La Rimpatriata (regia di Damiano Damiani, 1963)

La rimpatriata

GENERE:

Commedia, Drammatico

NAZIONE: Italia

Anno: 1963

Durata:110 min

Formato: b/n

REGISTI:

Damiano Damiani

ATTORI:

Walter Chiari, Riccardo Garrone, Francisco Rabal, Dominique Boschero, Mino Guerrini, Mimma Di Terlizzi, Gastone Moschin, Enzo De Toma, Letícia Román, Paul Guers

A Milano, quattro amici prossimi alla quarantina si ritrovano dopo diversi anni. Il donnaiolo Cesarino (Walter Chiari), l’avvocato Alberto (Francisco Rabal), l’imprenditore Sandrino (Riccardo Garrone), il medico Livio (Paul Guers) e l’annoiato benestante Nino (Mino Guerrini) trascorrono una serata in compagnia, facendo un bilancio delle proprie vite e affrontando le rispettive miserie e sconfitte professionali e personali.

Pellicola esemplare di un approccio personale alla commedia all’italiana, che combina la critica di costume a un’atmosfera drammatica permeante e sempre percepibile ma mitigata solo in superficie da un tono più triviale. In questo modo il quadro sociale che emerge è impietoso, un ritratto spietato della borghesia italiana figlia del boom economico, volgare e rozza, grottesca e cialtrona, sospesa tra le proprie ambizioni di grandezza e i limiti di una mediocrità che pare ineludibile. Esplicito e sgradevole, disilluso e caustico, un prodotto tragico che suscita un sorriso amaro e al contempo divertente pur essendo per certi versi spaventoso: i personaggi descritti da Damiani sono veri e propri mostri immaturi e gretti, falliti che hanno sprecato tutte le occasioni che la vita ha dato loro. Grande prova di tutto il cast con una menzione particolare a Walter Chiari alle prese con un personaggio vagamente autobiografico. Sceneggiatura firmata dal regista e da Ugo Liberatore. All’epoca dell’uscita in sala il film fu un sonoro fiasco commerciale e per molti anni è rimasto pressoché invisibile, probabilmente a causa del suo pessimismo e della sua durezza refrattaria a qualsiasi compromesso.

