Balcani : Macedonia, CROAZIA, KOSOVO, Grecia-Macedonia by eastjournal – balcanicaucaso.org

Macedonia, l’integrazione euro-atlantica torna in cima alle priorità

Il neo-premier socialdemocratico Zoran Zaev rilancia le prospettive di integrazione della Macedonia in Ue e Nato partendo dai vitali rapporti coi vicini. Progressi con Grecia e Bulgaria, momenti di tensione con la Serbia

22/09/2017 –  Francesco Martino

Dopo aver ripetutamente rischiato il tracollo istituzionale, la Macedonia rilancia le proprie prospettive di integrazione euro-atlantica, bloccate negli ultimi anni da feroci spaccature interne e da questioni irrisolte coi paesi vicini.

La svolta è arrivata lo scorso maggio, con la nascita del governo socialdemocratico di Zoran Zaev, che ha riaperto i negoziati con Atene sull’annosa questione del nome, per poi firmare uno storico trattato di buon vicinato con la Bulgaria.

Un’azione decisa che ha fatto ripartire il cammino della Macedonia (candidato membro dal lontano 2005) verso l’Ue e Nato, ma che ha segnato momenti di forte tensione a livello regionale, soprattutto con l’ingombrante vicino serbo.

La creazione del governo Zaev ha messo fine al periodo più drammatico della storia recente macedone. A inizio 2015 Zaev, allora a capo dell’opposizione, rese pubbliche una serie di registrazioni compromettenti a carico del premier di centro-destra Nikola Gruevski, da un decennio dominatore incontrastato della scena politica locale.

Secondo l’opposizione le intercettazioni, di provenienza mai chiarita, avrebbero provato corruzione e gravissime violazioni da parte di Gruevski, tra cui l’aver spiato per anni più di 20mila cittadini macedoni. Gruevski ha però respinto ogni accusa ed ha denunciato “un complotto voluto da potenze straniere” – scegliendo la strada del muro contro muro.

E’ seguito un lungo negoziato tra le parti, facilitato da Stati Uniti ed Unione europea, che ha portato alla creazione di una procura speciale sulle accuse al governo e ad elezioni anticipate tenute – dopo vari tentativi andati a vuoto – nel dicembre 2016.

Dalle urne, però, la Macedonia è uscita nuovamente spaccata: la VMRO-DPMNE di Gruevski ha vinto di un soffio, ma è rimasta senza alleati. I socialdemocratici, in alleanza con alcuni partiti albanesi, avevano i numeri per governare, ma il presidente Gjorgje Ivanov (eletto coi voti VMRO) non ha concesso loro il mandato, accusandoli di voler dividere il paese su basi etniche.

La tensione è esplosa a fine aprile, quando dopo l’elezione a presidente del parlamento dell’albanese Talat Xhaferi decine di sostenitori di Gruevski sono penetrati in aula picchiando a sangue vari deputati, Zaev compreso.

Con lo spettro di una guerra civile alle porte, i negoziati e le pressioni internazionali si sono fatti pressanti: alla fine Ivanov (e Gruevski) hanno ceduto, e il mese successivo Zaev ha potuto lanciare il suo esecutivo, sostenuto da una risicata maggioranza in parlamento (62 voti su 120).

Consapevole della necessità di un forte sostegno internazionale, Zaev ha messo il rilancio delle prospettive euro-atlantiche in cima alla lista delle sue priorità. Per farlo il neo-premier – in collaborazione col nuovo ministro degli Esteri Nikola Dimitrov – ha subito lanciato segnali di distensione a Bulgaria e Grecia, i vicini che tengono le chiavi di accesso di Skopje a Ue e Nato, e con cui i rapporti erano drasticamente peggiorati durante il governo di Gruevski, spintosi sempre più su posizioni nazionaliste e vicine alla Russia di Putin.

L’azione del tandem Zaev-Dimitrov ha portato subito ad un risultato importante nei rapporti con la Bulgaria. Dopo quasi vent’anni di attesa, a inizio agosto i due governi hanno firmato a Skopje uno storico trattato di buon vicinato.

