Arthur Penn La caccia – THE CHASE 1966

Arthur Penn La caccia

Recensione scritta da Hellring per DeBaser. ()

Arthur Pennè stato uno degli autori più importanti del cinema americano a cavallo tra ’60 e ’70. Regista venuto su dal teatro, ha saputo riscrivere e ri-definire gli stilemi dei vari generi, mescolandoli tra loro e soprattutto sovvertendo le normali linee narrative e tematiche su cui poggiavano. Il tutto inscritto nella “crisi di Hollywood”, deflagrata dal moltiplicarsi del televisore.Con “Anna dei miracoli” Penn trova fin da subito la consacrazione della critica, riappropriandosi del lavoro che aveva già svolto anni addietro a Broadway. “La caccia” (The Chase, 1966) è il quarto lungometraggio di Penn, nato sotto l’invadente influenza del produttore Sam Spiegel: forte dei suoi 3 Oscar in meno di dieci anni, Spiegel pensò bene di stravolgere diverse sequenze del film di Penn, in particolare quelle che richiamavano la condizione di schiavitù e sfruttamento vissuta dai lavoratori afroamericani. Motivo per cui soprattutto all’inizio, diverse sequenze ci mostrano neri usciti quasi per caso sulla pellicola, opera di quel lavoro di “taglio” che Spiegel ha imposto a Penn. Sempre per il medesimo motivo e sempre nei primi minuti, il secchissimo montaggio di Milford è palesemente influenzato dallo “sfrondamento” subito dal film.

Siamo nel Texas, in una cittadina del profondo sud degli States. Bubber (Robert Redford) è evaso dal carcere e la notizia getta nel panico la piccola comunità. La trama si chiude quì, visto che dell’evasione e della fuga Penn ci mostra poco o nulla: il suo obiettivo è indagare il microcosmo della cittadina fin nelle sue più piccole caratterialità. “La caccia” è il dramma della nazione americana, il riassunto di tutte le falsità ideologiche e morali della grande democrazia a stelle e striscie. Penn narra il becero razzismo dei bianchi contro gli afro e il suo è lo sguardo polemico di chi rintraccia in ogni singolo comportamento il collasso ideologico della sua nazione. Lo sceriffo Calder (il solito monumentale Marlon Brando) è un involucro vuoto che non ha potere davanti all’insofferenza di chi rifiuta la legge come dato costituito. Tutti in Texas hanno una pistola…e ognuno la utilizza per la propria distorta idea di “giustizia”. Ancora meglio se il piombo lo assaggia un nero o magari un evaso, con la comunità che non aspetta altro che massacrarlo perchè secondo il “sentito dire” è un assassino. L’uomo manipola e stravolge le notizie e la realtà che lo circonda perchè è intimamente meschino e ogni singolo avvenimento raccontato nel film lo dimostra. La straordinaria sequenza del pestaggio di Brando, con l’intero paese che assiste sogghignando è rappresentativa della poetica penniana: gli states che guardano senza reagire al disfacimento di qualsivoglia stralcio di legalità.Penn è un cineasta politico. Nell’America del post maccartismo, nell’America post Rosa Parks, Penn decanta una società ancora chiusa in se stessa e profondamente violenta. La stragrande maggioranza dei personaggi sono pronti a sparare e picchiare un nero, ma non hanno problemi a sputare sul matrimonio. Non c’è moralità, non c’è giustizia, non c’è integrazione, non c’è speranza, ma solo l’ineluttabilità di un destino che è deciso, quasi anticipato dalla violenza stessa. Un discorso similare Penn lo aveva già affrontato nel western d’esordio “Furia selvaggia” (1958).Per rendere questo clima di destrutturazione della società americana, Penn si affida ad una regia essenziale e che sfiora il “minimalismo”. La macchina da presa si muove pochissimo e solo nel finale viene lanciata in scene “action” fino a quel momento assenti. Arthur Penn muove dal suo passato teatrale e costruisce un film di “messa in scena”, fatto di primi piani e piani fissi, lasciando alle prove attoriali il compito di veicolare il suo messagio tematico e cinematografico. Ed ecco che la fuga di Bubber ci viene mostrata di rado, con fugaci sequenze: la sua è la metafora di un paese che nel pieno dei propri errori (il Vietnam era già cosa americana) tentava di fuggire da se stesso, per tornare infine a casa. E non poteva esserci che sconfitta.“La caccia” è un lungometraggio di denuncia e critica, lo sguardo politico e rassegnato di un regista che attraverso il cinema e la ridefinizione dei generi cinematografici, ha portato avanti un racconto di perenne critica sociale e politica verso il suo paese. Arthur Penn è stato uno dei più importanti e influenti autori del cinema americano nel biennio ’60 e ’70. Ha raccontato storia, sogni e fallimenti di una nazione. “La caccia” è un film profondamente personale con cui Penn ha utilizzato il mezzo cinematografico per raccontare la realtà.Un gioiello da riscoprire.

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