Eschilo I sette contro Tebe pdf e qualche correlato

Eschilo – I sette contro Tebe

Personaggi della dramma:

  • Eteocle
  • Corriere esploratore
  • Coro di fanciulle tebane
  • Antigone
  • Ismene
  • Banditore

Folla di Tebani, guerrieri. Il luogo: l’acropoli di Tebe.

Folla di anziani e di ragazzi. In mezzo, spicca Eteocle.

ETEOCLE

Uomini di Cadmo! Dire pronti rimedi, via via: è dovere, per chi è attento, fedele ai suoi impegni di Stato. Dal ponte pilota il paese, manovra la barra. Ciglia immote, inquiete. Senza riposo.

Certo, se la fine è benigna, un Celeste è radice. Altrimenti – no, non deve accadere! – se il destino rovina, un nome, uno solo rimbomba ossessivo per piazze e per strade, risacca stridula d’urli, fra note gementi, a imprecare: «Eteocle!» O Zeus che storni, concreta il tuo nome, fa’ scudo alla gente di Cadmo! A voi. Al vostro dovere immediato.

Ognuno – chi ancora non tocca l’età del rigoglio maturo, chi la vita ha sfiorito, chiunque è nel fiore del tempo – s’accumuli dentro vivo gemmare di forze, ciascuno a misura di sé: a voi presidiare lo Stato, gli altari dei nostri dèi del paese. Oh, non sia spenta mai la loro religione! Poi i figli, la Terra materna: ci ha nutrito, l’abbiamo nel sangue! Lei si faceva appoggio amoroso al vostro arrancare di bimbi, lei salutava con gioia sacrifici, fatiche per crescervi. V’ha fatto uomini, braccia buone allo scudo, da fidarsi, quando l’ora critica giunga.

Oggi è giunta. Ecco, fino ad oggi il dio s’è librato propizio dalla parte di Tebe. È vero: un periodo, finora, di ferreo blocco per noi, ma intanto, quante battaglie risolte in successo! Dio ci aiutava.

Ora è diverso. L’annuncia il veggente: lui, mandriano d’alati. Non gli serve la fiamma. Con l’udito, coi sensi del cuore scruta in volo gli indizi rivelatori.

Scienza sincera, la sua. Lui, che di tali pronostici è saldo maestro, rivela: «Assemblea notturna d’Achei; si parla d’offensiva durissima; scatterà con l’agguato». Quindi forza, volate in massa ai bastioni, ai varchi del baluardo. Via, corazzati di ferro. Gremite, lassù, i parapetti. Radicatevi ai corridoi delle torri. Coraggio, immoti davanti alle uscite, agli sfoghi di Tebe. Niente tremori alla densa folata del nemico che viene. Frutterà bene dal cielo.

Io feci uscire le scolte, a scrutare l’armata, là fuori. Missione non cieca, punto tutto su loro. Dopo il rapporto, non c’è rischio che m’avvolga l’agguato. La folla sciama alle mura, ai posti di combattimento. Irrompe uno della scolta.

CORRIERE

Eteocle, principe di Tebe! Eccomi. Porto fresche notizie di là, dal nemico. Pura realtà. Io, non altri, ho visto spiando.

Sono sette. Uomini capi d’armata. Vibrano, tesi.

Dissanguano un toro, sopra un incavo cupo di scudo. Tuffano il pugno nella pozza di morte. Ecco – su Guerra, su Eccidio, su Panico ghiotto di sangue – giurano fermi: o fare di Tebe macerie contorte, brutale razzia sul paese di Cadmo; o cadere, cementare col sangue questo suolo di Tebe. Ciascuno sceglieva la propria reliquia: ghirlanda al carro d’Adrasto, per i vecchi, laggiù tra le mura di casa. Pianto spioveva: non gemiti, oltre le labbra.

