Pushkin His African Heritage by daily.jstor.org – piccole tragedie ed altro di Pushkin ; Rimsky-Korsakov: Mozart and Salieri

How Alexander Pushkin Was Inspired By His African Heritage

Alexander Pushkin is known as the quintessential Russian writer. What many readers don’t know is that he took particular inspiration from his African great-grandfather, General Abraham Petrovitch Gannibal.

According to Anne Lounsbery, a scholar of Russian Literature, “Boyar credentials, African heritage, and a personal link to Peter the Great were all crucial to Pushkin’s identity.” Playing up his connection with Gannibal, the author adopted the nickname “afrikanets, ‘the African.” His connection with his relative showed up in other ways, too.

Pushkin’s Cameroonian great-grandfather was simultaneously an insider and an outsider, rather like a poet who looks in on the world to compose about it.

Gannibal (sometimes written Hannibal), was very young when he was kidnapped from Africa and sent to Constantinople as a slave. From there, a Serbian Count named Sava Vladislavić brought him to the Court of Peter the Great in St. Petersburg.

The Tsar became very fond of the young boy. He made him his godson, conferring upon him the patronymic Petrovitch, son of Peter, and sent him to study in France. By the time Peter the Great’s daughter Elizabeth took the throne, Gannibal’s rank and accomplishments allowed him noble status. But, in a 1742 letter to the Russian Senate, Gannibal insisted that his noble status was linked to his father being an African chief. “I am of African origin, of an illustrious local nobility. I was born in the city of Logone, on lands belonging to my father, who reigned, furthermore, over two other cities.”

This appeal is the only recorded testimony of his African origins. The search for Logone began in the nineteenth century, culminating in historian Dr. Dieudonné Gnammankou’s late-twentieth century discovery. The African Institute, The Russian Academy of Sciences, and the Pushkin Museums in Moscow, St Petersburg and Mikhaïlovskoe, support his finding that Gannibal was probably born in Logone-Birni in Cameroon.

For Pushkin, the African ancestor who left traces of himself in his physique was also present in his persona. Pushkin’s work criticized society, which led to temporary banishment. Gannibal represented what it was like to be uprooted, yet live in the heart of one’s adoptive homeland. He was simultaneously an insider and an outsider, rather like a poet who looks in on the world to compose about it.

This influence provides a subtext for many of Pushkin’s writings, including The Moor of Peter the Great, his unfinished historical novel of Gannibal’s life.

Pushkin’s most famous work, Eugène Onegin, alludes to Russia’s turbulent history straddling East and West. The story has been reinterpreted as an opera (Tchaikovsky, 1879), ballet (Cranko, 1965), and film (Martha Fiennes, 1999, starring Ralph Fiennes and Liv Tyler). It also contains one of his most famous references to his own mixture of Russian and African heritage. It is a description of straddling two worlds:

“It’s time to drop astern the shape
of the dull shores of my disfavour,
and there, beneath your noonday sky,
my Africa, where waves break high,
to mourn for Russia’s gloomy savour,
land where I learned to love and weep,
land where my heart is buried deep.”

How Alexander Pushkin Was Inspired By His African Heritage

Il cavaliere avaro [Скупой рыцарь] (1830) ***
Mozart e Salieri [Моцарт и Сальери] (1830) ***
Il convitato di pietra [Каменный гость] (1830) ***
Il festino in tempo di peste [Пир во время чумы] (1830) **