L’intesa impegna i due paesi a superare le incomprensioni reciproche, che riguardano soprattutto l’interpretazione divergente di fatti e personaggi storici contesi. Skopje ha rinunciato di fatto ad ogni pretesa sulla contestata minoranza macedone in Bulgaria in cambio dell’appoggio di Sofia – presidente di turno dell’Unione europea nel primo semestre 2018 – all’avvicinamento macedone a Ue e Nato.

Contemporaneamente è stato rilanciato il negoziato con la Grecia sulla questione del nome, per Skopje il nodo fondamentale da sciogliere. Fin dall’indipendenza dalla Jugoslavia (1991) la Grecia rifiuta il nome costituzionale della Macedonia, che considera parte integrante della sua eredità storico-culturale, e una possibile rivendicazione sulla sua provincia settentrionale che porta lo stesso nome (Atene insiste sull’uso provvisorio dell’acronimo FYROM – Former Yugoslav Republic of Macedonia).

Dopo uno scambio di visite di cortesia tra Dimitrov e il suo omologo greco Nikos Kotsias, è stato annunciato che il negoziato vero e proprio, al palo dal 2014, dovrebbe ripartire entro l’inizio del 2018.

In un clima di generale ottimismo, la rinnovata azione macedone ha fatto però segnare un momento di forte tensione con la Serbia. A fine agosto, in una mossa senza precedenti, l’intero personale dell’ambasciata serba a Skopje è stato richiamato in patria: una decisione drastica rientrata qualche giorno più tardi e rimasta in gran parte senza spiegazione.

La leadership di Belgrado ha parlato di risposta ad “azioni di intelligence contro la Serbia” alludendo forse ad attività di spionaggio: c’è però chi ipotizza una reazione all’intesa con la Bulgaria, tradizionale concorrente della Serbia per l’influenza sulla piccola Macedonia.

Quale che ne siano i reali motivi, lo screzio con Belgrado ha ricordato alla nuova leadership macedone di muoversi in un contesto – quello balcanico – fatto di delicati e spesso fragili equilibri.

Per ora l’opinione pubblica macedone – da sempre largamente pro-UE – sembra apprezzare il dinamismo di Zaev. Una prima verifica già bussa alle porte: a metà ottobre, si terranno infatti le prossime elezioni amministrative. I risultati saranno di fondamentale importanza per il governo a guida socialdemocratica e le ambizioni di riaprire la strada verso l’integrazione euro-atlantica di Skopje.

Questa analisi è stata pubblicata il 21 settembre sul sito dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) col titolo “La Macedonia è uscita dalla crisi, con nuove speranze (e vecchi problemi)”

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Macedonia/Macedonia-l-integrazione-euro-atlantica-torna-in-cima-alle-priorita-182692

CROAZIA: Problemi con tutti i vicini

Giorgio Fruscione 5 giorni fa

Nei Balcani, la tradizione di tenere buoni rapporti tra vicini (il komšiluk) è sintomatico di una vita tranquilla e senza grossi problemi, per lo meno dal punto di vista economico. La stessa cosa succede tra gli stati della regione. Tuttavia, il collasso della Jugoslavia ha sviluppato animosità bilaterali, soprattutto come conseguenza di questioni territoriali irrisolte a seguito del conflitto degli anni novanta.

Il caso più emblematico oggi è quello della Croazia. Nonostante la Croazia sia l’ultima new entry nell’Unione Europea, il che dovrebbe fungere da garante di stabilità specie nelle dispute bilaterali, durante l’estate scorsa si sono incrinati i rapporti con tutti i vicini. Ognuno di questi per un motivo particolare.