Sì , cuori d’acciaio e da essi folate roventi di febbre guerriera. Leoni, diresti, sciabolate di odio dagli occhi! Non è vecchio, non ristagna l’annuncio dei fatti. Anzi – io mi staccavo, pian piano – c’era già spartizione. Dall’urna, ciascuno estraeva a che soglia guidare la propria colonna.

Devi reagire. Schiera di volo ai tuoi varchi d’uscita i perfetti campioni, il fiore di Tebe. È l’ora, ci è addosso l’armata nemica, blocco di ferro che assale, polvere alta, scrosci di bava lucente dalle froge al galoppo, a chiazzare il terreno. Tu, si direbbe, hai buona esperienza di manovra alla barra, sul ponte. Quindi rafforza la chiglia di Tebe, prima che turbini raffica d’Ares. Mugghia – marea in terraferma – l’armata. Tu afferra il rimedio più pronto alla crisi attuale. Per me, farò dei miei occhi scolta fidata anche al chiaro del sole. Dai miei scrupolosi messaggi saprai ogni fatto, là fuori, e non avrai colpi maligni. Il Corriere parte.

ETEOCLE

O Zeus, o Terra, e voi, dèi che cingete il paese; Potenza, travolgente Vendetta che il padre imprecò, Tebe, la mia Tebe almeno non strappatela via – arbusto divelto dal ceppo, desolata rovina, spoglie all’ostile ferocia – lei, le famiglie, le domestiche mura: lei, che irraggia, modula in greco la lingua! Libera patria, Stato figlio di Cadmo: stanghe schiave non li inchiodino mai! Fate scudo. Vi coinvolge il discorso, io spero: si sa, un paese, se ha buona fortuna, ripaga i Potenti.
Eteocle si avvia alle mura.

Si precipita senza ordine in scena il Coro di fanciulle tebane.

CORO

Ululo orrore, abisso d’angoscia:

dilaga l’armata. Straripa dal campo

marea vasta, fulminea di gente al galoppo.

La vedo! È spia quel volo di polvere in cielo:

non ha voce, ma parla sicuro, non mente.

La mia terra è preda di zoccoli cupi.

S’insinua il rombo, s’impenna, rugge:

un’acqua a schiantare la rupe, diresti,

trionfante. Dèi, oh, dee, sperdete

quest’alba di male.

Urlio varca la cinta.

Barbaglio di scudi. Il nemico si muove

schierato, ritma il passo su Tebe.

Chi farà scudo? Chi potrà arginare,

un dio, una dea? Che altro mi resta

se non adorare, prostrata, i Potenti?

O Maestà benedette,

culmina l’ora d’abbracciare le sante effigi.

Pianto su pianto: vano l’indugio.

Vi giunge o non vi giunge battito di scudi?

Se non oggi, quando intrecceremo suppliche

fatte di veli e ghirlande?

Ho negli occhi il tumulto: non è cozzo

di lancia solitaria!

Che decidi? Rinneghi, vecchio dio del paese,

o Ares, la tua Tebe?

O potente Elmo d’Oro, volgi gli occhi alla terra

che un tempo legasti al tuo affetto.

str. I

Celesti patroni di Tebe

apparite, guardate quest’ala di donne

che fa voti per non essere schiava.

Rigurgita, accerchia la cinta,

marea di eroi.

Spumeggiare di creste, ai soffi rabbiosi di Morte.

O cosmica Potenza, Zeus padre

sbarra senza spiragli

l’assalto predone.

E gli Argivi attanagliano

la fortezza di Cadmo: orrore,

lame nemiche! In bocca ai cavalli

le briglie battono ritmo omicida.

Sette eroi – gemme in mezzo all’armata –

corazze irte di picche, ai sette varchi

si schierano: ciascuno al suo posto fatale.

ant. I

Figlia di Zeus, Potenza che nel sangue

hai la lotta, fa’ barriera al paese

o Atena! E tu, o Santo, che cavalchi

e reggi l’abisso con l’arma che arpiona,

Posidone sciogli, sciogli noi dall’angoscia!

