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E ADESSO, POVER’UOMO? – HANS FALLADA

Pubblicato il 4 dicembre 2008 di

Hans FALLADA, E adesso, pover’uomo? (tit. orig. Kleiner Mann, was nun?), a cura di Mario Rubino. Con testi di Ralph Dahrendorf e di Beniamino Placido, p.588, Sellerio, collana La Memoria, ISBN 9788838923388

La Sellerio ha mandato in libreria, proprio in questi giorni, la prima traduzione integrale italiana di un romanzo tedesco importante.

Che si tratti di un romanzo importante spero possa risultar chiaro, a chi ancora non l’avesse già chiaro di suo, da quel che segue.

E adesso, pover’uomo? di Hans Fallada è stato, un tempo, libro di grandissimo successo. Trasposto anche su grande e piccolo schermo, è stato poi ingiustamente un po’ dimenticato ed ultimamente non era facile reperirlo nemmeno nella vecchia e ridotta edizione Mondadori.

Si tratta dunque, questa di Sellerio, di operazione editoriale degna di nota perchè oltre tutto il romanzo di Fallada, letto oggi, si rivela — considerando tutto quello che sta succedendo a livello nazionale ed internazionale — di una inquietante attualità.

Hans Fallada (1893-1947) si chiamava in realtà Rudolf Ditzen, ma quando decise di fare lo scrittore si scelse uno pseudonimo, e lo fece mettendo insieme i nomi di due personaggi tratti dalle fiabe dei fratelli Grimm.

Hans Fallada

Fallada è una delle figure di quel neorealismo tedesco (la Neue Sachlihkeit) del Novecento di cui fanno parte anche due importanti autori come Alfred Döblin (Berlin Alexanderplatz) ed Heinrich Mann (L’angelo azzurro).

Dopo aver esercitato i mestieri più disparati — guardiano notturno, mercante di cereali, agente pubblicitario — Fallada si lancia nel 1929 nel giornalismo. Si dedica poi esclusivamente alla narrativa scrivendo opere con cui disegna un quadro molto fedele della società tedesca della sua epoca.

Questo Kleiner Mann, was nun? (del 1932) è il suo secondo romanzo. Acuminato profilo della società tedesca fra le due guerre, gli garantisce una grande notorietà anche al di fuori dei confini tedeschi.

Il romanzo, scritto in quattro mesi — dall’ottobre del 1931 al febbraio del 1932 — viene dapprima pubblicato a puntate sul feuilleton di un quotidiano berlinese e poi pubblicato in volume in coincidenza dell’uscita dell’ultima puntata. Ottiene immediatamente un successo straordinario in Germania ma non solo. Viene subito tradotto e pubblicato da almeno altre dieci case editrici straniere. In Italia il libro è pubblicato nel 1933 da Mondadori con il titolo E adesso, pover’uomo?.

La vicenda narrativa di E adesso, pover’uomo? si svolge nell’arco temporale di circa due anni (primavera 1930 – inverno 1932) e dunque per i lettori del quotidiano il testo di Fallada costituiva effettivamente una descrizione “in presa diretta” della realtà tedesca. Una realtà contrassegnata dal vertiginoso aumento del numero dei disoccupati, che erano passati dai tre milioni del 1930 ai sei milioni del 1932.

Le date, a proposito di questo libro, sono importanti. Ricordiamoci infatti che in Germania il 27 febbraio 1933 viene incendiato il Reichstadt e che il 23 marzo 1933 Hitler ottiene i pieni poteri.

Il libro narra le vicissitudini di un giovane contabile tedesco, Johannes Pinnenberg, rappresentante della piccola  borghesia onesta e laboriosa, che si ritrova avvinto nelle spirali della miseria a causa della grave crisi economica in cui versa il suo paese durante gli anni Venti e Trenta.

Il titolo è importante, perchè quello originale tedesco è Kleiner Mann e cioè letteralmente “piccolo uomo”, “uomo qualunque”, “uomo della strada”.

