Leopardi: lettera sulla tomba di Torquato Tasso

A Carlo Leopardi – Recanati.

Roma 20 Febbraio 1823.

Ricevo la tua del 9, nella quale smentisci le mie imputazioni ingiuriose alla tua costanza e alla tua esperienza in amore, e non mi lasci che rispondere. Non so chi ti abbia scritto del pranzo di Mai. Te ne scrissi io in altro proposito, ma questo fu in data posteriore alla tua lettera. Veramente poche consolazioni potrei provare uguali a quella di vedere effettuato il progetto che mi descrivi, circa il matrimonio di Paolina. Son certo che dal tuo lato non lascerai cosa che possa giovare a questo effetto. Non so e niuno può sapere se Paolina sarà contenta nel suo nuovo stato, e con questo compagno; ma tutti sappiamo di certo che per lei non v’è miglior partito, anzi nessun partito, se non quello di maritarsi presto, e, se è possibile, con un giovane. Salutala tanto da parte mia, ed esprimile i miei sentimenti come tu credi: in seguito dammi nuove di questo affare.

Venerdì 15 febbraio 1823 fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato in Roma. La strada per andarvi è lunga, e non si va a quel luogo se non per vedere questo sepolcro;- ma non si potrebbe anche venire dall’America per gustare il piacere delle lagrime lo spazio di due minuti? E’ pur certissimo che le immense spese che qui vedo fare non per altro che per proccurarsi uno o un altro piacere, sono tutte quante gettate all’aria, perché in luogo del piacere non s’ottiene altro che noia. Molti provano un sentimento d’indignazione vedendo il cenere del Tasso, coperto e indicato non da altro che da una pietra larga e lunga circa un palmo e mezzo, e posta in un cantoncino d’una chiesuccia. Io non vorrei in nessun modo trovar questo cenere sotto un mausoleo. Tu comprendi la gran folla di affetti che nasce dal considerare il contrasto fra la grandezza del Tasso e l’umiltà della sua sepoltura.

Ma tu non puoi avere idea d’un altro contrasto cioè di quello che prova un occhio avvezzo all’infinita magnificenza e vastità de’ monumenti romani, paragonandoli alla piccolezza e nudità di questo sepolcro. Si sente una trista e fremebonda consolazione pensando che questa povertà è sufficiente ad interessar e animar la posterità, laddove i superbissimi mausolei, che Roma racchiude, si osservano con perfetta indifferenza per la persona a cui furono innalzati, della quale o non si domanda neppur il nome, o si domanda non come nome della persona ma del monumento. Vicino al sepolcro del Tasso è quello del poeta Guidi, che volle giacere prope magnos Torquati cineres, come dice l’iscrizione. Fece molto male. Non mi restò per lui nemmeno un sospiro. Appena soffrii di guardare il suo monumento temendo di soffocare le sensazioni che avevo provate alla tomba del Tasso.

Anche la strada che conduce a quel luogo prepara lo spirito alle impressioni del sentimento. E’ tutta costeggiata di case destinate alle manifatture, e risuona dello strepito de’ telai e d’altri tali istrumenti, e del canto delle donne e degli operai occupati al lavoro. In una città oziosa, dissipata, senza metodo, come sono le capitali, è pur bello il considerare l’immagine della vita raccolta, ordinata e occupata in professioni utili. Anche le fisionomie e le maniere della gente che s’incontra per quella via, hanno un non so che di più semplice e di più umano che quelle degli altri; e dimostrano i costumi e il carattere di persone, la cui vita si fonda sul vero e non sul falso, cioè che vivono di travaglio e non d’intrigo, d’impostura e d’inganno, come la massima parte di questa popolazione. Lo spazio mi manca: t’abbraccio. Addio addio.

da Lettere 1823

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