E tu, Ares, veglia sul borgo che ha Cadmo

nel nome: fa’ capire ch’è tuo, che l’ami!

Tu Cipride, radice materna del sangue

storna ogni male: da te

noi siamo sorti, e a te ricorriamo

col canto in cui vibra

il tuo nome divino.

E tu, dio del Lupo, fatti sterminatore del lupo

armato nemico…

E tu, figliuola di Leto, arma il tuo arco.

str. II

Fragore di ruote accerchia la rocca

lo sento! O Maestosa Era

ululavano i perni per lo sforzo degli assi:

Artemide mia

l’aria pulsa folle squarciata di dardi.

Che accadrà della patria? Che ne sarà?

Fin dove dio sospinge il limite estremo?

ant. II

Sassaiola bersaglia gli spalti, lassù:

o Apollo mio!

Rombo di piastre metalliche, ai varchi.

Esaudisci, tu che al cenno di Zeus

risolvi con fine solenne la guerra,

sul campo.

E tu, santa, benedetta Onca fuori le mura

salva il tuo sacrario dalle sette porte!

str. III

Dèi, dèe, cosmiche Forze

Potenze estreme

scolte ai baluardi della patria

non tradite il paese segnato dal ferro

all’armata che parla straniero.

Esaudite – come è santo e giusto –

queste donne in preghiera, con le palme protese.

ant. III

Oh mie Potenze divine

curvatevi su Tebe, salvatrici

splendete di luce d’amore.

Prendetevi a cuore il popolo devoto

e se il cuore vi spinge, lo porrete in salvo.

Fate mente, vi prego, ai riti solenni

in cui si consuma l’amore di Tebe.

Eteocle, tornato dalle mura, parla alle donne del Coro.

ETEOCLE

Voi, ascoltatemi – creature di disgusto – bell’eroismo il vostro, bella difesa per Tebe! Dà slancio ai guerrieri bloccati qua dentro il vostro aggrapparvi agli idoli santi, patroni di Tebe! E poi strida, schiamazzi: orrore, per chi ha equilibrio! No, no. Disgraziato – o felice e beato – io non faccio famiglia con questa carne di donna.

Se ha potere, scatta, non puoi viverle accanto; ma può prenderla il panico, ed è guaio più grave alla casa, allo Stato. Anche oggi. Questo vostro incrociarvi, fuggitive, sbandate, l’urlio che dilaga: è uno schianto nervoso per la gente di Tebe, l’ha annichilita. Per loro là fuori, invece, è un fior di favore: per noi uno sfacelo.

Colpa nostra, siamo noi la radice. Ecco i frutti, a spartire la vita con donne. Chi non vuol essere docile a questo potere che ho – femmina, maschio, creatura mediana – avrà contro regolare sentenza di morte. Niente paura: non sfugge al supplizio dei pubblici colpi di sasso. È terreno dell’uomo, l’esterno. Non ha peso la donna, non deve. Tu sta’ lì , tra le quattro pareti, non creare dei danni. M’hai sentito, o per nulla? Mi comprendi, se parlo?

CORO

str. I

Eteocle, quel rombo, quel rombo,

martellare di carri… l’ho in testa, incubo

cupo, sibilare di perni rotanti

di morsi ossessivi, barre piantate

tra i denti ai cavalli

briglie fucinate alla fiamma.

ETEOCLE

S’è mai visto il nostromo scovare rimedio che salva, sbandando su e giù per il ponte, con lo scafo spossato  sull’abisso che bolle?

CORO

ant. I

Ma io venni di volo agli idoli antichi

dei Potenti. M’abbandonavo agli dèi: fuori,

tempestava le porte, ruggiva tormenta omicidia.

M’avventa il terrore, a supplicare i Beati:

spieghino salda barriera su Tebe.