Come sottolinea Dahrendorf, il protagonista del romanzo è un tipico esponente del concetto tedesco del das Volk, il popolo tedesco. Un concetto interclassista che non a caso il nazismo includerà nel motto “Ein Volk, ein Reich, ein Führer”

Un accenno alla trama.

Johannes Pinnenberg ed Emma Mörschel (Lämmchen, che in tedesco vuol dire “agnellino” è il vezzeggiativo con la quale viene chiamata) sono due ventenni che scoprono di aspettare un bambino. Molto innamorati, ottimisti, pieni di speranza, fiduciosi nelle loro capacità, decidono di sposarsi senza coinvolgere i rispettivi genitori, e vanno a vivere a Ducherow, dove Pinnenberg lavora come contabile. Il padrone della ditta, che aveva sperato di far sposare Pinnenberg con la propria figlia Maria lo licenzia però in tronco non appena scopre il matrimonio del giovane.

I due giovani non hanno altra scelta che quella di trasferirsi a Berlino, a casa della madre di lui, una donna avida e dal mestiere a dir poco ambiguo (tenutaria di bordello?).

Grazie all’aiuto dell’amante di lei Hans riesce comunque a trovare un impiego come commesso in un grande magazzino di abbigliamento. La paga è misera.

Berlino, 1930
Berlino, 1930. Un negozio di abbigliamento

La competitività tra i commessi è spietata. La direzione dell’azienda ha infatti stabilito “quote” di vendita individuale che i commessi devono rispettare, pena il licenziamento. Si tratta della strategia aziendale che viene chiamata “obiettivi dei risultati”.

I mesi in attesa della nascita del bambino trascorrono tra mille difficoltà economiche. La minaccia di un licenziamento dovuto alle continue riduzioni di personale ed alla crisi economica che travolge la Germania è sempre presente.

Molto belle le pagine in cui Hans e Lämmchen passano ore ad arrovellarsi facendo conti interminabili per cercare di far quadrare i conti con il magro stipendio di Pinnenberg e poter arrivare in qualche modo alla fine del mese.

La consapevolezza della precarietà, l’incubo della disoccupazione non abbandona un istante la coppia, che adesso si trova anche con un bambino piccolo da nutrire ed allevare.

“Oh perchè, pensa Lämmchen, non abbiamo un pochettino di soldi in più! Da non dover sempre stare in ansia a contare il centesimo! Sarebbe tutto così semplice, tutta la vita sembrerebbe diversa…”

Si tira avanti. Finchè un brutto giorno, bruscamente, Pinnenberg viene licenziato in tronco, senza preavviso. Da quel momento la giovane coppia può contare solo su un misero sussidio di disoccupazione.

Ha inizio una lunga via crucis fatta di umiliazioni e di lotte in una Berlino sempre più ostile e nella quale i nazisti diventano sempre più numerosi e violenti.

Pabst
Dal film L’opera da tre soldi di Georg Wilhelm Pabst, Germania, 1931

E’ l’inizio insomma di una implacabile discesa nei gradini della scala sociale.

Mentre Lämmschen si arrabatta per portar qualche soldo a casa — adesso la famigliola si è ridotta ad abitare in una baracca a quaranta chilometri da Berlino — cavandosi gli occhi anche per dieci ore al giorno a rammendare e far piccoli lavori di cucito nelle case delle ricche signore berlinesi (perchè di ricchi, a Berlino, ce ne sono ancora, eh) Pinnenberg si rende conto, ad un certo momento, di non esser più un “colletto bianco”, ma di far parte di quella massa di sottoproletariato di cui in ogni momento è possibile calpestare impunemente la dignità.

“Con lui ognuno fa quel che vuole”.

“E adesso, pover’uomo?”. Come risponde a questa domanda il “piccolo uomo” Pinnenberg, l’apolitico Pinnenberg, che non ha mai saputo decidersi a stare esplicitamente nè dalla parte dei nazisti nè da quella dei comunisti, come risponde Pinnenberg il quale “no, lui non è un eroe, in nessun verso”?

