Eugenio Montale : VECCHI VERSI, IL BALCONE, Il carnevale di Gerti ; Occasioni e non solo

VECCHI VERSI

Ricordo la farfalla ch’era entrata

dai vetri schiusi nella sera fumida

su la costa raccolta, dilavata

dal trascorrere iroso delle spume.

Muoveva tutta l’aria del crepuscolo a un fioco

occiduo palpebrare della tracci

che divide acqua e terra; ed il punto atono

del faro che baluginava sulla

roccia del Tino, cerula, tre volte

si dilatò e si spense in un altro oro.

Mia madre stava accanto a me seduta

presso il tavolo ingombro dalle carte

da giuoco alzate a due per volta come

attendamenti nani pei soldati

dei nipoti sbandati già dal sonno

IL BALCONE

Pareva facile giuoco

mutare in nulla lo spazio

che m’era aperto, in un tedio

malcerto il certo tuo fuoco.

Ora a quel vuoto ho congiunto

ogni mio tardo motivo,

sull’arduo nulla si spunta

l’ansia di attenderti vivo.

La vita che dà barlumi

è quella che sola tu scorgi.

A lei ti sporgi da questa

finestra che non s’illumina.

da Le Occasioni  Eugenio Montale

Il carnevale di Gerti

Se la ruota s’impiglia nel groviglio

delle stelle filanti ed il cavallo

s’impenna tra la calca, se ti nevica

fra i capelli e le mani un lungo brivido

d’iridi trascorrenti o alzano i bambini

le flebili ocarine che salutano

il tuo viaggio e i lievi echi si sfaldano

giù dal ponte sul fiume

se si sfolla la strada e ti conduce

in un mondo soffiato entro una tremula

bolla d’aria e di luce dove il sole

saluta la tua grazia – hai ritrovato

forse la strada che tentò un istante

il piombo fuso a mezzanotte quando

finì l’anno tranquillo senza spari.

Ed ora vuoi sostare dove un filtro

fa spogli i suoni

e ne deriva i sorridenti ed acri

fumi che ti compongono il domani;

ora chiedi il paese dove gli onagri

mordano quadri di zucchero dalle tue mani

e i tozzi alberi spuntino germogli

miracolosi al becco dei pavoni.

(Oh , il tuo carnevale sarà più triste

stanotte anche del mio , chiusa fra i doni

tu per gli assenti: carri dalle tinte

di rosolio, fantocci ed archibugi,

palle di gomma, arnesi da cucina

lillipuziani: l’urna li segnava

a ognuno dei lontani amici l’ora

che il gennaio si schiuse e nel silenzio

si compì il sortilegio. E’ carnevale

o il dicembre s’indugia ancora? Penso

che se muovi la lancetta al piccolo

orologio che rechi al polso , tutto

arretrerà dentro un disfatto prisma

babelico di forme e di colori…)

E il natale verrà e il giorno dell’anno

che sfolla le caserme e ti riporta

gli amici spersi e questo carnevale

pur esso tornerà che ora ci sfugge

tra i muri che si fendono già. Chiedi

tu di fermare il tempo sul paese

che attorno si dilata? Le grandi ali

screziate ti sfiorano, le logge

sospingono all’aperto esili bambole

bionde, vive, le pale dei mulini

rotano fisse sulle pozze garrule.

Chiedi di trattenere le campane

d’argento sopra il borgo e il suono rauco

delle colombe? Chiedi tu i mattini

trepidi delle tue prode lontane?

Come tutto si fa strano e difficile

come tutto è impossibile, tu dici.

La tua vita è quaggiù dove rimbombano

le ruote dei carriaggi senza posa

e nulla torna se non forse

in questi disguidi del possibile.

Ritorna là fra i morti balocchi

ove è negato pur morire; e col tempo che ti batte

al polso e all’esistenza ti ridona,

tra le mura pesanti che non s’aprono

al gorgo degli umani affaticato,

torna alla via dove con te intristisco

quella che mi additò un piombo raggelato

alle mie, alle tue sere:

torna alle primavere che non fioriscono.

da Le Occasioni  Eugenio Montale

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