ETEOCLE

«La cinta sia stagna ai colpi di picca»: questo implorate. Non starà dalla parte dei numi, la cosa. Certo, gli dèi della città s’eclissano, dopo la rotta: è noto.

CORO

str. II

No, mai! Finch’io duro, non dilegui

questa folla santa di dèi! No, vedere

Tebe preda di gente sbandata, soldatesche

avvolte da vampe assassine!

ETEOCLE

Attenta. Chiama pure gli dèi: ma ragiona, non smarrirti. Docilità è madre di Buona Fortuna, e sposa di Riparo: è

proverbio.

CORO

ant. II

È così . Ma vigore di Dio è abisso più fondo.

Spesso affondi. Non hai scampo.

Pena brutale. Sugli occhi,

ti stagna la nube. Ma Egli ti erge.

ETEOCLE

Cose da uomini, immolare, scrutare gli dèi nel rischio di guerra. A te tocca immoto silenzio, nel cerchio domestico.

……….

CORRIERE

Il sesto ora vi narro. Campione di savio equilibrio, e fior di guerriero. Anfiarao profeta: una forza. È già in posizione: attacca le soglie Omoloidi. Intanto, bersaglia Tideo poderoso d’insulti pesanti: «Tu, assassino, guastatore della vita civile, artista geniale di mali per Argo, portavoce d’Erinni, braccio destro di Strage, strumento che ispira ad Adrasto i suoi mali di oggi!». Poi, rovesciando il nome di quel tuo fratello, Polinice, sì , il Millerisse, smembrando il nome lo chiama.

Sulle labbra, spiccano gravi parole: «Bravo, bel gesto! Benedetto da dio! Che onore, questa storia, tra le genti future, tu che strazi la terra dei vecchi, gli dèi del paese, con l’urto di forze raccolte da fuori! È qui la tua fonte nativa: e non c’è ritorsione, per cui sia giusto seccarla! Credi che se inchiodi la terra paterna ai colpi del ferro febbrile, sia lieta, poi, di schierarsi al tuo fianco? Io sono pronto. Concimerò questa zolla, profeta avvolto nel cavo di zolla nemica.

Battiamoci. Non sarà senza luce la fine. È fatale, lo sento». Questo predicava il veggente, e imbracciava quieto lo scudo, una massa di bronzo: sul disco non spiccava figura. Ha un proposito, infatti: non parere, ma essere il primo! Fa fruttare il solco intimo, dritto, del savio pensiero: vi germogliano probe scelte di vita. Perciò attento. Manda contro quest’uomo una ciurma di gente che vale, di braccio e di testa: è tremendo, chi ha religione.

ETEOCLE

Guai! Che fatalità fa incrociare la strada di un giusto coi peggiori sacrileghi! In ogni vicenda, nulla è peggiore di pessimi soci: meglio non coglierne i frutti. Maggese di Perdizione frutta morte. Capita: un uomo, un buono, sale a bordo in mezzo a una ciurma riarsa dalla febbre del male. È finita, rovina con loro, ceppo segnato da dio.

O un altro, un probo che viva in un paese incivile, scontroso, dove dio è sconosciuto: è fatale, finisce irretito nella stessa gabbia, in ginocchio, trafitto dall’equa, indifferente sferza divina.

Parlo anche per lui, per il figlio d’Oicleo, il veggente: equilibrato, probo, eroico, religioso. Un maestro, nel dire il futuro.

Eccolo – è violenza morale, per lui – invischiato in un gruppo di empi, di lingue arroganti, già avviati a una meta troppo lontana, che non ha ritorno: se è volere divino, franerà con loro, nello stesso sfacelo. Ho un’idea: non urterà neanche i battenti. Oh, non pensiate per poco coraggio, per fiacco slancio. Ma sa che è segnato, che questo scontro sarà la sua fine, se il presagio d’Apollo fiorisce. [E Apollo o tace, o parla giusto: l’ha nel sangue.]