Pinnenberg risponde con la fuga-rifugio nel privato.

“… che altro si può fare in una città che non vi riguarda, se non starsene a casa propria, con i propri affanni? Negozi in cui non si può comprare niente, cinema in cui non si può entrare, caffè per chi può pagare, musei per chi è vestito decentemente, alloggi per gli altri, istituzioni buone solo ad angariarvi — no, Pinnenberg preferisce restarsene a casa sua.”

Il tema del romanzo è molto duro, ma questa cronaca della vita quotidiana di un piccolo impiegato nella Germania al termine della Repubblica di Weimar che si deve confrontare con la disoccupazione e l’inesorabile degrado delle sue condizioni di vita è addolcita dall’amore che unisce la coppia e dal personaggio femminile di Emma (Lämmchen), la più forte e coraggiosa dei due. Lei non si dà mai per vinta ed è lei che, nonostante le prove che devono affrontare, non smette mai di sostenere il marito.

“Pinnenberg non è un duro, Pinnenberg è di pasta molle; se lo mettono sotto pressione, perde la sua forma, si disfa, diventa un niente, poltiglia”

Si, forse in alcuni momenti quest’amore appare troppo idealizzato, ma serve a fare da contraltare alle durissime condizioni del “fuori”, del contesto.

“Oh, Lämmchen, dice Pinnenberg, stringendola forte ” Oh, Lämmchen, mormora, C’è di che aver paura. E noi siamo così soli.

E Lämmchen annuisce lentamente con la testa e gli dice sottovoce: “Ma noi siamo insieme, noi due”.

Fallada descrive con realismo e precisione una coppia giovane, onesta, lavoratrice e perbene in caduta libera verso la povertà. A poco a poco, Hans ed Emma Pinnenberg si ritrovano ad aver sempre meno fiducia e speranze nei confronti di questa Germania degli anni ’30. La crisi economica li travolge nella sua spirale infernale senza più lasciar loro se non il loro amore reciproco.

Il romanzo descrive narrativamente il fenomeno della proletarizzazione dei ceti medi, descrive quel mondo degli impiegati analizzato con altri strumenti (quelli della saggistica) da Siegfried Krakauer che per primo, nel suo libro intitolato Gli impiegati pubblicato a Francoforte nel 1930 adopera il termine, poi divenuto celebre, di “colletti bianchi”.

Passando in mezzo agli operai disoccupati che oziano in un giardino pubblico, Pinnenberg pensa: “Solo questi sono i miei simili, questi qui. E’ vero che mi danno del bellimbusto e mi chiamano colletto duro, ma è roba passeggera. Lo so meglio di chiunque altro, quanto contino queste cose. Oggi, soltanto oggi, ho ancora una paga, ma domani, oh, domani mi toccherà il sussidio”

I lettori del feuilleton berlinese che leggevano avidamente le puntate di Kleiner Mann, was nun? si ritrovavano profondamente coinvolti e identificati in una narrazione che metteva insieme una commovente storia d’amore e un cupo dramma sul “fantasma della povertà”.

Non a caso Beniamino Placido conclude un suo articolo del 1977 su La Repubblica dedicato al romanzo di Fallada intitolato “Una coppia di agnellini o due nazisti?” scrivendo:

“Non ce la faranno ad arrivare alla fine del mese. E’ molto brutto dover fare i conti di casa entro limiti così soffocanti. Brutto e foriero di brutti pensieri. Quindi i nervosismi. Forse i nazismi”.

Dicevo, all’inizio, che il romanzo di Fallada mi sembra di un’attualità addirittura inquietante.

Da parte sua Mario Rubino, il curatore di questo volume Sellerio, conclude la sua postfazione ricordando un brano della presentazione del romanzo nella seconda di copertina dell’edizione del 1933 in cui c’era scritto:

“In un mondo nel quale si possono contare circa venti milioni di disoccupati e in un paese dove la gioventù che esce dalle scuole si vede sbarrata ogni via e ogni occupazione proficua, la storia di un disoccupato diventa quasi simbolica e ci interessa di per sé”.