http://www.longtake.it/movies/info/rimpatriata-la

Potevate dirglielo in tutte le lingue al povero Damiano Damiani [Pasiano, Udine, in seguito Pordenone, 23 luglio 1922 – Roma, 7 marzo 2013] che il suo era un film con intuizioni geniali, anticipatore di un futuro amaro, doloroso e anche tragico, che stava lì dietro l’angolo. Per lui La Rimpatriata era “soltanto un film sull’amicizia… che poi fosse una metafora di qualcosa d’altro non lo so. Lo dite voi. Scegliemmo quella canzone stupenda, La Rosa Bianca, che apriva e chiudeva il film proprio perché parlava d’amicizia“. Damiani dixit. E guai a parlargli di capolavoro. Sorrideva e si scherniva. Io glielo dissi che era un capolavoro. Lui mi gratificò con una dedica scritta: “Hai parlato troppo bene di me. Non so se me lo merito“. La Rimpatriata è sì un film sull’amicizia, quella amata voluta calpestata tradita. Forse mai esistita. Ma è anche altro. Obbligatorio riguardarlo. Ai tempi passò inosservato. Lo vidi in un pomeriggio, fine 1963. In sala eravamo in sei. Io e cinque riserve del Bologna finite lì dopo l’allenamento. Che uscirono prima della fine. L’incipit è illuminante, con buona pace di Damiani, che, sornione, sapeva bene cosa ci avrebbe voluto dire. Una lenta panoramica ci mostra scheletri di grattacieli e palazzoni in costruzione. Siamo nel 1962: è l’immagine del boom economico. Ed è così per tutti i primi cinque minuti, quando vediamo Alberto (Francisco Rabal) camminare per una strada della periferia milanese avvolta dalla nebbia (stupendamente fotografata in b/n da Sandro D’Eva) prima di incontrare il vecchio amico Sandrino (Riccardo Garrone). Che sia inquadrato in campo lungo, in piano americano o in primo piano, la m.d.p. non tralascia il dettaglio dello sfondo con quei mostri di cemento non ancora terminati, quasi a suggerirci: attenzione, ficcatevele bene in testa queste immagini, non sono girate a caso. La spiegazione arriva alla fine ed è una delle ultime folgoranti frasi del film ” costruiscono, costruiscono, ma il miracolo economico è finito, ce ne accorgeremo“. E no, caro Damiano, hai bluffato. Questo non è solo un film sull’amicizia. Chi avrebbe messo in bocca ad un personaggio di un film datato 1962 quelle parole? Un profeta illuminato. Il tema dell’amicizia corre parallelo a quello della critica sociale, della visione disincantata di un mondo apparentemente sereno che sta degradandosi, impoverendosi, che sta per morire come quell’amicizia forse mai nata. Tutta illusione la felicità. Il soggetto, se non letto cum grano salis, può apparire banale. Alcuni amici prossimi ai quaranta che s’incontrano e decidono di passare una notte ripercorrendo la loro vita e cercando di divertirsi. Kasdan e Verdone, tanto per fare solo due dei cento nomi possibili, dall’argomento hanno tratto opere importanti. Più di vent’anni dopo, però. Alberto, un avvocato, incontra casualmente (ma forse non tanto) il vecchio amico Sandrino, un piccolo imprenditore con problemi economici. Decidono di passare una notte allegra insieme ad altri due compagni dei bei tempi andati, Livio, un affermato medico in crisi con la moglie e Nino, uno squattrinato figlio di papà, poco attraente ma convinto di essere un irresistibile tombeur de femmes. La serata va avanti stanca. Mancano le donne.  E chi può procurarle se non Cesarino. L’anello mancante. Cesarino il puro, il romantico, l’idealista. Cesarino che ha una moglie e un’amante (o viceversa), che ha figli suoi e non suoi, che ama le donne, tutte, di identico amore. E quelle sue donne sono anche amiche (la famiglia allargata, altra tematica non certo frequentata dal cinema italiano dei tempi). Lo vanno a cercare. Cesarino gestisce un piccolo cinema di periferia. Dopo un attimo di sincera sorpresa decide di unirsi ai quattro e si dà da fare per rintracciare donne, anche inventandosi numeri di telefono. Ne abbordano tre: una ragazzina con un debole per gli uomini maturi, una biondona svampita e una scombinata mora bisognosa d’affetto (e non solo).  Ora la notte sembra prendere la piega giusta. I presupposti ci sono tutti. Non sarà così. Antiche incomprensioni, rancori non sopiti ben presto affiorano. Una ad una le ragazze se ne vanno. Rimasti soli i cinque hanno la bella di idea di andare a cercare Lara, una vecchia fiamma di tutti ora ridotta a prostituirsi con camionisti di passaggio lungo uno stradone che porta a Lodi. La poveretta li rifiuta. L’incorreggibile Cesarino le dichiara il suo amore, non l’ha mai dimenticata, le vuole ancora bene. Alcuni stizziti camionisti lo prendono a botte, quasi lo massacrano. Gli amici non intervengono. E’ l’alba. Cesarino, barcollando se ne va. E’ fin troppo evidente che non si vedranno mai più. Significativo che come nel “Sorpasso” di Dino Risi a soccombere sia l’idealista, mentre il cinico o i cinici in qualche modo continueranno la loro esistenza, fra furberie e compromessi. Sarà l’Italia del futuro.

Attori in stato di grazia. Sopra a tutti un grandissimo Walter Chiari, qui forse nella sua più intensa e convinta interpretazione. Il suo Cesarino non si dimentica facilmente. Eccellenti tutti gi altri, con menzione speciale per Jacqueline Pierreux, una donna atrocemente sconfitta dalla vita. Da segnalare il neo regista Mino Guerrini, qui nel suo unico ruolo attoriale da co-protagonista. Straordinari i tre minuti concessi ad un immenso Gastone Moschin. Che dire d’altro? Chapeau, maestro Damiani.

http://cinemaitalianodatabase.blogspot.it/2013/10/la-rimpatriata-1963.html





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