Invito alla lettura – “Le menzogne della notte” di Gesualdo Bufalino

Invito alla lettura – “Le menzogne della notte”: la storia infinita di Gesualdo Bufalino

di Claudia Consoli
17.7.16

Nel luglio di 28 anni fa Gesualdo Bufalino vinceva il Premio Strega con il suo terzo romanzo, Le menzogne della notte (Bompiani, 1988).

Dirò subito che questo per me è il più intenso tra i romanzi bufaliniani e l’incipit parla da sé:

Mangiarono pochissimo o niente. Le portate, sebbene più ricche dell’ordinario, per come s’era ingegnato di condirle un secondino volenteroso, avevano un sapore nemico, né v’era un boccone in gola che non diventasse una cenere. L’inappetenza, si sa, è d’obbligo nelle serate d’addio. 

La serata d’addio è l’ultima notte che un gruppo di condannati a morte trascorre in un’isola penitenziaria, una fortezza che ha le sembianze di uno scoglio, che probabilmente è nel Mediterraneo, ma potrebbe essere ovunque. Un canale la separa dal continente, le correnti del mare e i venti turbano gli animi dei prigionieri ormai irrimediabilmente separati dal mondo.

Nessuna comunicazione tra l’isola e il continente, il tempo è sospeso, sono cadute le differenza tra il giorno e la notte. Nelle prime pagine del romanzo l’autore ci porta a scoprire quest’isola dimenticata (“Quassù del Regno e del re nessuna notizia. Sanno solo dai picchi sui muri, come da tamburi lontani, che alla regina è nato un erede morte e che dunque morisse il re…“)

Le voci dei prigionieri, anche loro come tamburi lontani, risuonano nelle celle cieche tra i muri umidi e lì vanno a morire. Mentre sognano la vita nel Regno, i prigionieri aspettano un tempo che sembra infinito contando i giorni e le ore che hanno ancora da vivere.
Chi ha letto Diceria dell’untore ritroverà in questo luogo i tratti del vecchio sanatorio di Palermo e nei prigionieri rivedrà i malati del primo romanzo. Anche qui la regia di un non luogo è in mano a un personaggio cinico e disperato, il Governatore Consalvo de Ritis, detto Sparafucile, che ha dei tratti in comune con il Gran Magro del romanzo del 1981.
Tutti i personaggi sono come naufraghi, rifiutati da un mondo che non li vuole più.
Non conosciamo l’anno di questa storia; come sottolinea Nunzio Zago nell’introduzione all’edizione Bompiani del 1988, assistiamo a un totale straniamento cronotopico. Siamo forse nel Regno delle Due Sicilie, al tempo di Ferdinando II di Borbone, ma le coordinate storico-geografiche sono “vaghe ed ellittiche” e il re più volte menzionato non ha mai nome. Indubbio il gusto risorgimentale, gli echi liberali e carbonari.
I quattro condannati, rei confessi di Lesa Maestà, si sono uniti tutti a un ignoto Padreterno, “Autore primo e domino della congiura, di cui presiede le assise e addipana dal buio le fila […] lui dà le parole e gli ordini, insegna le imprese, designa le vittime“.

Il Barone Corrado Ingafù, il poeta Saglimbeni, il soldato Agesilao degli Incerti e lo studente Narciso Lucifora sono adepti del Padreterno in attesa di subire la decollazione da parte di Sparafucile che lancia loro una sfida, una scommessa: la confessione in cambio della verità. Un’intera notte per pensarci.
Rimasti ormai soli, con gli occhi puntati sul cortile in cui si trova il patibolo, i quattro trascorrono l’ultima notte in compagnia di Frate Cirillo, una sagoma inerte di cui si dice fosse un brigante sanguinario. È proprio lui a proporre ai condannati di impiegarla raccontando ciascuno la propria storia.

Non starò a porvi confini. Ognuno racconti di sé. Per esempio, quando e come, in un discrimine della sua esistenza, sia stato per avventura, o si sia creduto, o l’altri l’abbia creduto felice. E quale effigie egli scelga, fra i suoi giorni dilapidati, per fissarsela sotto le palpebre nell’istante che il suo collo sarà infilato nel tondo e un filo freddo di lama a precipizio lo scannerà.

Inizia così una notte di astratti furori, per riprendere le parole di un altro celebre autore siciliano.
Bufalino dà al suo romanzo una struttura a cornice che richiama illustri modelli come Le mille e una notte e il Decameron, ma è lui stesso a dichiarare in Cur? Cui? Quomodo? Quid? (Associazione cultura Agorà, 1989) di aver scelto una “cornice forte, dinamica, che è essa stessa racconto e si serve dei racconti minori per raggiungere il suo esito tragico: una cornice-fiume; coi racconti come affluenti”. 

