Bolaño Roberto : UNA NOVELITA LUMPEN – The Savage Detectives pdf- poesie

Una novelita lumpen

Bolaño, Roberto

Roberto Bolaño sitúa la acción de esta novela en la ciudad de Roma, escenario por el que deambulan personajes extremos entre el desasosiego y la locura. La joven protagonista, Bianca, tras la súbita muerte de sus padres, inicia un descenso a los infiernos. Así, declara: «El futuro no me importaba, se me ocurrían ideas, pero esas ideas, si lo pensaba bien, nunca se proyectaban hacia el futuro.» Y en un test de la revista Donna Moderna, a la pregunta: «Si tuvieras que matar a alguien, si no tuvieras ninguna otra opción, ¿a quién matarías?», contesta: «A cualquiera.» Y: «¿Cuántos hijos te gustaría tener?» Respuesta: «Cero.» Acompañada por su hermano y dos hombres misteriosos, Bianca se adentrará en el universo adulto, en las peores y más intrigantes facetas de la sexualidad y el engaño.

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Los detectives salvajes

Arturo Belano y Ulises Lima, los detectives salvajes, salen a buscar las huellas de Cesárea Tinajero, la misteriosa escritora desaparecida en México en los años inmediatamente posteriores a la Revolución, y esa búsqueda el viaje y sus consecuencias se prolonga durante veinte años, desde 1976 hasta 1996, el tiempo canónico de cualquier errancia, bifurcándose a través de múltiples personajes y continentes, en una novela en donde hay de todo: amores y muertes, asesinatos y fugas turísticas, manicomios y universidades, desapariciones y apariciones. Sus escenarios son México, Nicaragua, Estados Unidos, Francia, España, Austria, Israel, África, siempre al compás de los detectives salvajes poetas «desperados», traficantes ocasionales, Arturo Belano y Ulises Lima, los enigmáticos protagonistas de este libro que puede leerse como un refinadísimo thriller wellesiano, atravesado por un humor iconoclasta y feroz. Entre los personajes destaca un fotógrafo español en el último escalón de la desesperación, un neonazi borderline, un torero mexicano jubilado que vive en el desierto, una estudiante francesa lectora de Sade, una prostituta adolescente en permanente huida, una prócer uruguaya en el 68 latinoamericano, un abogado gallego herido por la poesía, un editor mexicano perseguido por unos pistoleros a sueldo?

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Il Paradosso Bolaño

di pubblicato domenica, 22 marzo 2015 ·

Questo contributo di Juan Villoro è uscito su Lo Straniero, che ringraziamo. La traduzione è di Giorgio De Marchis. (Fonte immagine

