« Camarade Lune » (Barbara Balzerani) – Perché io, perché non tu

Éditions Cambourakis

Compagna luna

Compagna luna, l’autobiografia di Barbara Balzerani, tra i massimi dirigenti delle Brigate rosse, è stato pubblicato per la prima volta nel 1998 da Feltrinelli riscuotendo un grande successo di pubblico, quindi di critica.
Condannata a sei ergastoli, dal fondo delle celle dei carceri speciali, Barbara Balzerani riflette incessantemente sulla propria esperienza esistenziale arrivando a elaborare uno stile narrativo del tutto originale. A un profondo e intenso dialogo interiore riesce infatti ad alternare un’analisi asciutta e lucida del contesto politico che ha riguardato lei come altre migliaia di persone coinvolte nei conflitti politici degli anni Settanta.«Non a tutto si rimedia, non tutto si cicatrizza. Nella specie di carcere allargato in cui vive, Barbara sa che non le saranno mai più abituali gli spazi e i tempi delle persone normali, che le è negato un senso da dare a un domani che non possiede. Per averli bisognava dunque arrendersi, darsi all’arrancata individuale, chiudere gli occhi, tacere? Compagna luna ha il grande merito di far parlare ciascuno di noi per come ha visto quegli anni» (Rossana Rossanda).«È un libro che vi toglie subito il respiro, perché ha il merito di iniettare verità in ogni parola, come succede quando la necessità di avere voce si fonda anche sul dono di saper dare spessore letterario all’io e agli altri pronomi che l’io sfaccettano, facendone la storia. Leggiamo e ci ricordiamo con vergogna, con nostalgia, che siamo stati diversi» (Domenico Starnone).

«Questo libro, intessuto di parole e sentimenti che rispettano i sentimenti, il primo sulle Br che leggo fino in fondo, è stato per me una passione, una resuscitata passione del capirsi» (Lidia Campagnano).

http://www.deriveapprodi.org/2013/02/compagna-luna/

Perché io, perché non tu

Barbara Balzerani

Dopo Compagna luna (Feltrinelli, 1998) e La sirena delle cinque (Jacabook, 2003) questo terzo lavoro narrativo di Barbara Balzerai è un libro denso e intenso che fa economia di parole per esprimere in poche pagine il dolore di alcune scelte che hanno trasformato una vita, molte vite, la vita stessa di un paese. Un dolore in bilico tra fatti pubblici e sentimenti privati che si nutre della carcerazione speciale della sua protagonista, cresce nel formarsi di una comunità «politica» delle detenute e che si distingue da quello delle recluse comuni.
Per proseguire poi nei primi passi incerti, nelle prime parole balbettate, nei primi sguardi allucinati di una libertà costantemente vigilata, e ricattata. Una narrazione che accende improvvisi fasci di luce su eventi esistenziali anche minimali trasformandoli poi, come d’incanto, in secche metafore di una consapevolezza di gravi errori e grandi sconfitte, mai disgiunta però da una ferma, orgogliosa rivendicazione di un’etica della dignità.

Un Assaggio

Erri De Luca
Prefazione

Conosco Barbara da così tanto tempo da non poter distinguere le sue pagine da lei. Credo che sia lo stesso anche per lei con le mie pagine. Noi ci riversiamo nelle parole dei nostri racconti spudoratamente, ma restiamo ugualmente intimi e conoscibili solo dopo molto sale sudato insieme, molto sale mangiato alla stessa tavola. Allora questa non può essere un’introduzione al suo libro, ma una lettera a lei.
Tu e io siamo rimasti figli, non ne abbiamo di nostri per un’astinenza che non si giustifica solo con la vita svolta. Essere rimasti figli di genitori ai quali abbiamo voltato le spalle, staccandoci da loro con addii irreparabili, ritrovandoceli pronti e intorno poi, quando la nostra piazza si fece deserta. Senza figli ci siamo tenuti in disparte dal seguito di noi stessi. Come il gesto che fa il piccolo Hanno Buddenbrook, ultimo della stirpe, tracciando un doppio frego sotto il suo nome scritto in fondo all’albero genealogico di famiglia. A chi gli chiede ragione di quel segno, risponde: «Credevo non dovesse seguire altro»
Noi due siamo vicoli ciechi: il frego doppio sotto il nostro nome non lo sottolinea, lo sterilizza.
Dev’essere per questo che ci siamo messi a scrivere. No, i libri non sono i figli mancati, per loro non esiste supplenza. I libri sono il nostro modo di raccontare storie a chi non c’è. Scriviamo da una distanza che non può essere annullata dalla voce. «Come uno che viene da così lontano, che non spera di giungere», scrive Borges di sé, così dico io delle nostre scritture. Scrivere è rinuncia alla voce, affido intero alla materia muta della carta, assorbita di inchiostro, nostra emorragia. Eravamo nelle stesse strade, negli stessi urti contro i poteri costituiti, avevamo collere e compassioni uguali. Le forme furono diverse, le vite nostre e di molti di noi si suddivisero minuziosamente in destini simili a frantumi. Quell’interezza che siamo stati si infranse da dentro, non per i colpi ricevuti da fuori. Anzi, quelli ci avevano indurito, compattando la materia prima delle nostre ragioni. A te è toccata la malora penale, fino all’ultima sillaba di decenni insaccati dentro recinti di sbarre. Tu hai pagato tutto il conto e il compito di stare tra i centimetri per la durata di cinque olimpiadi. In questo paese di insolventi, di chi si può permettere l’acquisto dell’impunità, tu e alcuni dei tuoi avete saldato con il vostro corpo il debito penale di una generazione. Da qualche parte ho scritto: qualcuno in una cella e in un esilio sconta il novecento anche per me. Mi riferivo a te e ai tuoi compagni.
A te ho cantato la mia ballata per una prigioniera e poi l’ho ricantata cento volte su e giù per teatri, a te ho girato tutti gli applausi raccolti. A te ho telefonato in una notte di maggio dentro Belgrado sotto il più violento acquazzone di bombe piovute dall’ovest, incluso il nostro paese ridotto a tappetino e pista di decollo per bombardieri di città vicine. Bombardare una città è l’atto di terrorismo per eccellenza: vuole terrorizzare e distruggere il maggior numero di vite inermi. Il terrorismo comincia a Guernica nel 1937 e continua ovunque un bombardiere, un missile abbia per bersaglio una città. Terrorismo furono i bombardamenti di dieci anni fa su Belgrado e gli altri centri abitati della Jugoslavia. Tutto il resto che viene spacciato sotto il nome spauracchio di terrorismo, a confronto, è una sfumatura. Così si è chiuso il nostro secolo enorme, quale ubriaco ha scritto che fu breve? Il nostro 1900 è stato il più largo campo di azione della storia umana. Noi che invecchiamo in un’altra centuria la consideriamo un tempo supplementare, una prolunga del secolo nostro. Sfoglio le tue storie, riconosco la tua voce sottile che non ha permesso a nessuna reclusione di toglierle il diritto di parola.

http://www.deriveapprodi.org/2009/03/perche-io-perche-non-tu/

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