Nel 1934 dal romanzo di Fallada venne tratto il film Little Man, What Now?. Il film, per la regia di Frank Borzage e con Margaret Sullavan e Douglas Montgomery attori protagonisti ebbe molto successo. (La scheda su imdb >>)

Frank Borzage
Margaret Sullavan (Lämmchen) e Douglas Montgomery (Hans Pinnenberg)

Margaret Sullavan

Margaret Sullavan ((Lämmchen)

In Italia, nel 1960, del romanzo venne realizzata per la Rai una versione dal titolo Tutto da rifare pover’uomo. La regia era di Eros Macchi, gli interpreti protagonisti Ferruccio De Ceresa e Carla Del Poggio. Nel cast, anche Laura Betti, Lando Buzzanca, Renzo Palmer, Paolo Poli (

https://nonsoloproust.wordpress.com/2008/12/04/e-adesso-poveruomo-hans-fallada/

E adesso, pover’uomo?

di Hans Fallada (Autore), M. Rubino (a cura di): leggi estratto

https://www.amazon.it/adesso-poveruomo-Hans-Fallada/dp/8838923388#reader_B008S20K8E

……..

Per avere un’idea della umiliante perdita dello status sociale, che getterà il povero Pinneberg nel più terribile disprezzo di sé, al cospetto di un mondo che non gli appartiene più e che lo schiaccia nella marginalità degli invisibili, si legga il seguente passo, quando ormai stanco, depresso, umiliato, il protagonista viene addirittura inseguito e picchiato da un poliziotto per essersi avvicinato troppo alla vetrina di un negozio:

“Pinneberg vorrebbe dire qualcosa, Pinneberg guarda il poliziotto, gli tremano le labbra, Pinneberg guarda la gente. C’è gente fin sotto la vetrina, gente ben vestita, gente perbene, che guadagna. Ma nel riflesso della vetrina c’è un’altra persona ancora, una pallida larva, senza colletto, con un ulster consunto e i pantaloni sporchi di catrame. E ad un tratto Pinneberg capisce tutto, al cospetto di questo poliziotto, di questa gente perbene, di questa vetrina luccicante lui capisce che è tagliato fuori, che non appartiene più a quel tipo di mondo, che lo si caccia via a ragione: è scivolato giù, è finito a fondo, è spacciato2.”

Ciò che colpisce del “piccolo uomo” (kleiner Mann, nell’originale) di fronte alla trasformazione di una società sempre più disgregata e priva di collante umano e affettivo, è il senso di assoluta precarietà dell’esistenza, in un periodo in cui inflazione e bassi salari avevano portato milioni di lavoratori tedeschi alla rovina e alla perdita di dignità. Il suo è uno sguardo che non ammette repliche:

“Ci sono masse di persone, vestite di grigio, pallide in volto, disoccupati che aspettano, non sanno più nemmeno loro cosa, chi è infatti che s’aspetta un lavoro…? Se ne stanno lì attorno, senza un proposito, anche a casa si trovano male, perché non starsene lì attorno? Non ha alcun senso andarsene a casa, in quella casa in cui si torna comunque, e fin troppo in anticipo”3.”

Anche quando trova un nuovo impiego ai Grandi Magazzini Mandel, Pinneberg percepisce che la sua condizione non si discosta molto da quei poveri infelici:

“Ma Pinneberg sente in qualche modo che in seguito a questo tipo di transizione, e benché lui sia ridiventato uno che guadagna, è molto più prossimo a questi non salariati che a quelli che hanno lauti introiti. E’ uno di loro, può succedere da un giorno all’altro che si ritrovi qui come loro, non può farci niente. Non c’è niente che lo protegga da una simile eventualità4.”