Non importa. Schieriamogli contro un nobile eroe, Lastene, una forza: guardiano scontroso, incivile! Stagionato cervello, ma addosso una primavera di carne. Sguardo corridore. Nel pugno, il suo ferro non è pigro a colpire là dove scudo non copre. Dio, solo dio regala ai viventi il trionfo.

CORO

ant. III

Sentiteci, dèi! Maturate le sante

suppliche nostre. Tebe trionfi!

Sviate lo strazio tagliente

sui nostri aggressori al di là della cinta.

Zeus li saetti, li folgori a morte.

CORRIERE

Ecco il settimo, alla settima porta. Sono pronto a ridire – sì , è lui, tuo fratello – che casi maligni bestemmia, impreca su Tebe: prima calpesta le torri, si fa proclamare campione, riversa sui vinti il suo inno frenetico, poi t’incrocia, t’ammazza e ti crolla vicino. Se scampi, castiga in te il suo usurpatore: scambio d’identica pena, l’esilio randagio, fuggiasco. È il suo proclama.

Chiama per nome gli dèi familiari della terra nativa – che tengano fisso lo sguardo al suo supplicare – Polinice potente. Regge scudo di fresca fusione, un disco perfetto: sopra, placca ingegnosa, un duplice stemma. Ecco, uomo d’oro sbalzato, uomo di guerra, all’aspetto. Lo conduce un’effigie di donna: è composta, conosce la strada. Dice che è lei, proprio lei, la Giustizia. L’incisione l’afferma: «Sarò io a rimpatriare quest’uomo: riavrà una vita civile, girerà da padrone tra le mura native».

Tutte qui le malizie di quelli là fuori. Ora a te: sappi chi ti par bene schierare alle porte. Di me non potrai lamentarti, son certo, di come t’ho riferito. Ora a te. Pensa tu a guidare lo Stato al suo porto. Il Corriere esce.

ETEOCLE

O sangue indemoniato, carico d’odio divino, o universo di lacrime, o sangue mio che vieni da Edipo! Aaah, è il tempo: matura l’imprecazione del padre! No, no. Né singhiozzi, né chiasso. Non è dignitoso. Che non dilaghi poi il piagnisteo: non potrei sopportarlo. Per chi è specchio vero del nome – a Polinice, alludo – presto sapremo fin dove dà frutto il suo stemma, se saprà rimpatriarlo quella scritta d’oro fuso in mezzo alla piastra, sciocco profluvio d’un cervello sbandato.

Se Giustizia – figliola immacolata di Zeus – gli stesse vicina, mentre pensa o agisce, certo questo potrebbe accadere. Ma non è così . Da quando fu espulso dal buio cavo materno, poi nel tempo delle cure infantili, adolescente, e al primo addensarsi di peluria sul viso Giustizia mai gli ha rivolto uno sguardo, un segno di stima. Non gli farà da fedele scudiera in quest’ora, nello sfacelo del suolo paterno! Non credo, non posso. Sarebbe l’esatta smentita al suo nome, Giustizia, alleata a un essere che in corpo ha insolenza pura.

Tutto ciò mi dà forza serena. Vado allo scontro: sì , io solo. E chi avrebbe più giusto motivo? Da principe a principe, fratello a fratello, nemico contro nemico: l’affronterò immoto. Forza, cominciamo: qua i gambali, baluardi ai colpi di lama e di sasso.

CORO

No, mio principe, no, figlio di Edipo! Non ridurti, nel tuo slancio brutale, pari a quell’altro, che urla follie. Guerrieri Cadmei si battono contro gli Argivi. È sufficiente. Si lava, quel sangue. Ma nodo suicida di morte tra due dello stesso

sangue… non, non è chiazza che possa appassire.

