Anton Čechov Zio Vania – Rimas Tuminas ДЯДЯ ВАНЯ

monologo di Sonja con cui si chiude l’opera:

«Che fare? Bisogna vivere!
«Zio Vanja, vivremo. Vivremo una lunga, lunga fila di giorni, di lente serate: sopporteremo pazientemente le prove che il destino ci manderà; lavoreremo per gli altri, e adesso e nella vecchiaia, senza riposo, e quando arriverà anche per noi la nostra ora, moriremo umilmente, e di là, oltre la tomba, diremo che abbiamo sofferto, che abbiamo pianto, che la sorte è stata amara per noi, e Dio avrà pietà di noi, e io e te, zio, caro zio, vedremo una vita luminosa, bella, incantevole, conosceremo la gioia, e guarderemo alle nostre disgrazie di oggi con tenerezza, con un sorriso… e riposeremo! Io credo, zio, credo, con tutte le mie forze, con tutta l’anima, credo… E riposeremo!
«Riposeremo. Sentiremo gli angeli, vedremo il cielo che sfolgorerà di diamanti, vedremo tutto il male della terra e tutte le nostre sofferenze annegare nella misericordia che inonderà il mondo… e la nostra vita diventerà serena, tenera, dolce come una carezza… Io credo; io credo… Povero, povero zio Vanja, tu piangi… Tu non hai conosciuto la gioia, nella tua vita, ma aspetta, zio Vanja, aspetta… Riposeremo… riposeremo… Riposeremo!»

Zio Vania

Titolo originale

Дядя Ваня – Djadja

Autore:

Anton Čechov Genere: Teatro

Editore: BUR Rizzoli 2006

Articolo di: Maria Ferragatta

In una tenuta di campagna c’è una tavola apparecchiata per il tè sotto a un vecchio pioppo. Poco più in là dondola un’altalena. L’atmosfera serena e placida non rispecchia il tumulto disordinato dei cuori. I ritmi quotidiani laboriosamente monotoni che Ivan Petrovič Vojnickij, lo zio Vanja del titolo, e sua nipote Sonja conducono in quella residenza di proprietà del professor Serebrijakov sono turbati dall’arrivo dell’illustre accademico e della sua bellissima seconda moglie Elena. Serebrijakov, che aveva sposato in prime nozze la sorella di Vojnickij ed è il padre di Sonja, tedia tutti con le sue pretese e i suoi acciacchi di vecchio uggioso, podagroso e reumatico. Non meno scompiglio porta Elena, di cui sono innamorati sia zio Vanja che il dottor Astrov, chiamato per occuparsi dei malanni del professore. Ma Elena, pigra, indolente e splendente di giovinezza, non ricambia Vojnickij ed è attratta da Astrov, benché non voglia cedergli per non mettere in pericolo un matrimonio che le dà agi e sicurezza. Per Astrov, invece, spasima Sonja, tanto buona, paziente e operosa, ma tanto bruttina. Mentre prosegue la quadriglia dei sentimenti non corrisposti e l’aria si fa più pesante, arriva uno scoppio che fa vacillare i già precari equilibri. Ma è solo un temporale estivo, che si addensa all’improvviso e con rapida violenza si dissolve. Poi tutto torna alla calma triste e rassegnata di sempre…
Sembra che non succeda nulla, nei quattro atti di Zio Vanja (in questa edizione italianizzato in Zio Vania). Nulla, cioé, di quanto accade di solito nella letteratura del XIX secolo: niente gesti eclatanti, niente frasi memorabili, niente coup de théâtre. Si vive, semplicemente (o ci avvicina alla morte giorno dopo giorno), e nel vivere si soffre, in un grigiore permanente e alienante. “Il pubblico vuole che ci siano l’eroe, l’eroina, grandi effetti scenici”, sottolinea Anton Čechov a proposito del suo teatro. “Ma nella vita ben raramente ci si spara, ci si impicca, si fanno dichiarazioni d’amore. E ben raramente si dicono cose intelligenti. Per lo più si mangia, si beve, si bighellona, si dicono sciocchezze. Ecco che cosa bisogna far vedere in scena”. Ed è appunto quanto si vede in questa malinconica tragedia delle occasioni mancate, delle aspirazioni deluse: un gruppetto di persone accomunate da legami di parentela o dal semplice caso, che parlano molto e fanno molto poco per sfuggire a una condizione di cui sono insoddisfatte. Persone ingabbiate nell’inanità, che a forza di pensare hanno finito per rinunciare ad agire, come Astrov, o che tentano di reagire, ma falliscono mettendosi in ridicolo, come zio Vanja. Non c’è solo un’estetica minimalista dietro questo lavoro di Čechov. C’è, come lui stesso precisa a proposito dei suoi drammi, una sorta di intento pedagogico. “Volevo solo dire alla gente in tutta onestà: guardate, guardate come vivete male, in che maniera noiosa”. Zio Vanja è uno specchio in cui possiamo vedere riflessa la nostra incapacità (o non volontà) di essere felici. Può essere una visione sgradevole, perché è duro fissare negli occhi la propria anima. Ma gli specchi hanno un lato salutare: se quello che appare non ci piace, possiamo almento tentare di cambiarlo. In fondo è a questo che Čechov ci invita: capire quanto sia meschina l’esistenza borghese, così priva di slanci e di entusiasmi, così mediocre e vuota, per inventarsene una diversa. E uscire dalla gabbia che ci siamo fabbricati per diventare uomini migliori.