di Juan Villoro

La fama è un malinteso che banalizza i suoi beneficiati. Roberto Bolaño, scrittore e amico imprescindibile, è diventato leggenda.
Quando morì nel 2003, a cinquant’anni, noi persone che gli eravamo vicine sapevamo che i suoi libri avrebbero resistito al tempo, ignoravamo però che avrebbe ricevuto qualcosa che non aveva mai corteggiato: l’apprezzamento di massa. Come potevamo supporre che la sacerdotessa del rating televisivo, Oprah Winfrey, avrebbe raccomandato i suoi libri, che Patti Smith avrebbe messo in musica i suoi testi e che l’attore Bruno Ganz li avrebbe recitati in tedesco?
A New York, ho conosciuto due giovani scrittori che hanno pagato 50 dollari per le bozze di 2666 in modo da poter leggere quell’opera prima di chiunque altro, e in Messico ho conosciuto un aspirante poeta felice di aver accarezzato un cane nella città di Blanes che, a quanto gli avevano detto, da cucciolo aveva conosciuto l’autore di I detective selvaggi.
Noi amici non abbiamo mai dubitato del carisma di Roberto, però lo abbiamo trattato con la naturalezza e l’eccessiva confidenza che l’affetto e il buon umore impongono. Non lo abbiamo visto come una figura storica. Ci raccontavamo pettegolezzi e parlavamo di cose personali. Ora ci vergogniamo della mancanza di informazioni su ciò che lui pensava a proposito dei grandi temi dell’umanità.
Dicono che il padre di Leonard Bernstein fosse molto severo con il figlio. Quando gli domandarono se veramente era stato così rigido con il piccolo Lenny, rispose: “Sì, ma non sapevo che si trattasse di Leonard Bernstein!”. Qualcosa di simile è accaduto con l’amico che cantava canzoni rock, raccontava storie di assassini seriali e criticava con sottile ironia i difetti dei nostri conoscenti. Gli volevamo bene e lo ammiravamo, ma non sapevamo che sarebbe diventato un mito. Un po’ come essere stati amici di Bob Dylan prima del suo debutto al festival di Newport e dell’entusiasmo delle folle.
Roberto viveva con le spalle rivolte alla celebrità e detestava l’idea di “successo”. Ammirava i resoconti di quelli che resistono lungo le strade secondarie, le autostrade che non portano da nessuna parte, le case vuote, le trincee sotto la pioggia.
Ci conoscemmo nel 1976, a una premiazione di giovani scrittori nei giardini dell’Università di Città del Messico. Lui era arrivato terzo nella sezione Poesia e io secondo in quella Racconti. Uno dei giurati dei racconti era lo scrittore cileno Poli Délano. Stavo parlando con lui quando Roberto si avvicinò per avere notizie sul Cile e sulla resistenza contro Pinochet. Aveva i capelli scompigliati da un vento immaginario, occhiali tondi e una sigaretta in bocca: “Sono arrivato terzo, anche se credo di meritarmi più che altro un’ammonizione”, commentò sarcastico.
Stringemmo un’istantanea amicizia, ma poco dopo se ne andò in Europa. Per anni non ebbi più notizie dirette delle sue avventure. In qualche modo venni a sapere che era andato a Parigi, che era passato dalla poesia alla prosa, che si era stabilito sulla costa catalana. Ero amico del poeta Mario Santiago Papasquiaro, che compare con il nome di Ulises Lima in I detective selvaggi. Quando, nel gennaio del 1998, Mario morì investito da una macchina, scrissi un necrologio che arrivò alle mani di Roberto. Poco tempo dopo ricevetti una telefonata intercontinentale. Roberto voleva sapere come erano stati gli ultimi anni del poeta protagonista del suo romanzo, all’epoca ancora inedito.
Nel 1998 io ignoravo che in Europa ci fossero tessere telefoniche con tariffe scontate. Nella mia condizione di messicano estraneo ai benefici della globalizzazione, pensai che Roberto stesse spendendo una fortuna con quella telefonata. Lui trovò divertente il mio malinteso e preferì non chiarire le cose: “Non ti preoccupare”, disse, “ho molti soldi”.
Aveva appena pubblicato Stella distante, un romanzo che aveva suscitato l’interesse della critica, ma i cui diritti d’autore erano più che altro simbolici. Tuttavia, voleva che io pensassi a uno sperpero, un’esagerazione simile a quella di Joyce, che dava mance esorbitanti considerandole un equivalente monetario del suo flusso narrativo.