ETEOCLE

Puoi subire una fine violenta, ma senza ignominia. E sta bene: è l’unico pregio che vale, tra i morti. Ma patire col male l’infamia non puoi dire sia fonte di gloria.

CORO

str. I

Che febbre la tua, povero figlio? Scatto cieco

dilagante, pazzo di sangue, non possa predarti!

Strappati il seme di sinistra passione.

ETEOCLE

Incalza i miei casi – bufera di colpi – un dio. Dunque, veleggi al gorgo infernale, sul filo del vento, tutto il ceppo di Laio. È Destino: ha addosso l’odio di Apollo.

CORO

ant. I

Azzanna nel vivo, t’aizza lo spasimo

d’immolare un essere umano: rito di sangue

sacrilego, che frutta tormento.

ETEOCLE

L’ostica Voce Imprecante… di mio padre – occhi riarsi, che non sanno il pianto -, mi attacca, mi spiega il vantaggio di una rapida fine, su una fine più tarda.

CORO

str. II

Tu almeno non farla più svelta. Non passerai

per abietto, se hai il bene di vivere.

Vendetta ammantata di buio lascia le mura,

se all’offerta devota sorridono, infine, gli dèi.

ETEOCLE

Dèi, dèi! Devi dirlo? Da un pezzo non contiamo più nulla, per loro. Un dono solo salutano in festa, da noi: ch’io perisca. Ha senso, vezzeggiare la mia funebre fatalità?

CORRIERE

ant. II

Ora, almeno: t’è tanto vicina! Ma se, lenta

Maledizione svia il suo corso, può toccarti

con più soave spirare. Oggi ribolle.

ETEOCLE

Ah, ferve, trabocca l’imprecazione di Edipo. Davvero sincere le fantasie degli incubi, nel sonno, quello spartirsi l’eredità del padre…

CORO

Esaudisci noi donne. Non importa, se t’è atto sgradito.

………
CORO

Fatalità disperata, che schianti col male.

Troneggi, o spettro d’Edipo!

Cupa vendetta, puoi tutto.

ANTIGONE

Ne hai passate, tu. Sei esperto.

ISMENE

Tu non fosti più tardo, a imparare.

ANTIGONE

Da quando ritornasti in Tebe…

ISMENE

… a speronarlo, a colpi di picca.

ANTIGONE

Storia di morte.

ISMENE

Visione di morte.

ANTIGONE

Aaah, strazio!

ISMENE

Aaah, sofferenze!

ANTIGONE

Per la famiglia.

ISMENE

Per la terra.

ANTIGONE

Per me, per me. Io sono la prima.

ISMENE

Anche per me.

ANTIGONE

Principe di sinistri mali,

ISMENE

Eteocle capo.

ANTIGONE

Tu meriti il pianto. Più di tutti.

ISMENE

Indemoniati da Cieco Errore.

ANTIGONE

In che spazio di terra potremo deporli?

ISMENE

Nel più sacro e prezioso.

ANTIGONE

Lutto che a fianco del padre riposa. Il corteo esce.

Entra un Banditore

BANDITORE

Io devo intimare gli editti e i pareri del Consiglio che regge lo Stato cadmeo. Ecco il bando: Eteocle, che amò la sua terra, calerà nella fossa con le esequie dovute ai più cari. S’oppose ai nemici e scelse la morte sul suolo nativo. Fu devoto alla religione dei vecchi. Senza macchia, cadde nel punto in cui morte è splendore agli uomini in fiore.

Così mi hanno ingiunto di dire, sul conto d’Eteocle. Suo fratello, questa carne morta di Polinice, sarà scagliato là fuori. Senza fossa, strazio di cagne.