http://www.mangialibri.com/libri/zio-vania



Oltre ogni dubbio, il lituano Rimas Tuminas – regista dell’allestimento di «Zio Vanja» che il Vachtàngov Theatre di Mosca ha presentato al Mercadante in chiusura della settima edizione del Napoli Teatro Festival Italia – si pone come bersagli i ruoli, immutabili e perennemente inutili, che – lo ripeto ancora una volta – per i personaggi di Cechov prendono il posto della vita vera. E quei ruoli Tuminas li scardina in due modi complementari: o li esaspera o, puramente e semplicemente, li cancella.
Propongo un esempio dell’uno e dell’altro modo: Vanja, condannato al ruolo di onesto amministratore della tenuta di Serebrjakov, la fiala di morfina, che nel testo originale si limita a rubare ad Astrov, qui dal dottore se la fa iniettare; ed Elena, che dovrebbe stare in alto, sul piedistallo della bellezza, dinanzi ai suoi ammiratori si siede sul pavimento, e addirittura vi si sdraia a dormicchiare.
Ma molte altre sono al riguardo le invenzioni, tanto eclatanti quanto significative, disseminate in questo spettacolo ad un tempo intelligente e divertente: vedi, sempre a titolo d’esempio, quella balia di campagna agghindata e truccata come una nobildonna pretenziosa, quell’Astrov che somiglia a Indiana Jones, quel parassita Teleghin che diventa un sosia di Charlot con annessi bombetta e bastoncino e, infine, il gruppo capeggiato dallo scienziato trombone, appunto Serebrjakov, che compare avanzando dal fondo come i «sei personaggi» di Pirandello.
Il tutto, poi, assume le forme e i ritmi di quel vaudeville i cui stilemi, del resto, Cechov ha immesso nel testo a piene mani. Ma si tratta di un vaudeville affogato nella nevrosi: come dimostrano in maniera esaustiva i contorcimenti da vero e proprio spastico che prendono Astrov mentre sta illustrando la sua utopia sul salvataggio delle foreste.
Insomma, siamo di fronte a un melodramma che continuamente si volge in farsa: immaginate, poniamo, un accoppiarsi di Illica e Giacosa con Scarpetta invece che con Puccini. E bravissimi, inutile dirlo, risultano gl’interpreti, fra i quali bisognerà citare almeno i protagonisti Sergej Makoveckij (Zio Vanja), Anna Dubrovskaja (Elena), Marija Berdinskich (Sonja), Vladimir Vdovicenkov (Astrov) e Vladimir Simonov (Serebrjakov).
Al termine, applausi lunghissimi, misti a un coro fremente di «bravi, bravi». E insomma, per il Napoli Teatro Festival Italia non si poteva immaginare una conclusione migliore. Ma, al di là dell’accoglienza da parte del pubblico, lo spettacolo di Tuminas resterà nella memoria per la straordinaria sequenza finale.
Dopo il disperato «Io credo, credo…», Sonja tenta di dare una consistenza fisica purchessia a quel suo evanescente respiro dell’anima; e si dà ad insegnare a Vanja le pose più giuste per il valzer che lo invita a ballare. Ma niente, quel valzer non si può ballare. Perché è il valzer della vita ch’è passata senza che lei, al pari del cameriere Firs de «Il Giardino dei ciliegi», l’abbia vissuta. Sonia si stenderà sul tavolo ingombro di libri mastri e fatture con le braccia spalancate come Cristo in croce. E Vanja, camminando a ritroso con i passettini saltellanti di un pupazzo meccanico, sarà a poco a poco risucchiato dal buio.

Enrico Fiorehttp://www.controscena.net/enricofiore/?p=1115

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DALLE MEMORIE DI UN UOMO IRASCIBILE

http://www.controappuntoblog.org/2013/05/02/dalle-memorie-di-un-uomo-irascibile/

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