Arrigo Boito – NERONE

Nerone

I CAPOLAVORI DI ARRIGO BOITO
a cura dell’Associazione Amici di Arrigo Boito

NERONE

A proposito di Boito un testimone scrisse che « la sola cosa che forse lusingasse il raccolto suo spirito era il sentirsi crescere intorno quella sua leggenda di alchimista della musica, circondato d’impenetrabile silenzio », tanto che « molti, e per molti anni, credettero che questo Nerone non esistesse, che fosse la mistificazione gigantesca di uno spirito mefistofelico ». La leggenda del Nerone, però, è destinata a farsi carne in un insuccesso ancora più clamoroso di quello che accoglieva il primo Mefistofele: opera insicura e incompiuta, a tutt’oggi non viene rappresentata né pubblicata, considerata dai più come il supremo fallimento di un’ambizione smisurata. Non è così: Nerone è forse, assieme a Re Orso, il capolavoro di Boito. Ne testimonia la versione, più che teatrale, letteraria, pubblicata nel 1901, e del quale il libretto sarà riduzione.

Forse già cosciente della sua incapacità di portarla a termine come opera lirica, Boito ne pubblica una versione «sotto forma di libro», densa di dialoghi e didascalie, «con il semplice intento di chiare nella mente di chi legge (e non ha il soccorso dell’immagine visiva) l’espressione di alcuni passi o le loro condizioni pittoriche o plastiche». In definitiva, sembra che questa versione letteraria del Nerone sia da considerare come la definitiva e perfetta incarnazione del lavoro che occupò Boito per tutta un vita: teatro raccontato, e in definitiva irrapresentabile. Innanzitutto come opera lirica, dove sarebbe andata persa gran parte dell’introspezione psicologica che (forse per la prima volta così profondamente in Boito) il poeta era riuscito a compiere sui suoi personaggi (e in particolare sullo splendido Nerone), e che musicalmente sarebbe stata irrimediabilmente passatista, in quegli anni di finalmente raggiunto post-wagnerismo (con Debussy, e già Ravel e Stravinsky). Ma anche come pura rappresentazione teatrale sembra non essere altro che un sogno megalomane: decine di personaggi, scenografie colossali, effetti speciali – il Nerone non è in fondo altro che del “teatro da leggere” (o meglio: soltanto così si realizza pienamente) come quello di Musset o altri autori romantici.

O forse, per tematiche (il sorgere del cristianesimo, a contatto con un paganesimo barocco e inquietante) e ambiguità formali, opera gemella potrebbe essergli La tentazione di San Antonio di Flaubert, o sotto altri aspetti, Salambô. L’ossessione che ha portato Boito a ricostruire un passato immaginario, transustanziando il realismo delle descrizioni e la pignoleria delle ricerche documentarie in un simbolismo magniloquente, è la stessa che anima i due capolavori di Flaubert, così come identico è lo stile delle descrizioni, dettagliate quanto oniriche, impregnate di estetismo tardo ottocentesco. Identica è l’abbondanza di scene di folla, orgiastica confusione di allucinazioni per San Antonio, imponente «moltitudine», termine ripetuto continuamente, nell’epopea cartaginese (tanto che in Salambô         sembra di leggere Toni Negri – d’altronde la sfida è tra gli sfruttati e l’impero) e continuo rumoreggiare rimato nella tragedia di Boito.

Ovviamente ciò che più colpisce nel capolavoro di Boito è la descrizione dello psicotico Nerone, ossessionato dal senso di colpa per il suo matricidio (il «verme» che rode ogni personaggio boitiano ma da lui coltivato masochisticamente come a volerne compiere un’auto-catarsi), al punto di identificarsi con Oreste, fino a recitarne la parte in una messa in scena di Eschilo dove, anni prima di Pirandello (ma anni dopo Cervantes), teatro e vita si confondono in un vortice terrificante.

Ed è la presenza di teatri dentro al teatro, come in un gioco di specchi, un aspetto centrale di questo testo strabiliante: teatro quello in cui recita Nerone, per tutta la tragedia, il ruolo di Oreste, come posseduto dall’eterno ritorno delle storie («M’invade il nume antico!»); teatro il cimitero dove seppellisce Agrippina («più profondo!») per dimenticarla; teatro il tempio in cui Simon Mago interpreta la parte del profeta (con tutti i trucchi più scontati, botole che nascondono voci, automi, effetti di scena); teatro l’arena dove vengono sacrificati i cristiani e nel quale la cristiana Rubra si traveste da vestale; teatro infine la Roma di Nerone, che per assumere Gobrias tra i suoi servitori lo apostrofa dicendogli «Ebbrioso compar, tu assai mi piaci; / t’aggrego al mio Teatro».

Altro sottotesto sul quale sarà opportuno tornare, è quello relativo al nascente cristianesimo, e al ruolo del padre dello gnosticismo Simon Mago (che Boito colloca per ipotesi, molto arbitraria, a fianco di Nerone, sulla base di una sua personale riflessione sulla storia dei primi movimenti crisitiani), una sottotrama quasi in primo piano rispetto alle nevrosi di Nerone, che eppure vi si legano in modo ambiguo.

