor del arcipreste de Brno. El libro de la risa y de la levedad del ser, reducida ya a insignificancia. Ni rastro de la lentitud en esta posible despedida que entreabre ya a monsieur Kundera las puertas de la inmortalidad. ¿Telón? Quién sabe. Por lo pronto un sermón severo, pero no pedagógico y apocalíptico como los de Saramago, sino con música festiva de fondo como en la vieja tradición surrealista, como Buñuel y Dalí poniéndole música de tango a la escena terrible de la navaja atravesando el ojo. Y a la vez un libro de chanzas, un minúsculo tratado encubierto de ética y descreimiento y un oxímoron inmenso en el que ronda la muerte por la fiesta sórdida y lo epicúreo se abraza a lo escatológico, al destino dramático del individuo. Como en un oficio de tinieblas, Kundera va encendiendo luces que iluminan caminos, y va más tarde apagándolas.

La novela se abre con una perorata sobre la erótica del ombligo, y se cierra en el Jardín de Luxemburgo con un bigotudo conocido del lector apuntando a la Historia y disparando contra la estatua de una reina de Francia. ¿Qué hay en medio? Un esperpento a cargo de enanos y de patizambos que juegan una tragedia, bons à rien desentrañando sin saberlo los entresijos del mundo, un grupo de amigos que se embriagan para no advertir un destino funesto, incontinencias urinarias, diálogos extravagantes, alusiones al pensamiento de Hegel (y al trasero de Julie), una diva engullendo pan con salami a dos carrillos en una fiesta mundana, una botella de Armagnac elevada a los altares, plumas de ángel y una caricatura de Stalin que arruina toda posible devoción por héroes y mitos, que certifica la muerte de las ideologías y que Chagall aplaude a rabiar.

La novela se abre con una perorata sobre la erótica del ombligo, y se cierra en el Jardín de Luxemburgo

La novela, construida sobre la base de contigüidades y continuidades, y compuesta como un puzle que el lector ve completarse pieza a pieza a través de episodios que un cronista autoconsciente va presentando desde una farsante posición cenital enfatizada por una metaficción apetitosa (“para todos mis personajes, esa velada se ha teñido de tristeza”, “éstas son las palabras que escribí en el último párrafo del capítulo anterior”), hincha como globos detalles minúsculos para darles un protagonismo inusitado, pues Kundera finge como nadie la banalidad para esconder en ella la gravedad. Una nouvelle caprichosa que se recrea en digresiones y facecias marca de la casa, como ya hizo en La insoportable levedad del ser, y que ensaya apólogos que conforman una vanitas y a la vez una diatriba contra el ídolo de barro de la arrogancia y contra el becerro de oro de la trascendencia pretendida. Un vodevil para aliviar desengaños gigantescos, una broma para gente muy seria y una fábula moral estrafalaria que enarbolar en estos tiempos fútiles de gurús y agotadora miseria moral: “¡La era de la posbroma!”, “¿una época de la que ya no quedará huella?”, “la inutilidad de ser brillante”, “comprendimos que ya no era posible subvertir el mundo ni detener su pobre huida hacia delante”.

Ochenta y cinco años es una edad idílica para decidirse a poner por escrito este descocado testamento esperado en el que el maestro checo dispone ante un notario llamado lector sus últimas voluntades literarias, a saber, que se lea su última novela como epítome de su obra entera —sexo, ironía, maternidad y la falacia del poder—, una picassiana lección acerca de la trascendencia de lo trivial y de la necesidad de compromiso de todo artista con unos principios en una sociedad absurda y líquida (o ya gaseosa) que la política y la vanagloria han convertido en teatro de marionetas. La fiesta de la insignificancia es una tragicomedia en un acto para cinco personajes y un autor, un ejercicio lúdico y autoparódico en plena y sarcástica senectud, un sucinto prodigio de desmitificación. Es el juego de la edad tardía de Kundera. Y, tal vez, final de partida.

https://elpais.com/cultura/2014/08/27/babelia/1409135074_152924.html

Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.