Il convitato di pietra (1776) – PDF – Libretti d’opera italiani

Il convitato di pietra (opera) – Wikipedia

Festino in tempo di peste – Aleksandr Puskin

7 febbraio 2014

(dalla tragedia di Wilson, The city of the Plague)
Una strada. Una tavola imbandita.
Uomini e donne che banchettano.
UN GIOVANE
Illustre presidente, ricorderò un uomo a tutti noi ben noto, le cui facezie, storielle amene, risposte argute e critiche mordaci e divertenti, pur nella loro serietà, la nostra tavola han rallegrato, allontanando la tristezza che oggi il contagio, nostro ospite, sui più brillanti ingegni, diffonde. Solo due giorni fa, onoravamo, ridendo, i suoi racconti; impossibile, dunque, in questa nostra allegra festa, dimenticare Jackson. Questo suo posto vuoto, sembra quasi aspettare la sua giovialità… mentre lui già è sceso nelle fredde dimore della terra, anche se il vigore della sua facondia non s’è estinto nella tomba. Ma siamo ancora in molti a vivere, e senza alcuna ragione di tristezza. Propongo, allora, un brindisi alla sua memoria; gioiosi alziamo i calici in un urrah! festoso, come se fosse vivo.
PRESIDENTE
Fu il primo, tra di noi, a lasciarci. Beviamo in silenzio in suo onore.
IL GIOVANE
Beviamo!
(Tutti bevono in silenzio)
PRESIDENTE
La tua voce, Mery, sa esprimere con integra purezza le natie canzoni. Seguita a cantar con quel tuo tono mesto, per riportarci poi alla gioia, così, senza ragione, come chi, preso da una visione, dalla terra s’allontana.
MERY (canta)
C’era un tempo in cui il paese, nella pace prosperava: le domeniche la chiesa, di fedeli si riempiva; voci allegre di bambini risuonavan nelle scuole e nei campi sotto il sole balenavano le falci. Ora la chiesa è vuota; la scuola muta, è chiusa; fermo è il raccolto; deserto è il fitto bosco; ed il villaggio sembra un luogo dall’incendio visitato. Silenzio ovunque – solo il cimitero si riempie e non tace. Portano altri morti e i vivi con timidi lamenti, a Dio chiedono per loro, pace eterna. Serve altro spazio, e le bare, pressate l’una accanto all’altra, come un gregge spaventato, restano in attesa. Se una morte prematura mi tocca in sorte, io, che ti ho tanto amato e il cui amore, felice m’ha reso, io ti prego: non avvicinarti al corpo della tua Jenny, non sfiorare le sue labbra spente, seguila da lontano. Lascia il villaggio! e vai là dove tu possa lenire il tuo tormento e riposare. Quando poi tutto sarà passato, vieni alla mia tomba, Jenny, anche se in cielo, Edmondo non abbandonerà.