A partire da quella telefonata recuperammo l’amicizia. Lo andai a trovare diverse volte a Blanes e, dal 2001, quando mi trasferii con la mia famiglia a Barcellona, passammo a frequentarci assiduamente. Lui ricordò questo nuovo incontro in un testo del suo libro Tra parentesi. Lì celebra il nostro destino con una formula che non posso dimenticare: “L’importante è che abbiamo memoria. L’importante è che possiamo ridere senza sporcare nessuno con il nostro sangue. L’importante è che rimaniamo in piedi e non siamo diventati codardi né cannibali”.
Molte volte l’ho visto combattere contro la popolarità, preoccupato dalla perdita di radicalismo e dai malintesi a cui conduce il successo. I detective selvaggi vinse il Premio Herralde per il romanzo e dopo il Premio Rómulo Gallegos, in Venezuela; i suoi libri si cominciavano a tradurre e la critica li osannava. Fino a quel momento si era vantato di essere un outsider che non aveva bisogno di altro riconoscimento se non la sua stessa opinione. Non ho mai conosciuto qualcuno più sicuro del proprio talento. “Per anni sono stato solo, ma non mi sono sentito solo”, diceva a proposito del suo isolamento rispetto alla comunità letteraria.
Ragioni per celebrare l’opera di Bolaño ce ne sono in abbondanza, ogni scena è stata scritta con l’intensità della vita realmente vissuta, come un’esperienza che ha segnato la pelle dello scrittore. Questo è tanto più notevole se si considera la varietà di scenari che i suoi libri presentano. Bolaño ha trasmesso la stessa sensazione di prossimità parlando di un pugile nero a Chicago, un solitario scrittore di racconti argentino, un’attrice porno, un soldato sul fronte russo durante la Seconda guerra mondiale oppure un sacerdote cileno, complice della dittatura. Un altro marchio di fabbrica è la complessità morale delle sue storie. Nelle sue pagine, le categorie di bene e male non sono mai ovvie e in alcuni momenti appaiono intercambiabili. Non denuncia soltanto l’obbrobrio; lo trasforma in un problema intimo, che può riguardare qualunque persona.
Il suo eccezionale romanzo Stella distante ha come protagonista un sofisticato artista d’avanguardia che è anche un sadico torturatore. In un modo spaventoso, Bolaño mostra che l’estetica può convivere con l’oltraggio. George Steiner più volte si è chiesto come fosse possibile che i comandanti dei campi di concentramento nazisti recitassero Rilke prima di recarsi alle camere a gas. Questo amaro paradosso viene esplorato con dolente lucidità nell’opera di Bolaño.
È quasi impossibile stabilire perché un ottimo scrittore all’improvviso riesca a entrare in contatto con il grande pubblico. Nel caso di Bolaño, sembrerebbero esserci almeno tre motivi per comprendere la sua attuale condizione di mito. La prima è la sua stessa vita, ai margini del sistema. Fu testimone del colpo di stato in Cile, soffrì la repressione, l’esilio, la povertà e la malattia. In tutti questi passaggi si comportò con integrità e, ancora più difficile, con straordinario amore per la vita. La sua letteratura trasmette con una forza eccezionale l’allegria in mezzo alle avversità, la vitalità dell’uomo accerchiato.
La seconda ragione è più profonda: la sua estetica è stata la perfetta cassa di risonanza di questo modo di vivere. I detective selvaggi è un curioso Bildungsroman o romanzo di formazione sentimentale. Come Sulla strada, di Jack Kerouac, narra la storia di due amici che vagano in macchina alla ricerca del significato dell’esistenza. Per Bolaño, il poeta è un detective che indaga la vita in modo selvaggio, eterodosso. In maniera peculiare, la maggior parte dei suoi personaggi si interessa di poesia, ma pochissimi la scrivono. Fondamentalmente Bolaño vuole dimostrare che la vita può essere un atto poetico. I suoi detective selvaggi non hanno bisogno di concepire versi; a loro basta vivere con fantasiosa libertà perché ciò sia poetico. Per percepire diversamente, bisogna fare diversamente. Dove porta la strada? Una frase di Henry Miller offre la risposta: “Avanti, da nessuna parte”. I detective selvaggi è diventato un manuale di comportamento per giovani lettori, qualcosa che nella letteratura latinoamericana non avveniva da Il gioco del mondo, di Julio Cortázar, pubblicato nel 1963.