Slovenia e Ungheria

Per quanto negli ultimi venticinque anni il destino di Lubiana e Zagabria sia stato accomunato in primis dal desiderio di autodeterminazione esterna e, in ultima sintesi, dal percorso di integrazione europea, i rapporti diplomatici tra i due paesi si sono arenati sulla questione del confine marittimo nel golfo di Pirano (ne avevamo scritto qui). A fine giugno 2017, l’arbitrato internazionale aveva finalmente riconosciuto alla Slovenia la sovranità sui tre quarti della baia. La reazione della Croazia, per voce della presidente, Kolinda Grabar-Kitarović, non si era fatta attendere: in sostanza, la Croazia non rispetterà l’arbitrato e invita la Slovenia a nuovi negoziati.

Per questo motivo, a inizio settembre, la Slovenia ha deciso di porre il veto sull’ingresso della Croazia nell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). A farle compagnia, qualche giorno dopo, si è aggiunta l’Ungheria, ma per un altro motivo. Budapest ha infatti aggiunto il suo veto per la questione MOL, l’azienda petrolifera ungherese che investe nei giacimenti in Croazia (ne avevamo parlato qui). Il 9 settembre scorso il Ministero degli Esteri ungherese ha rilasciato una comunicazione ufficiale in cui dichiara che Budapest non sosterrà la candidatura all’OCSE di Zagabria “a causa del suo comportamento nei confronti della compagnia petrolifera ungherese MOL e del suo amministratore delegato Zsolt Hernadi”. La Croazia ha infatti emesso un mandato di cattura contro Hernadi accusandolo di aver pagato, nel 2009, una tangente di 10 milioni di euro a Ivo Sanader, allora primo ministro croato, per la cessione di parte delle azioni della INA (azienda petrolifera croata) a favore della MOL.

Serbia e Montenegro

Dagli anni novanta in poi, le relazioni bilaterali tra Serbia e Croazia hanno nella storia il loro punto d’attrito principale. L’ultima querelle riguarda la targa commemorativa dell’HOS (gruppo paramilitare croato durante la guerra) a Jasenovac, che conteneva il saluto ustascia “za dom spremni” (pronti per la patria). Questa targa è sempre stata considerata, da Belgrado ma soprattutto dai serbi di Croazia, una provocazione, considerato che a Jasenovac nel corso della Seconda guerra mondiale sorgeva il campo di concentramento dove vennero uccisi migliaia di serbi, rom e ebrei. Il ministro della difesa serbo Aleksandar Vulin aveva fortemente criticato il governo del premier croato Plenković, nonché l’Unione Europea, affermando che sarebbe come avere a Mauthausen o Auschwitz una targa con la scritta “sieg heil” e si chiede come mai l’UE non intervenga per far rimuovere una targa che “uccide una seconda volta i bambini serbi trucidati durante la Seconda guerra mondiale”. La targa, alla fine, è stata rimossa lo scorso 7 settembre per essere spostata nella vicina cittadina di Novska.

E sempre i monumenti storici sono motivo d’attrito tra la Croazia e il Montenegro, in quella che si potrebbe definire una piccola “guerra dei monumenti”. A Slatina, in Montenegro, è stata affissa una targa di commemorazione a Puniša Račić, leader del partito popolare radicale che nel 1928 uccise nel parlamento del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni Stjepan Radić, leader del partito contadino croato, e altri due parlamentari. Il Ministero degli Affari Esteri croato aveva presentato una nota a Podgorica affinché rimuovesse la targa e preservasse così i rapporti di buon vicinato. Dopo qualche giorno, su iniziativa degli abitanti del posto, la targa a Račić è stata rimossa. Dall’altra parte del confine, invece, Podgorica ha richiesto a Zagabria la rimozione della statua di Miro Barešić, terrorista e nazionalista croato che nel 1971 uccise l’ambasciatore jugoslavo in Svezia, già leader dei partigiani montenegrini, Vladimir Rolović. Questa statua venne eretta nell’estate del 2016 nel villaggio di Drage, su iniziativa dei parenti di Barešić. Fino ad adesso, la richiesta del governo montenegrino è stata ignorata da Zagabria.

