Della tirannide – Liber Liber
Filippo – Liber Liber
Vittorio Alfieri
Tragedia in versi in cinque atti di Vittorio Alfieri. Composta a più riprese tra il 27 marzo 1775 e il 29 dicembre 1781, venne modificata nel dicembre 1782 (edizione Siena 1783) e subì un ulteriore rimaneggiamento nel 1785 (edizione Parigi 1787).
Filippo ordina a Gomez la segretezza assoluta.
L’opera si compone di cinque atti: i dialoghi sono solitamente brevi, ma intensi. In alcune scene, vi è ancora una predilezione del dialogo a scapito dell’azione, ma già si intravedono i caratteri distintivi della drammaturgia alfieriana, come la velocità di svolgimento del fatto drammatico, l’interruzione del verso a favore di un dialogo dal gusto moderno, la presenza della morte violenta in scena.
Filippo è il primo grande tiranno spietato e con sete di potere, ma ha una propria umanità perché consapevole che la ragione della sua infelicità è la solitudine di cui si circonda. Questo pensiero, tuttavia, non è espresso se non nell’ultima battuta della tragedia, nella quale Filippo si interroga se la morte che ha seminato lo abbia in qualche modo soddisfatto.
La figura di Filippo domina nell’opera, al punto che la sua sola presenza in scena proietta una sinistra ombra sugli astanti: la scelta del cattolicissimo monarca come protagonista dell’opera fu, per l’Alfieri, il pretesto per un’invettiva, dal sapore del tutto massonico, non solo contro la tirannide ma anche contro la religione, avvertita come serva del potere politico. Non a caso, del resto, Filippo oppone, agli umani argomenti di Don Carlos, la ragion di stato, schermando i suoi reali sentimenti di odio verso il figlio.
Don Carlos è il primo eroe alfieriano che trova la liberazione nella morte: secondo l’idea di rinnovamento tragico propugnato dal drammaturgo, la morte non è, però, sublimata come vuole la tradizione classicista francese, ma repentina e drammatica. Don Carlos non accompagna la scena dalla morte al dialogo, utile a smorzare i toni dell’evento tragico in scena e a sublimare nel pathos un atto estremo, ma si spegne in due soli versi, nei quali invita Isabella ad uccidersi a sua volta per liberarsi della tirannide di Filippo.
Isabella di Valois è la prima figura femminile dell’Alfieri psicologicamente complessa e contraddittoria. Inizialmente docile e di animo puro, diviene poi risoluta sovvertendo il proprio personaggio: a dispetto di precedenti morti al femminile, che soggiungono tramite avvelenamenti, ritenuti più adatti e nobili al gentil sesso poiché privi di sangue, Isabella si dà la morte con il ferro ed in maniera repentina, non dilungandosi in nessuna considerazione sul suo atto. Il suicidio, inoltre, non è utilizzato in funzione religiosa, con l’intento di sottolineare un gesto che porta alla vita eterna (e al martirio) come già il teatro barocco aveva fatto, ma come libera scelta dell’individuo e come atto liberatorio.
La morte di Don Carlos ed Isabella funge da premessa alla rappresentazione della morte violenta in scena, che il retaggio classicista aveva interdetto in nome del buon gusto: dall’esempio alfieriano, le morti violente e volontarie riempiono le scene italiane con una netta predilezione dell’azione sul dialogo. (Wiki)
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