La terza ragione del successo popolare è che il suo romanzo più noto è un’opera collettiva, narrata da voci che entrano ed escono dal libro come la folla che entra ed esce da uno stadio. Non è la storia di un artista isolato. È la saga di una tribù. Leggere il libro significa appartenere a una confraternita, quella di quanti desiderano comprendere il mondo in un altro modo per poterlo cambiare. I detective selvaggi è un falò nel deserto che attira i vagabondi da tanti posti. Non c’è modo di leggere quest’opera senza sentire che anche tu hai una storia da raccontare.
Al di là di queste ipotesi, si erge l’insondabile mistero che avvolge sempre un grande autore. Non riusciremo mai a risolvere gli enigmi che ci ha posto l’indimenticabile Roberto Bolaño.
L’estate della sua morte, Marte si era avvicinato più che mai alla Terra. L’aria ardeva e a Barcellona gli anziani temevano di morire di un “colpo di calore”.
Il 28 aprile avevamo festeggiato il suo compleanno numero 50. Come sempre, aveva scherzato sulla malattia che lo cingeva d’assedio e noi amici avevamo pensato, ancora una volta, che avesse una pessima salute di ferro, una sofferenza difficile da sopportare, che, però, non gli avrebbe impedito di continuare a scrivere in modo travolgente. Qualche mese dopo, gli stessi amici, ci ritrovammo sconvolti nell’obitorio a Les Corts per salutare il detective selvaggio.
Roberto non voleva suscitare compassione. Amava paragonarsi a un marine addestrato a sopravvivere ovunque. Non riconosceva maestri né accettava discepoli. Era un lupo solitario. Nei dibattiti, raramente dava ragione agli altri e, se la volta seguente qualcuno sosteneva la stessa cosa che lui aveva sostenuto, cambiava opinione. In un’intervista memorabile (disponibile in L’ultima conversazione, Edizioni Sur, 2012 – ndr), Mónica Maristany gli chiese: “Perché lei fa sempre il bastian contrario?”. In maniera emblematica, l’imperturbabile Roberto rispose: “Io non faccio mai il bastian contrario”.
Non tollerava neanche la più piccola critica al Messico. Aveva idealizzato il paese dove era diventato uno scrittore e che aveva fatto da sfondo ai suoi romanzi più lunghi. L’ultima parola di 2666 è, per l’appunto, “Messico”.
Ricevette diversi inviti per tornare a Città del Messico ma non ne accettò nessuno. “Ho paura di morirci”, diceva come se fosse un personaggio di Sotto il vulcano Il serpente piumato. Secondo me, la sua riluttanza a tornare era dovuta al fatto che non desiderava dissacrare il luogo che aveva ricreato a distanza, servendosi della sua memoria creativa. Molti degli episodi di I detective selvaggi ci erano noti prima che lui li narrasse, perché erano accaduti ad amici comuni, ma pensavamo che la cosa migliore di quel passato era che fosse già accaduto. Roberto seppe comprendere la forza occulta di quelle trame e dare loro una dimensione epica. Se fosse tornato in Messico, sarebbe certamente rimasto deluso, non trovandovi la forza allucinatoria del suo romanzo, così come altri sono rimasti delusi non trovando per le strade di Alessandria d’Egitto la magia e la sensualità che Lawrence Durrell le attribuisce nel suo celebre Quartetto.
Sulla spiaggia di Blanes, dove viveva, si alza la prima scogliera della Costa Brava. Gli piaceva indicare quella rupe, come se ci si paragonasse. Una roccia solitaria e inespugnabile. Era più orgoglioso della sua etica di vita che dei suoi successi letterari. Ha fatto ogni sorta di lavoro senza lamentarsene mai. È stato guardiano notturno in un campeggio e commesso in un negozio di sciarpe. Per anni, ha partecipato a concorsi letterari di provincia. Non gli interessava il prestigio di quei premi regionali, ma i soldi che potevano arrivare in soccorso delle sue spese. Definiva la sua attività di partecipante a concorsi come un’azione da pellerossa, da intrepido “cacciatore di scalpi”.
Appassionato di strategie belliche, progettò un’Antologia militare della letteratura latinoamericana, nella quale avrebbe raggruppato le capacità degli scrittori in gruppi d’assalto: fanteria, artiglieria, paracadutisti, ecc. C’era qualcosa di gioco infantile nella sua illusione di vedersi come un marine, un pellerossa o un investigatore di omicidi. Tuttavia, quei destini gli servivano per rafforzare la sua etica della sopravvivenza.
Ricordo la notte in cui tenne una conferenza alla Casa America della Catalogna. Quando arrivarono le domande del pubblico, qualcuno volle sapere qual era la qualità che più apprezzava in una persona. “Il coraggio”, rispose Roberto senza esitare. Sebbene fosse uno studioso di campagne militari, il coraggio per lui aveva meno a che vedere con i pericoli della guerra che con l’integrità morale, la fedeltà a se stessi, la capacità di resistere alle tentazioni e agli abusi del nostro tempo.