È tutta una dinamica di sottili equilibri. Mentre le linee del racconto agiscono come forse centripete e riportano le narrazioni dei quattro personaggi a un centro focale, l’hic et nunc della prigione, le loro storie ricreano il caos della vita in lotta costante con la morte. Allo stesso modo l’ordine delle regole rappresentato dal fanatico Governatore lealista si scontra con la possibilità, anche solo accennata, di una rivoluzione.
È nel racconto delle quattro storie che il virtuosismo di Bufalino tocca il suo apice. Nel contenuto, tutte e quattro raccontano la ricerca di identità da parte di personalità scisse, divise, in lotta con se stesse. Ancora Zago sottolinea, a questo proposito, la vicinanza alla frammentazione dell’io pirandelliana o alle moltiplicazione delle identità e dei punti di vista di Borges.

Dal punto di vista della forma, invece, le storie diventano il luogo dell’intertestualità più ricca in cui l’autore dialoga con voci letterarie e storiche del passato in un tutt’uno armonico straordinario. Da Tito Livio al teorico della Restaurazione Joseph de Maistre, da Mazzini ai film di Jean Renoir, da Orazio a Stendhal, da Tommaseo a Manzoni, da Machiavelli a Leopardi, attraverso scelte lessicali preziose, e talvolta barocche, Bufalino rivaleggia con la grande tradizione letteraria.

E questa ricchezza si riflette anche nel genere, o meglio nel non genere di questo romanzo, che l’autore stesso ha definito un po’ fantasia storica, un po’ giallo metafisico, un po’ moralità leggendaria. A piacere, aggiunge infine, lasciando la scelta al lettore.
Le menzogne della notte ha anche uno spiccato carattere teatrale – quello drammaturgico è un mondo che Bufalino conosceva molto bene – tale che ci sembra quasi di essere in platea ad attendere che qualcosa accada, insieme ai personaggi della scena.

L’autore fa molto di più che raccontarci una storia; mentre si aspettano le luci dell’alba ci riporta alla domanda di senso sulla nostra esistenza e, scelta non casuale, mette in bocca il dubbio proprio al personaggio di Consalvo de Ritis:

… allora mi chiedo: io, chi sono? Noi, gli uomini, chi siamo? Siamo veri? Siamo dipinti? Tropi di carta, simulacri increati, inesistenze parventi sul palcoscenico d’una pantomima di cenere, bolle soffiate dalla cannuccia d’un prestigiatore nemico? Se così è, niente è vero. Peggio: niente è, ogni fatto è uno zero che non può uscire da sé. Apocrifi noi tutti, ma apocrifo anche chi ci dirige o raffrena, chi ci accozza o divide: metafisici niente, noi e lui, mischiati a vanvera da un recidivo disguido: nasi di carnevale su teschi colmi di buchi e d’assenza… Ho visto un quadro a Parigi, or è un anno. Rappresentava una scimmia in un ateliere, con tavolozza e pennelli. Saremmo questo, noi creature di lacrime? Gli scarabocchi d’una scimmia pittrice? Se non pure fantocci in piedi, nel mezzo di una stanza, moltiplicati da due specchi che si fronteggiano?…

Questo è un regalo, un dono in forma di libro, che Bufalino ha fatto a tutti i lettori.
Lo suggerisce lui stesso che quel “A noi due” posto in esergo al romanzo possa essere un omaggio affettuoso a chi legge, un cenno d’intesa che ha anche in questo caso un’eco letteraria con una ripresa ironica dal Père Goriot di Balzac.
Ma la questione resta aperta, come la domanda di senso. Dopo tutto questa è solo una delle tante possibilità e interpretazioni di un libro infinito.

Claudia Consoli

http://www.criticaletteraria.org/2016/07/le-menzogne-della-notte-bufalino.html

Analisi de LE MENZOGNE DELLA NOTTE di Gesualdo Bufalino

Published: Tue 31 March 2015

DATA PRIMA EDIZIONE1988SINTESI DEL ROMANZO DIVISO PER CAPITOLI
 
Capitolo I “Dove”

Questo è un capitolo introduttivo dove viene descritto il luogo dove si svolge la vicenda. Esso è un carcere situato su un’isola poco distante dal continente, da cui è però impossibile evadere rimanendo vivi perché il mare che la circonda è battuto da correnti fortissime.