Lo merita: sconvolgeva il paese di Cadmo, se un dio, bloccandolo, non gli inchiodava la picca. Anche caduto, conserva per sempre la chiazza del crimine contro i numi nativi: nel suo sacrilegio, sferrava l’armata raccolta da fuori, e tentava la presa di Tebe. Quindi la decisione è che stormi d’uccelli, a folate, siano fossa a quest’uomo. Sconti, nella degradazione, il giusto grado di pena. Non abbia il conforto d’un pugno di terra, funebre mucchio, né il rito dell’urlo, modulato, tagliente. Degradato, senza onoranze dei suoi. Così è il decreto del governo cadmeo.

ANTIGONE

Io ai potenti di Tebe rispondo: se pure nessuno è disposto, con me, a scavargli una fossa, io lo farò sfiderò questo rischio d’inumare il fratello. Non ho pudore di rompere il patto, rivoltarmi allo Stato. Nodo enorme la vita dallo stesso ventre, da madre afflitta, da padre sinistro. Oh, mio cuore, osa: spartisci la rovina con lui che non ha più volontà.

Da viva a morto, con fraterno sentire. Non sfamerà mai la sua carne gole abissali di lupi. Non fateci conto. Tumulo, funebre fossa per lui: scoverò io, come fare. Sono donna, che importa? Userò il lembo del peplo di velo.

Sono sola, ma l’avvolgerò. Nessuno s’aspetti smentite. L’ardire avrà dalla sua espediente efficace.

BANDITORE

T’avverto. Non tentare assalti allo Stato.

ANTIGONE

T’avverto. Non impormi bandi superflui.

BANDITORE

Bada. È rude uno Stato sfuggito a sfacelo.

ANTIGONE

Rude, rude, ripetilo. Ma lui non sta più senza fossa.

BANDITORE

Uno che incarna l’odio di tutti, tu lo fregi di tomba?

ANTIGONE

Il suo caso non è ancora deciso dal giudizio divino.

BANDITORE

Non lo era, sinché precipitò nel rischio il paese.

ANTIGONE

Patì offesa, con offesa rispose.

BANDITORE

Fu per tutti il colpo che spettava a uno solo.

ANTIGONE

BANDITORE

Ultima dea, la Rissa, tronca i diverbi.

ANTIGONE

Farò la fossa a quest’uomo. Tu sii breve.

BANDITORE

Come vuoi. Io devo dirti «non farlo».

CORRIERE

Aaah, aaah

Imperiose, cancro del sangue

Vendette Funeree, il tronco d’Edipo

abbatteste dal ceppo.

Che devo patire? Che decido? Che scelgo?

Come oserò di negarti la nenia,

di non farti corteo alla tomba?

Ma ho panico, dentro. Mi torce

il terrore dello Stato tebano.

A te almeno, toccheranno

lugubri singhiozzi. Ma lui, disperato, in silenzio

col gemito solo d’una sorella

dovrà avviarsi. Chi si piegherà al comando?

SEMICORO

Lo Stato può agire o non agire

contro chi geme Polinice morto.

Noi ci muoviamo. Saremo, lì , alla fossa.

Faremo ala alla salma.

Questo lutto ci avvolge tutti, qui a Tebe.

Solo, lo Stato impone varia giustizia

a seconda dei casi.

SEMICORO

Noi no. Noi siamo con lui. Come lo Stato

e come il diritto comanda.

Sì – dopo i Celesti, e il trono di Zeus –

quest’uomo strappò dall’abisso

il paese di Tebe: l’avrebbe inondato

marea forestiera d’armati.

Senza riparo.

Eschilo I sette contro Tebe






Antigone di Sofocle di Brecht e di Judith Malina

http://www.controappuntoblog.org/2015/06/16/antigone-di-sofocle-di-brecht-e-di-judith-malina/

Riscritture di Antigone. Variazioni sul mito in Anouilh e Brecht

STRAUB – HUILLET: ANTIGONE | controappuntoblog.org

Schubert : Antigone und Oedip | controappuntoblog.org

Hybris – Edipo, El hijo de la fortuna.1967. Pier Paolo Pasolini …

Todo es santo. | controappuntoblog.org

Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.