Bosnia Erzegovina

Infine, di tutt’altra natura sono i dissidi di Zagabria con il governo di Sarajevo e ruotano attorno al progetto del ponte che collegherebbe la costa alla penisola di Pelješac, nel sud della Dalmazia, “tagliando” il piccolo sbocco al mare bosniaco. La Bosnia Erzegovina sostiene che la costruzione del ponte leda il rispetto dei confini di stato e dell’accesso al mare aperto. Nonostante la Commissione Europea abbia già autorizzato i finanziamenti per la costruzione del ponte, il presidente del consiglio dei ministri bosniaco, Denis Zvizdić, lo scorso 18 settembre ha richiesto a Bruxelles di mettere in piedi un team di esperti croati e bosniaci che, insieme all’aiuto della Commissione UE, trovi una soluzione adeguata nel mutuo interesse dei due paesi.

Quella del Ministero degli Affari Esteri e Europei croato è stata quindi un’estate molto calda. Il governo Plenković dopo la lunga instabilità degli ultimi esecutivi croati dovrà dimostrare di saper far buon uso della diplomazia, nonché rispettare il diritto internazionale, specie per quanto riguarda la baia di Pirano. Ma soprattutto, non dovrà lasciare che i rapporti di vicinato si deteriorino in nome di quell’egoismo che, sempre nella tradizione locale dei Balcani, si riassume con l’espressione “nek’ komšiji crkne krava”, ovvero “che muoia la vacca del mio vicino”.

http://www.eastjournal.net/archives/86097

KOSOVO: Trattative e instabilità, la calda estate di Pristina

Riccardo Celeghini 26 giorni fa

L’estate in Kosovo è stata un susseguirsi di trattative politiche, presunti accordi, pesanti accuse tra leader di partito. Dopo tre mesi di stallo a seguito delle elezioni, le ultime mosse dei partiti hanno portato ad un accordo per una nuova maggioranza di governo. Tutto lascia presagire che l’esecutivo che verrà sarà molto debole, esattamente ciò di cui il Kosovo non ha bisogno, alla luce delle numerose riforme da portare avanti. Quello che sta andando in scena è un film già visto nel 2014, quando ci vollero sei mesi per formare l’esecutivo, caduto poi in anticipo rispetto alla naturale scadenza.

Tra giugno e agosto per ben sei volte il nuovo parlamento si è riunito per eleggere il presidente dell’assemblea. Tale passaggio è necessario prima che il presidente della Repubblica possa dare il mandato al primo ministro. La proposta spetta alla coalizione vincente, e dunque alla PAN, l’alleanza tra il Partito Democratico del Kosovo (PDK), l’Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK) e il partito NISMA. Il nome proposto è quello di Kadri Veseli, esponente di punta del PDK, che ha già ricoperto questa carica nella scorsa legislatura. La sua elezione aprirebbe poi la strada alla nomina a primo ministro di Ramush Haradinaj, leader di AAK. Fino ad ora, però, sono sempre mancati i numeri necessari ad avere la maggioranza e le sei sedute si sono concluse con un nulla di fatto.

Negli ultimi giorni, le trattative tra partiti sembrano giungere ad una soluzione. Per questo, evidentemente, è necessario il passaggio di alcuni deputati della coalizione avversaria. L’indiziato numero uno è l’Alleanza per il nuovo Kosovo (AKR), presentatasi alle elezioni in alleanza con il partito dell’ex premier Isa Mustafa, la Lega Democratica del Kosovo (LDK). Il leader del piccolo partito, il miliardario Behgjet Pacolli, ha per settimane fatto presagire un cambio di schieramento, fino alla rottura con i suoi alleati e alla firma di un accordo per entrare in un governo guidato da Haradinaj, a suo dire necessario per superare lo stallo. Se ciò si concretizzasse in una maggioranza parlamentare, all’opposizione resterebbe non solo la LDK ma anche il movimento nazionalista di sinistra Vetëvendosje (VV). Più voci ipotizzano un’alleanza tra queste due forze per proporre un’alternativa di governo. L’ipotesi sarebbe rivoluzionaria, in quanto manderebbe all’opposizione il PDK del presidente Hashim Thaçi. Nonostante un’intesa di base tra i due soggetti è stata raggiunta, sembra più un ultimo disperato tentativo per evitare la nascita del nuovo esecutivo che una reale proposta politica, anche alla luce della dura opposizione che VV aveva fatto proprio al governo Mustafa.

