Cannes 2017 : Radiance (Hikari / Vers la Lumiere) di Naomi Kawase

Cannes 2017 – Hikari (Radiance): recensione del film di Naomi Kawase

Un’opera poetica e malinconica, che mette in risalto la funzione fondamentale della memoria nel percorso di vita. Sullo sfondo di una storia d’amore che è contemporaneamente un commovente omaggio al Cinema.

Di Virginia Campione

Naomi Kawase (Le ricette della Signora Toku) illumina il concorso di Cannes 2017 con il suo poetico Hikari (Radiance), ritraendo una storia d’amore delicata e sensoriale, tra due persone che impareranno l’uno dall’altra ad addentrarsi nei reciproci mondi senza invaderli. Protagonista del film è  Misako (la splendida Ayame Misaki), scrittrice delle versioni audio per non vedenti della opere cinematografiche, convinta che raccontare ciò che non può essere visto implichi la necessità di suggerirne significati e messaggi, al fine di aiutare chi non possiede il beneficio della vista a cogliere ogni sfumatura delle pellicole.

Quando ad una proiezione di prova, per testare il suo lavoro incontra Nakamori (Masatoshi Nagase), un celebre fotografo più grande di lei  che sta gradualmente perdendo la vista, la ragazza dovrà fare un passo indietro, imparando a raccontare senza suggerire e lasciando che chi non vede possa essere libero di usare la propria immaginazione per calarsi nelle altre vite che il Cinema permette di vivere.

Hikari (Radiance): prezioso e sottile omaggio al Cinema e al valore della memoria

Hikari (Radiance), parte dal delicato tema della perdita di uno strumento indispensabile ad affrontare e conoscere il mondo – la vista – per allargare i propri orizzonti al tema molto più ampio del valore dell’arte cinematografica, fatta di suggestioni che vanno oltre le immagini che scorrono davanti agli occhi dello spettatore. Il Cinema è portatore di speranza, grazie alla sua capacità di trasportare – come la fotografia di Nakamori – in mondi distanti, permettendoci un altrimenti impossibile confronto con realtà lontane in grado di spalancare orizzonti ed aspettative.

Allo stesso modo la giovane Misako aiuterà Nakamori a non arrendersi alla disperazione per la perdita della vista, parte della sua stessa identità, aiutandolo affinché non smetta di permettere alla luce di filtrare nella sua vita e nel suo cuore.

L’arte della fotografia, solo apparentemente statica, viene accostata nel film alla caccia, perché entrambe attività dominate dal tempo. Ed il tempo è a sua volta legato alla memoria, l’unica vera arma per ingannare il fallimento dei propri sensi, ricordando per sempre ciò che non si può vedere.

Perché se è vero che ogni cosa assume più valore quando non c’è più, come si ribadisce più volte nel film sul quale Misako deve lavorare, il film di Naomi Kawase ci insegna che gli occhi non sono certo l’unico strumento per vedere e per amare.

Le musiche di Hikari (Radiance) sottolineano l’evoluzione dei protagonisti, incastonandoli in una storia fatta di dolore e affinità elettive, mostrando come il mondo possa mutare forma a seconda del modo in cui viene approcciato. Un mondo che la pellicola mostra spesso al momento del tramonto, quell’ora in cui tutto diventa malinconico, simboleggiando come la fine di qualcosa possa mostrare i suoi colori più vividi, purché si riesca a decifrarli.

Come Nakamori imparerà gradualmente a “vedere” ancora, allo stesso modo Misako imparerà a “vedere” di meno, riuscendo ad attribuire un nuovo volto al proprio passato e alla propria vita, ripercorrendo i luoghi della propria infanzia ad occhi chiusi e rievocandone le sensazioni necessarie ad interpretarli. Emozioni che la vista non rivela – anzi- spesso oscura.

Hikari (Radiance) si rivela una della opere migliori di questa prima settimana di Cannes 2017; una pellicola sicuramente meritevole di un premio, per il suo perfetto equilibrio tra racconto e messaggio. Un film che entra nel cuore dello spettatore in punta di piedi, irrorandolo di una luce inedita e magica.

https://www.cinematographe.it/festival/hikari-radiance-recensione-naomi-kawase/


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