Capitolo II “Il chi e il quale”

Il governatore Consalvo De Ritis legge i fascicoli con le descrizioni dei quattro personaggi principali, tutti prigionieri sull’isola e condannati alla decapitazione. Corrado Ingafù è di nobile famiglia, ma ha preso la strada del brigantaggio e il 7 febbraio è stato catturato. Di Saglimbeni, poeta, non si sa quasi niente. Agesilao degli Incerti è un orfano arruolatosi nei granatieri per poi diventare proselito del barone Ingafù. Narciso Lucifora è un giovinotto al seguito di Saglimbeni; è stato catturato tra la folla insieme al barone. Poi il Governatore legge il fascicolo del Padreterno, lo sconosciuto capo dei quattro prigionieri.

Capitolo III “Patteggiamenti”

Licciardello, una guardia, porta via i piatti intatti dei quattro condannati, poi nella cella entra il Governatore, che propone loro di aver salva la vita in cambio del vero nome del Padreterno. Ognuno dei quattro avrebbe avuto un foglio su cui scrivere il nome o una “x”, che poi avrebbe imbucato in un bussolotto: se anche uno solo di loro avesse scritto il nome, tutti quanti si sarebbero salvati.

Capitolo IV “Decisioni sull’uso della notte”

Dopo aver fatto una doccia i prigionieri vengono accompagnati in una nuova stanza, dove trovano Frate Cirillo, che sarebbe stato giustiziato insieme a loro l’indomani mattina. Quindi decidono di passare le ultime ore della loro vita raccontando ognuno, a turno, il momento più memorabile della propria vita, sia vero che inventato.

Capitolo IV “Il racconto dello studente ovvero Narciso salvato dalle acque”

Il primo a raccontare è Narciso e la sua è una storia d’amore. Dopo che era diventato parte del gruppo del Padreterno ed era sospettato dalla polizia, aveva dovuto rifugiarsi nel Settentrione dal vecchio padrone del suo ex-giardiniere. Qui aveva conosciuto Eunice, una bellissima ragazza sposata di cui si era perdutamente innamorato. Per aiutare lei e suo marito a fuggire, viene catturato dalla milizia ma, grazie ai suoi compagni del Padreterno, viene liberato e può finalmente congiungersi con Eunice, che ora ricambia il suo amore. La notte passata insieme a lei è il suo ricordo memorabile.

Capitolo V “Interludio di fulmini e tuoni”

Narciso inizia a dubitare del Padreterno chiedendosi come mai non li salvi, e il barone gli dice che quell’isola è inespugnabile anche per lui e che la loro morte fa parte del Grande Disegno, così che il popolo conosca la grandezza del Padreterno e si ribelli al re. Poi si domandano se il re che sarebbe succeduto a quello presente sarebbe stato meglio o peggio. All’improvviso si scatena un temporale con lampi e tuoni e il barone, spaventato, sviene; poi racconta la sua storia, sull’origine del panico per i diluvi.

Capitolo VII “Il racconto del barone”

Corrado, verso i diciotto anni, si stanca di vivere e per cercare di guarire intraprende un viaggio in tutta Europa, finché si ferma a Parigi e qui trascorre la vita con suo fratello gemello, Secondino, cercando di diventare come lui. Un giorno, proprio mentre si abbatteva un temporale, Secondino muore in un duello e il barone lo fa rivivere in sé facendo tutto quello che faceva e che avrebbe voluto fare suo fratello. È da quel giorno che ogni volta che sente un rombo di tuono si butta a terra gemendo, sentendo il proiettile che aveva ucciso Severino insinuarsi nelle viscere. Lo consola il fatto che morendo, lui e Secondino sarebbero tornati ad essere una cosa sola.

Capitolo VIII “Del camminare sui tetti”

Finisce il temporale e i cinque prigionieri commentano il racconto del barone. Narciso scoppia a piangere dicendo che i racconti, che sperava lo aiutassero, stanno sortendo l’effetto contrario. Infine Agesilao si accinge a raccontare la sua storia.

