35 anni di “Nostalghia” di Andrej Tarkovskij – Tarkovskij i post

NOSTALGHIA (1983)
di Andrej Tarkovskij

La verità necessaria è che nessuno è adatto per poter “recensire” i film di Andrej Tarkovskij e possiamo solamente ammirarli senza cercare la razionalità e commentarli con un rispetto o un’ammirazione completa verso l’opera omnia di quello che potrebbe essere il più grande di tutti i registi, quello che più è riuscito a traslare il linguaggio cinematografico verso la poesia, allontanandolo dalla narrazione in una maniera unica. Ma grazie al Cinema Massimo di Torino è stato possibile per il sottoscritto godere delle proiezioni in sala in pellicola (35 mm) di alcuni tra i capolavori dell’Autore, scaturendone delle riflessioni: Andrej Rublëv (1966), che potrebbe rimanere l’apice della sua carriera per quanto riguarda la valorizzazione dell’arte (cinematografica e non solo) e dell’identità dell’artista, Solaris (1972), la cosiddetta risposta sovietica a 2001: Odissea nello spazio (1968), tra i più influenti, ambiziosi e grandi film di fantascienza in assoluto, e infine Nostalghia (1983).

Nostalghia è tra i film generalmente meno considerati dell’autore russo all’estero, mentre in Italia magari è un po’ più noto a causa della sua collocazione geografica (Lazio, Toscana, Umbria) e dei suoi dialoghi, per metà in italiano e per metà in russo, presi da una sceneggiatura scritta dal regista insieme a Tonino Guerra, con il quale lo stesso anno aveva co-diretto il documentario Tempo di viaggio. Ma soprattutto Nostalghia è un oggetto misterioso, il film più pessimista di Tarkovskij da un punto di vista strettamente politico, come riassume il commovente e devastante soliloquio di Domenico (interpretato dallo svedese attore bergmaniano Erland Josephson, poi protagonista anche di Sacrificio nel 1986) che, sulla statua equestre di Marco Aurelio in piazza del Campidoglio a Roma, fa un discorso ad altri “matti”, che come dice uno striscione dietro di lui “non sono matti ma sono seri”, usciti dai manicomi dopo la legge Basaglia del 1978, riguardante un ritorno alle origini, ad una vita semplice in cui i cosiddetti sani e i cosiddetti malati possano convivere in pace abbracciandosi e tenendosi per mano, ritorno a quel punto in cui i cosiddetti sani hanno “sbagliato strada”. Per come viene posto cromaticamente il monologo, per l’uso spaventoso della musica extradiegetica (quarto movimento della Nona di Beethoven: l’inno alla gioia) e per ciò che segue narrativamente, sembra palese che questo discorso finisca per assumere caratteristiche utopiche, anche con una certa e prepotente vena lirica. La denuncia alla natura umana e alla sua inclinazione alla rovina e al degrado finisce per assumere la forma, più che di un invito a cambiare, di un urlo disperato, anche in senso letterale. Stilisticamente, è etereo, (giustamente) lento, con un senso estetico sospeso tra i ritmi di una poesia bruciante e riflessiva che oscilla, come se attaccata ad un pendolo, tra il bianco e nero e il colore, come ne Lo specchio. Entrambi i film hanno in comune un’altra caratteristica: sono manifesti individualisti, dunque film pericolosi secondo le autorità dell’URSS che per entrambi i film decisero di fare pressioni al festival di Cannes per evitare i premi principali o addirittura la stessa proiezione. Dove Lo specchio però adopera una tecnica narrativa vicina a quella del flusso di coscienza per far fluire i propri simbolismi onirici o riferimenti pittorici, Nostalghia si dà ad un rapporto più conflittuale, mostrando una vera e propria lotta interiore, costante nel cinema di Tarkovskij, tra l’amore per la patria Russia e la libertà d’espressione artistica, conflitto che già si notava nel cinema precedente, persino nella trattazione del sottotesto politico di Andrej Rublëv che lo portò a molteplici censure e a continui rimandi della proiezione in sala.

E qui si può giungere all’affascinante ed eroica figura di Domenico, che non è il protagonista del film ma ne è come il portavoce concettuale, una sorta di Idiota dostoevskijano che vede l’acqua e la terra dove tutti vedono il fango, e che ha abbastanza cuore da diffondere la spiritualità che gli uomini stanno perdendo. Domenico è la lentezza di cui non si riesce più a catturare il valore, l’attaccamento sensoriale agli elementi: Terra, Acqua, Fuoco, Aria.
La Terra sulla quale gli uomini camminano e che gli uomini conquistano, su cui gli uomini viaggiano e che poi gli uomini finiscono per rivolere indietro, con la nostalgia che dà il titolo al film. L’Acqua e gli specchi immaginifici, filmici ed interiori, che apre, come finestre su altri mondi, come quella del finale naturalistico e senza tempo di Andrej Rublëv, recentemente riecheggiato da Lisandro Alonso in Jauja (2014). Il Fuoco, che distrugge tutto, che porta al collasso dei microcosmi e dei macrocosmi e che ha sempre avuto una forte portata nelle scene più drammatiche o addirittura apocalittiche della filmografia di Tarkovskij. L’Aria, l’aere, forse semplicemente il vento o forse l’intangibile, l’irraggiungibile, il noumeno, il Dio muto di Sacrificio.

Riassumendo, Nostalghia lascia nello spettatore un senso di appartenenza ad un mondo estetico completo, devastante, ma nello stesso momento anche leggero nella sua fluidità umorale e spirituale, una sensazione di aver assistito ad un’opera senza tempo, ad un’atmosfera capace di dilatare la concezione del passaggio dei minuti tanto da far piombare l’intera sala cinematografica in una sorta di stasi emozionale, in cui è condiviso lo stato d’animo della ricerca del particolare in ogni inquadratura. È così che Tarkovskij interagisce con il cinema, analizzando in maniera brulla ma intensissima le dimensioni dell’anima e plasmandone i limiti “come un infinito stuolo” che lascia senza respiro di fronte alle riflessioni temporali dell’immagine cinematografica in ogni sua accezione, in ogni sua rappresentazione. Anche se, davvero, chi siamo noi per recensire, commentare, rendere nostre (a parole) le immagini di Tarkovskij, quando si può anche solo ammirarne la potenza, la suggestione e l’influenza? Come le poesie, che perdono bellezza quando vengono spiegate.

Nicola Settis

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