Di fronte a tale consapevolezza di inferiorità sociale e di ineluttabile destino che sta colpendo masse inermi di lavoratori, Pinneberg non può che rivolgere un giudizio negativo, senza appello verso la classe politica e i banchieri:

“Oh, sì, lui è uno fra milioni di altri, i ministri gli rivolgono i loro discorsi, lo esortano a sopportare le privazioni, a fare dei sacrifici, a sentirsi un tedesco, a portare i suoi soldi alla cassa di risparmio e a votare per il partito che è al governo. Lui lo fa o non lo fa, a seconda dei casi, ma non crede a quel che dicono. Neanche a una parola. Ne è profondamente convinto, loro vogliono tutti quanti qualcosa da me, per me però non vogliono far nulla. Se crepo o meno, per loro è la stessa cosa, del fatto che possa andare al cinema o meno, se ne infischiano altamente, e se Lämmchen adesso può nutrirsi come si deve oppure se si agita troppo, se al bambino tocca di essere felice o disgraziato – a chi gliene importa?5″

Pinneberg sarà costretto ad andare a vivere con la sua famiglia in una baracca, in un complesso periferico di tremila orti familiari concessi ai più poveri ed è consapevole che quelli che sono rimasti a vivere in quel posto sono solo i più poveri tra i poveri, i più duri e ardimentosi che scelgono di schierarsi con quelle forze politiche, opposte tra loro, antisistema: “si sentono in un certo senso accomunati, ma disgraziatamente, appunto, in comune hanno poco o nulla: sono o comunisti o nazisti, e da qui le continue liti e scazzottate”6. “Egli, invece, continua a non scegliere, non si decide né per gli uni né per gli altri. Di fronte all’ostilità e alla violenza di un mondo che lui non riconosce più, in una società in cui il povero e il disoccupato divengono vittima e capro espiatorio della paura collettiva, di un senso di precarietà esistenziale. Dopo essere sfuggito al poliziotto, colpito e malmenato solo perché povero, si rifugia in preda alla disperazione e alla vergogna nella baracca, dove lo attendono la moglie e il figlioletto e lì Fallada, scrivendo le ultime righe del romanzo, consegna al lettore di allora un messaggio forse di speranza per la famiglia Pinneberg, sicuramente non per la società tedesca, inesorabilmente avviata verso una scelta senza ritorno, ossia verso quell’ordine dinamico, come lo definisce Dahrendorf, nell’ambito del quale tutte le questioni vengono risolte “Ein Volk, ein Reich, ein Führer”:

“«Ah, Lämmchen, cosa mi hanno fatto…La polizia…, mi hanno buttato giù dal marciapiede…, mi hanno cacciato via…, come posso guardare ancora in faccia qualcuno…?» E all’improvviso il freddo è scomparso, un’onda verde, infinitamente dolce, la solleva insieme a lui. Scivolano verso l’alto, le stelle brillano vicinissime; lei sussurra: «Ma a me puoi guardarmi in faccia! Sempre! Sempre! Perché tu sei con me, perché noi due siamo insieme…”7.

Insomma, il finale rassicurante è solo una possibilità, mentre la scelta dei tanti tedeschi impauriti e irretiti dall’ideologia nazista, come è noto, sarà un’altra. Pieno di risentimento tanto nei confronti del capitale che del movimento operaio, spiega Ralf Dahrendorf in un articolo del 1996 dal titolo “Il punto di vista del piccolo uomo”, inserito da Sellerio a introduzione della nuova traduzione del 2008, “il ceto impiegatizio abbraccia un’ideologia che sostiene di opporsi ad entrambi, consentendogli di vedersi al centro delle cose anziché marginalizzato”. Insomma, Pinneberg sceglie alla fine di rifugiarsi nel privato, mentre milioni di altri tedeschi come lui indosseranno l’uniforme e prenderanno la tessera del Partito nazionalsocialista, cercando un riscatto economico e sociale, pronti a seguire il leader carismatico in una sorta di ipnosi e identificazione collettiva, foriera di tragedie future.

http://www.novecento.org/didattica-in-classe/letteratura-cinema-e-musica-per-studiare-la-crisi-del-1929-863/#casousa

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