Capitolo IX “Il racconto del soldato ovvero Il guazzabuglio”

Concepito in seguito ad uno stupro e abbandonato dalla madre in un convento di frati, Agesilao passa i primi quindici anni di vita non sapendo chi fossero i suoi genitori. Quando il padre Arrabito gli dice che sua madre era una commediante girovaga e suo padre un cavalleggero che l’aveva stuprata, Agesilao decide di scappare dal convento. In un paese incontra una vecchia che aveva assistito al parto di sua madre e gli racconta quel che sapeva. Così il ragazzo arriva in città e si arruola nell’esercito con il solo scopo di trovare ed uccidere suo padre. Lo identifica in un cavaliere, il cui lobo dell’orecchio destro era mozzo, perché sua madre aveva morso un orecchio dello stupratore: così lo uccide. In seguito prende parte al gruppo del Padreterno.

Capitolo X “Il giustiziere zelante”

Quindi discutono sul fatto se Agesilao avesse fatto bene ad uccidere il cavaliere oppure no. Poi entra il boia mastro Smiriglio con una scorta per prendere le misure del collo dei prigionieri per vedere se ci stavano nella ghigliottina. Infine, andate via le guardie, comincia a raccontare il poeta.

Capitolo XI “Il racconto del poeta ovvero Il gallo cieco”

Quando aveva circa vent’anni, il poeta cercava di sobillare i nobili contro il re tiranno. Così gli capitò di andare dal duca Maniace, prossimo alla morte, e, quando vi arrivò, il duca era già morto. Qui si intrattiene per alcune settimane, prima perché era ancora in convalescenza in seguito ad una caduta, poi perché non gli dispiaceva vivere nelle mollezze. Un giorno però è costretto a partire, sollecitato a tornare dal Padreterno, e la vedova duchessa e il figlio se ne rattristano molto. Il giorno della partenza i due lo accompagnano fino alla costa, dove Saglimbeni sarebbe salpato su una nave. La duchessa con una scusa fa allontanare il figlio e si ritira in una stalla lì vicino. Saglimbeni non fa in tempo ad entrare che è sorpreso da un brigante che lo lega e stupra la duchessa, anche se lei non sembra dispiacersene. Poi il figlio, avendo assistito alla scena, si suicida.

Capitolo XII “Colpo di dadi”

Frate Cirillo capisce che l’ultima parte della storia era falsa, cioè che il figlio della duchessa aveva trovato Saglimbeni avvinghiato con sua madre e per questo si era ucciso. Riprende la discussione se sia giusto o meno tradire il Padreterno per salvarsi, poi finalmente avviene la votazione.

Capitolo XIII “Diabolus ex machina”

Frate Cirillo riesce a tirare fuori dalla bocca di Narciso degli indizi che gli fannno capire che il Padreterno è il fratello del re, poi svela a tutti la sua vera identità, cioè il Governatore. Legge i fogli su cui i prigionieri avevano scritto e, vedendo che il nome del Padreterno non c’è, si dice contento di non aver fatto quella messinscena inutilmente.

Capitolo XIV “Carte trovate su un piccione da un cacciatore”

Il Governatore, nel testamento, lascia tutti i suoi beni mobili e immobili al suo re. Inoltre in una lettera confessa al re il suo timore di essere stato raggirato dai quattro Evangelisti, che gli avevano fatto capire che il Padreterno fosse il fratello, mentre in realtà era un altro o non esisteva affatto. Così, con il timore di aver tradito il suo re, si uccide con un fucile.

AMBIENTAZIONE STORICA E GEOGRAFICA

L’ambiente in cui si svolge la vicenda è una piccola isola, poco distante dal continente, meglio identificata come uno scoglio «poiché non si tratta d’altro che d’uno scoglio di tufi, cresciuto su se medesimo in forma di enorme naso». L’unico sito abitato è il carcere, dove alloggiano i quattro protagonisti del racconto. I luoghi interni più significativi sono la loro cella, uguale a tutte le altre: «Il pavimento misura tredici palmi per diciassette. […] Quattro i tavolacci, che si appoggiano alla parete durante le ore di luce e si mettono giù la sera, dirimpettai; fra essi un corridoio viabile, campo di battaglie serali, dove in brevissimo spazio si scontrano e sfogano gli affetti più disordinati: cupe collere e disperate lusinghe.» Le sedie sono in pietra radicate nel pavimento in modo da non poterle usare come armi.

Il racconto è ambientato nel 1800 circa, quando in Italia non c’era ancora la Repubblica, ma molti volevano costituirla, e copre l’arco di tempo di una notte, come ci fa presupporre il titolo.

PERSONAGGI

Consalvo De Ritis

È il Governatore che dirige il carcere dell’isola. È fedelissimo al sovrano, tanto che, quando scopre di essere stato probabilmente raggirato e di essere stato lui a determinare la morte del conte di Siracusa, preferisce uccidersi piuttosto che continuare a vivere con il rimorso di aver tradito il re. È «un mezzo gigante, con barba e basette rossicce, ma in capo, dove non cedeva ai tondi dell’alopecia, una curiosa canizie.»