PRESIDENTE
Ti ringraziamo Mery pensierosa per questa tua malinconica canzone! Di certo, questa stessa peste ha già in passato visitato le tue valli e le tue terre, e questi tristi pianti già si sono uditi lungo quei fiumi e quei ruscelli che ora lieti e tranquilli scorrono nel selvaggio paradiso del tuo paese natale. E di quel lugubre anno che tante vittime ha visto cadere, forti, buone e belle, rimane un’esile memoria solo in qualche triste, semplice e gradevole canzone pastorale… No, tra tante gioie, nulla più ci rattrista di una musica languida che tocca il cuore.
MERY
Oh! Se non avessi mai cantato, lontano da casa mia! Piaceva ai miei genitori ascoltare la loro Mery. Io stessa mi vedo cantare sulla soglia di casa loro. La mia voce, allora, era più dolce: era, la voce, dell’innocenza?
LUISA
Queste canzoni, non son più di moda! Eppure quante anime semplici ancora, felici, si fidano ciecamente di una donna che piange. La donna crede irresistibile lo sguardo languido, ma se la stessa cosa del ridere pensasse, certo, sarebbe tutta sorrisi. A Walsingham piacciono quelle lagnose del Nord: eccone un bell’esempio. Odio il giallo di quelle loro chiome di Scozia.
PRESIDENTE
Ascoltate: un cigolio di ruote! (Passa un carro carico di cadaveri, guidato da un negro) Ehi! Luisa è svenuta. Da come parlava, sembrava forte come un uomo. Ma un duro è più fragile d’uno sensibile e la paura scuote un’anima dalle passioni scossa! Mery, gettale dell’acqua in viso, starà meglio.
MERY
Sorella nella vergogna e nel dolore, abbandonati al mio petto. LUISA (riprendendosi) Un demonio orribile, ho sognato: era tutto nero, con gli occhi bianchi… sul suo carro mi invitava, dove già dei morti mormoravano orribili parole sconosciute… Ditemi: era veramente un sogno? È passato un carro?
IL GIOVANE
Su, Luisa, riprenditi. Anche se la nostra strada è un tacito rifugio dalla morte, dove indisturbati possiamo banchettare, sai che quel nero carro, ha il diritto di passare ovunque. Non possiamo noi fermarlo! Ascolta Walsingham: per troncar ogni contesa e smetterla coi deliqui femminili, cantaci una canzone gioiosa, disimpegnata, non ispirata dalla malinconia scozzese, ma una canzone vigorosa, bacchica, come dopo una coppa spumeggiante.
PRESIDENTE
Di questo tipo non ne conosco, ma un inno canterò, alla peste. L’ho scritto la notte scorsa, quando ci lasciammo. È la prima volta in vita mia che mi prende l’estro poetico! Ascoltatemi, allora: la mia voce rauca s’addice alla canzone.
MOLTI
Un inno alla peste! Ascoltiamolo! Un inno alla peste! Magnifico! Bravo! Bravo!
PRESIDENTE (canta)
Quando il grande freddo, destro condottiero, su di noi scaglia le sue aspre schiere dei nevischi e dei ghiacci, ardano crepitanti i caminetti e nei banchetti ci sia allegra animazione. Regina minacciosa, ora è la Peste che ci viene incontro, attratta da abbondante messe; e giorno e notte, alla finestra batte col suo funesto badile. Che fare? A chi chiedere aiuto? Dalla Peste difendiamoci, come dall’inverno fastidioso! In casa a piene luci, alte le coppe, nell’allegria i pensieri affoghiamo e tra danze e banchetti, il regno della Peste celebriamo! C’è l’estasi della battaglia, e dell’orlo d’un abisso, e del mare tempestoso con le sue nere onde minacciose, e l’estasi dell’alito lieve della Peste. Tutto, tutto ciò che sa di morte, procura al cuore umano inesplicabili piaceri – ipoteca, forse, d’immortalità! Felice chi, pur tra turbamenti, sa trovarli e riconoscerli. Dunque, gloria a te, o Peste! Noi non temiamo il buio delle tombe, non ci sgomenta il tuo richiamo! Dalle coppe spumeggianti, gioiosi il soffio aspiriamo della vergine-rosa forse… già contagiato dalla peste. (Entra un vecchio prete)
IL PRETE
Sacrilego banchetto, folli scellerati, con le vostre feste e i canti depravati profanate il tetro silenzio, diffuso, ormai, ovunque, dalla morte! Nell’orrore di tristi funerali, tra volti consunti, io al cimitero prego, mentre questo vostro cinico entusiasmo, il silenzio offende delle tombe e scuote la terra che ricopre i morti! Se la fossa comune non fosse benedetta dalle preghiere dei vecchi e delle donne io potrei pensare che dei demoni l’anima tormentino d’un empio, trascinandolo con risa giù all’inferno.
ALCUNE VOCI
Parla bene dell’inferno! Vattene vecchio! Vattene per la tua strada!
IL PRETE
Io vi scongiuro, per il sacro sangue del nostro Salvatore, morto in croce per noi. Questo mostruoso banchetto interrompete, se volete, in cielo, ritrovare le anime perdute dei vostri cari. Ritornate nelle vostre case!
PRESIDENTE
Tristi sono le nostre case, la gioventù ama la gioia.
IL PRETE
Non sei tu, Walsingham, quello che solo poco tempo fa, in ginocchio stringevi, tra i singhiozzi, tua madre morta e disperato gridavi sulla sua tomba? Non pensi che lei ora pianga, che non versi, lassù, amare lacrime, vedendo il proprio figlio come un empio banchettare, udendo la tua voce cantare, tra tante preghiere e tanti pianti, simili forsennate canzoni? Vieni via con me!
PRESIDENTE
Perché vieni qui, a tormentarmi? Io non posso, non devo seguirti: la disperazione, mi trattiene, insieme ad orribili ricordi e alla consapevolezza d’essere un fuorilegge, oltre all’orrore di quel vuoto mortale che in casa mia m’accoglie. Ma mi trattiene anche la novità di queste folli feste, e il benefico veleno di questa coppa e le carezze (Dio mi perdoni) d’una creatura morta, ma pur sempre cara… L’ombra di mia madre da tutto questo non mi staccherà. Troppo tardi sento la tua voce che mi chiama. Rispetto i tuoi sforzi per salvarmi… vecchio! Va’ dunque in pace; e maledetto sia chi ti seguirà! MOLTI Bravo! Bravo! Un vero presidente! Questo per te! Ora va’ via! Via!
IL PRETE
L’anima pura di Matilde ti chiama.
PRESIDENTE (si alza)
Giurami con la tua rugosa mano rivolta al cielo, di lasciare nella tomba quel nome ormai muto per sempre. Oh! Se ai suoi occhi immortali questo spettacolo potessi risparmiare! Una volta mi credeva puro, coraggioso, libero, conobbe il paradiso tra le mie braccia!… Dove sono? Divina creatura della luce! Io ti vedo laddove la mia anima perduta non potrà mai raggiungerti…
VOCE FEMMINILE
È pazzo! Delira, vede la moglie sepolta.
IL PRETE
Andiamo, su andiamo…
PRESIDENTE
In nome di Dio! Padre, lasciami!
IL PRETE
Che il Signore ti protegga!
Addio, figliolo!
(Esce. Il banchetto continua. Il presidente rimane assorto, immerso in profondi pensieri).

Festino in tempo di peste – Aleksandr Puskin





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