Anche se il parlamento votasse il suo presidente e, a seguire, i nuovi ministri, come potrebbe avvenire molto presto, il nuovo governo avrebbe una strada tutta in salita. La coalizione non solo includerebbe dei parlamentari “trasformisti”, ma terrebbe insieme due storici rivali fin dai tempi della guerra, gli ex-generali dell’UÇK Thaçi e Haradinaj. Se a questo aggiungiamo la presenza della Lista Serba, il partito legato a Belgrado, è evidente che i rischi di instabilità sono molto alti. Ciò che tiene insieme questi attori è soprattutto la volontà di mantenere una posizione di potere, oltre che la paura per le prossime azioni del Tribunale per i crimini commessi dall’UÇK, che potrebbe presto indagare alti funzionari del PDK e dell’AAK.

La sensazione è che un governo inefficiente e instabile aprirebbe la strada ad una futura affermazione di Vetëvendosje, il partito più in forma nello scenario kosovaro. Un esecutivo guidato da questa forza porterebbe una ventata di novità rispetto alla politica degli ultimi anni, ma rappresenterebbe una grande incognita. Basti pensare che il suo leader Albin Kurti ha recentemente dato per morto il dialogo con la Serbia, proprio mentre questo riprende vigore, come dimostra l’incontro tra Thaçi e il presidente serbo Aleksandar Vučić dello scorso 31 agosto a Bruxelles. Qualunque sia la risoluzione di questo stallo, dunque, per il Kosovo le incognite sul futuro non mancano.

http://www.eastjournal.net/archives/85714

Grecia-Macedonia, si riapre il negoziato sul nome

Dopo la visita di ieri a Skopje del ministro degli Esteri greco Nikos Kotzias, si concretizza la riapertura dei negoziati sull’annosa questione del nome, che da anni blocca il percorso di integrazione euro-atlantica della Macedonia. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [1 settembre 2017]

Continua l’offensiva diplomatica del nuovo governo socialdemocratico macedone, deciso a rilanciare le prospettive di integrazione euro-atlantica del paese. Dopo la firma di uno storico accordo di buon vicinato con la Bulgaria, arrivato nelle scorse settimane, Skopje riapre ora la partita più difficile, quella sull’annosa questione del nome con la Grecia.

Ieri il ministro degli Esteri greco Nikos Kotzias si è recato in visita ufficiale a Skopje, dove ha incontrato il proprio omologo Nikola Dimitrov, il premier Zoran Zaev e il presidente Gjorge Ivanov. Al centro degli incontri, proprio la riapertura del dialogo bloccato dal 2014 soprattutto a causa della lunga crisi istituzionale e politica in Macedonia, superata solo di recente con l’entrata in carica del nuovo esecutivo socialdemocratico di Zaev.

La Grecia rifiuta il nome costituzionale della “Repubblica di Macedonia”, che ritiene parte integrante della propria eredità storico-culturale e considera il suo utilizzo come una potenziale rivendicazione territoriale di Skopje sulla sua provincia settentrionale, che porta lo stesso nome.

Nel 2008 Atene utilizzò il proprio veto per impedire a Skopje di entrare nella Nato, e l’irrisolta diatriba ha paralizzato il cammino della Macedonia verso l’UE, nonostante il paese sia un candidato ufficiale fin dal 2005.

In una conferenza stampa dopo l’incontro, Kotzias e Dimitrov hanno espresso un moderato ottimismo sulla ripresa del negoziato – tradizionalmente condotto sotto l’egida delle Nazioni Unite – che potrebbe avvenire già dopo le prossime elezioni locali in Macedonia, previste per la metà di ottobre.

1 settembre 2017

https://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Grecia-Macedonia-si-riapre-il-negoziato-sul-nome

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