Il barone Corrado Ingafù

Uno dei quattro Evangelisti, gli unici ad aver visto il loro capo, soprannominato Padreterno. Dalle informazioni date nell’ultimo capitolo, si può presumere che, arrivato a Parigi e incontratosi con il fratello gemello, il primogenito non sia guarito dalla nullaggine e per questo si sia impiccato. Il secondogenito, vedendosi finalmente la possibilità di essere il tanto agognato primogenito che aveva diritto al titolo e ai beni, prende il suo posto e torna al suo paese. Qui nessuno lo riconosce più: «tornò con viso ilare e strano, loquacissimo, mentre prima amava tacere». Da allora, dice, «mi son fatto orditore di trame senza numero fra gli esuli d’ogni nazione, in Europa; quindi, da pochi anni, con voi in Cispadania, in Capitanata… Sotto gli ordini, sempre, del Padreterno». «È persona d’età provetta, di statura mezzana, di corpo lento. Il viso è lungo, macilento, barbato. il pelo castagno, ma inframezzato di bianco».

Agesilao degli Incerti

Un soldato trentenne, orfano. Arruolatosi nell’esercito, aveva ucciso un suo superiore per questioni di donne, non perché fosse lo stupratore di sua madre. «Di viso grosso, d’occhi cervini, di statura eccedente la regola. Da riconoscere per un tatuaggio d’insetto, che porta ricamato sul braccio all’uso dei marinai».

Saglimbeni

Un sedicente poeta di cui poco si sa, dicendo più menzogne lui dei suoi compagni. Certo è il suo amore per la musica e i comici. Viene descritto «di viso rotondo, donnescamente pelato, così come di femmina sono le cure minute della persona che antepone a qualunque urgenza».

Narciso Lucifora

Al contrario di quanto racconta, è stato cacciato di casa per aver tentato di abusare di sua sorella Olimpia. È un ragazzo, e in quanto tale, ha molta più paura della morte dei suoi compagni, così più volte è tentato a dire il nome del Padreterno al Governatore, ma alla fine non lo scrive. «Ha spalle quadre, gambe snelle, capelli ricci e morati, sennonché porta rasa la collottola a pelle».

Personaggi minori

Il mastro Smiriglio, il boia, lo sbirro Licciardello, Balestra, l’aiutante del Governatore, il barbiere e le altre guardie che scortano i prigionieri e che accompagnano il boia nella cella di quelli.

LINGUAGGIO E STILE

La struttura del libro è la seguente: i primi due capitoli sono introduttivi, per cui contengono le descrizioni dei protagonisti e del luogo dove si svolgono i fatti, poi i capitoli con i racconti dei prigionieri si alternano a capitoli di riflessione; infine l’ultimo contiene il testamento e la lettera del Governatore, in cui si scopre la verità sui prigionieri.

Prevale il discorso diretto, specialmente nei capitoli in cui ogni prigioniero racconta la sua storia, proprio perché la racconta, solo a volte interrotto dai commenti di un altro.

Le descrizioni sono minuziose.

http://albytosck.altervista.org/schede-libro/analisi-de-le-menzogne-della-notte-di-gesualdo-bufalino/

http://dannyreviews.com/h/Nights_Lies.html

Night’s Lies

Gesualdo Bufalino

translated from the Italian by Patrick Creagh

Harvill Press 1999

A book review by Danny Yee © 2003 http://dannyreviews.com/
Four revolutionaries — a student, a baron, a soldier, and a poet — are imprisoned in an desolate island fortress. On the eve of their execution, the prison governor offers to spare their lives if any one of them will reveal the identity of their leader, a court figure known only as God the Father. Left for their final night with a fifth prisoner, a notorious brigand, each of the four tells a story about his life. But are these tales told for themselves, for their fellow prisoners, or as part of a broader plan? Who is deceiving whom?Both the framing story and the four sub-stories of Night’s Lies (Le menzogne della notte) are effectively fables. The characters are intriguing but at the same time distant, while the historical setting and the slightly archaic language help to maintain a certain detachment. But the evocation of atmosphere and setting is superb and the narrative is totally compelling, never the least bit contrived or forced. While the plot might not withstand close inspection, nothing ever prompts that, and the final twists follow one another in dramatic crescendo.March 2003

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