Il Nerone di Boito è senza dubbio uno dei capolavori sconosciuti della letteratura italiana, il degno compimento di una vita dedicata all’arte poetica, ingiustamente dimenticata.

http://www.soyombo.it/arrigoboito/nerone.htm

Cinquantasei anni trascorsero tra il primo segnale del progettoNerone(una lettera di Boito al fratello Camillo del 19 aprile 1862) e la morte del suo autore, che lasciò l’opera incompleta nell’orchestrazione. Un enorme arco di tempo, che probabilmente non ha eguali nella storia dell’opera e che la dice lunga sui problemi e sulle incertezze che caratterizzarono il Boito post-Mefistofele. In questi cinquantasei anni Boito mise a punto un’impressionante mole di materiale preparatorio (abbozzi musicali, appunti e iconografia su scene e costumi, schede su personaggi e situazioni drammatiche, taccuini di lessico e metrica e persino un intero trattato di armonia concepitoad hoc), utilizzando fra l’altro, in maniera capillare, un’amplissima bibliografia, che va dai più importanti storici latini (Tacito, Svetonio) fino agli studiosi del suo tempo (Renan, Mommsen). L’opera, progettata originariamente in cinque atti, fu ridotta a quattro negli anni Dieci, dopo la pubblicazione della tragedia in versi (1901), nella quale è presente anche il quinto atto. Al completamento dell’orchestrazione lavorarono Tommasini e Smareglia, sotto la supervisione di Toscanini, che fu anche il direttore della prima rappresentazione. Lo sfarzosissimo allestimento delNerone, con le scene e i costumi disegnati da Lodovico Pogliaghi seguendo le minuziose indicazioni lasciate da Boito stesso, fu uno dei massimi esiti della scenotecnica scaligera del primo Novecento.

Atto primo. La vicenda vive soprattutto della contrapposizione tra il mondo pagano in disfacimento e il nascente mondo cristiano. Nerone allontanatosi da Roma dopo il suo matricidio, cerca infatti conforto nei riti di Simon Mago, ma viene atterrito e messo in fuga dall’improvvisa, spettrale apparizione di Asteria. Simon Mago pensa di usare Asteria, che è follemente attratta da Nerone, contro lo stesso imperatore. Poco lontano, la preghiera della giovane Rubria viene interrotta dall’apostolo cristiano Fanuel, che la esorta a confessare il peccato che la opprime. Il dialogo viene interrotto da Simone, che offre dell’oro a Fanuel in cambio dei suoi miracoli, ricevendone invece una maledizione. Nerone ritorna e Tigellino gli annuncia che tutto il popolo romano sta sopraggiungendo per riportarlo in trionfo nell’Urbe.

Atto secondo. Nel tempio di Simon Mago. Per piegare Nerone alle sue ambizioni, dopo esser ricorso a vari stratagemmi Simon Mago gli fa comparire dinanzi Asteria in veste di dea; ma quando la giovane si china sull’imperatore per baciarlo, questi si accorge di avere fra le braccia una donna: nella sua furia inarrestabile devasta allora il tempio, scoprendo i trucchi di Simon Mago, che viene arrestato dai pretoriani e condannato a morire nel circo.

Atto terzo. I cristiani sono riuniti in preghiera sotto la guida di Fanuel, quando giunge Asteria, fuggita dalla fossa delle serpi in cui era stata fatta gettare da Nerone, per avvertirli che anch’essi sono stati condannati dall’imperatore. Simon Mago guida i soldati romani fino a loro; Fanuel, arrestato, chiede ai confratelli di pregare mentre viene condotto via.

Atto quarto.Quadro primo. ‘L’oppidum’. Nel circo Massimo. Simon Mago viene avvertito dell’imminente incendio della città, appiccato per favorire la sua fuga; anche Nerone ne è a conoscenza, e anzi se ne allieta con Tigellino: «ciò che struggo, risorge». Quando i cristiani vengono condotti a forza nell’arena, una vestale, velata, chiede pietà per loro; ma Nerone, fattole strappare il velo da Simone, riconosce Rubria, segnando così la sua condanna. Simon Mago, forzato a volare da Nerone, si schianta al suolo proprio mentre l’annuncio dell’incendio provoca un fuggi fuggi generale.Quadro secondo. Nellospoliariumdel Circo Massimo. Nel sotterraneo del circo, dove si depongono i morti, Fanuel e Asteria cercano Rubria; la giovane, ormai in fin di vita, confessa finalmente a Fanuel il suo peccato, quello di aver servito un falso dio come vestale, e contemporaneamente gli svela il suo amore. Fanuel le dà il perdono cristiano e la dichiara sua sposa; Rubria muore e Fanuèl fugge con Asteria dallospoliariumin fiamme.

«Per mia disgrazia ho studiato troppo la mia epoca (cioè l’epoca del mio argomento) (…) terminerò ilNeroneo non lo terminerò ma è certo che non lo abbandonerò mai per un altro lavoro e se non avrò la forza di finirlo non mi lagnerò per questo e passerò la mia vita, né triste né lieta, con quel sogno nel pensiero». Con queste parole, scritte nel 1884 in una lettera a Verdi, Boito stesso tratteggiava con stupefacente lucidità i destini, passati e futuri, della sua seconda e ultima opera in musica. La cura maniacale posta nel lavoro di documentazione, testimoniata da migliaia di schede e da diversi taccuini, divenne a lungo andare un ostacolo al lavoro del compositore. Inoltre, l’enorme lasso di tempo trascorso tra l’inizio del progetto e l’effettiva realizzazione della musica ebbe come conseguenza l’inattualità di un’opera che, nata per essere coeva diOtelloeCavalleria rusticana, si trovò invece a fare i conti conPelléaseSalome; e in ciò è forse da individuare una delle possibili ragioni del mancato completamento. Tuttavia, non si può dire cheNeronesia un fallimento dal punto di vista artistico: seMefistofeleha sempre conservato un posto nel repertorio operistico,Neroneavrebbe certo meritato miglior fortuna.
Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini&Castoldi

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