Era difficile immaginarlo come una persona fragile. Nonostante sapessimo che era malato, la sua morte non poteva che sorprenderci.
Poco prima che avvenisse, mi telefonò per commentare un libro che aveva appena letto, Todo modo, dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia. Un personaggio aveva attirato la sua attenzione in modo particolare: il sacerdote Gaetano. Dopo aver conosciuto l’ampio repertorio dell’esperienza umana, il prete commenta che gli manca soltanto l’ultimo battesimo, quello della morte. “Che frase!”, esclamò Roberto con ammirazione.
Mesi dopo, nel ricevere la devastante notizia della morte di Roberto, questo dialogo acquistò una forza retrospettiva. L’aria continuava a essere in fiamme a causa dell’estate, ma all’improvviso piovve come nel racconto di Borges, con “poderosa lentezza”. Il clima sembrava un’espansione dell’ultimo battesimo di Roberto Bolaño.
Nei dieci anni trascorsi dalla sua morte, molte delle sue parole mi sono tornate in mente con l’insonnia, nel cuore della notte, quando lui era più sveglio di chiunque altro.
Roberto aveva l’orario lavorativo di un vampiro. Si svegliava nel pomeriggio e, per scaldarsi, chiamava gli amici. A Barcellona è insolito che qualcuno usi il telefono solo perché ha voglia di parlare. Le chiamate in genere hanno un fine utilitaristico. Per questo Roberto preferiva parlare con noi amici latinoamericani, che non vediamo il telefono come un mezzo di comunicazione ma come un luogo d’incontro. All’improvviso parlava di un’attrice che gli piaceva, raccontava un sogno, descriveva un movimento militare nella battaglia di Borodino o si interessava per la salute della mia figlia piccola. Poi attaccava per addentrarsi nella sua notte di scrittura. Era un amico attento, ma odiava le pubbliche relazioni. Ogni volta che si sentiva in pericolo di essere accettato dall’establishment, scriveva un testo furibondo contro uno scrittore famoso. Era il suo modo, un po’ ingenuo e spesso crudele, per preservare l’indipendenza. Il libro Tra parentesi riunisce i testi in cui noi suoi amici veniamo immeritatamente esaltati con la stessa passione con cui i suoi nemici vengono fustigati. Queste affermazioni inopportune erano un sistema d’allarme contro l’accettazione ufficiale. Bolaño voleva essere letto senza perdere la sua radicalità. Non desiderava essere famoso. Né desiderava essere un “autore illustre”.
Il mondo, però, tende ad appassionarsi a tutto ciò che gli resiste e i posteri lo hanno trasformato in leggenda. La fame è un equivoco: l’asociale Kafka è in tutte le boutiques di Praga, il volto di Che Guevara vende milioni di magliette e Bolaño è la superstar che visse per non esserlo. Dopo il sorprendente successo di Sotto il vulcano, Malcolm Lowry scrisse una poesia che riflette quello che Roberto sentiva nei confronti dell’accettazione. José Emilio Pacheco l’ha resa in maniera ammirevole in castigliano. I due primi versi sono: “È un disastro il successo/ Più orribile della tua casa bruciata in un incendio”. E più avanti conclude: “Oh, non mi avesse tradito il trionfo baciandomi”.
Bolaño rifiutava le fanfaronate mediatiche e i trionfi della società del consumo, ma non coltivava il fallimento. Gli amici che minacciavano di trasformarsi in pigri chiusi in soffitta, li spronava a mettersi al lavoro; a quelli che sembravano sul punto di “sfondare” faceva degli scherzi, che considerava terapeutici e che servivano per esercitare una delle sua abilità più sviluppate: dare fastidio. Nelle sue storie celebra i “poeti della vita”, esseri sensibili la cui unica opera è il desiderio d’avventura, ma la sua disciplina era spartana. Non aveva il riscaldamento e spesso, la notte, doveva scrivere con i guanti. Quanta fatica per scrivere di gente che non lavora! Non pretendeva la stessa cosa dagli altri, però teneva gli occhi aperti per supervisionare il nostro lavoro. Portare a termine il proprio compito per lui era una morale.
Diverse volte commentammo un fatto curioso: l’unica prova affidabile del talento è sentire il testo come se fosse stato scritto da qualcun altro. Tale autonomia della voce rivela che l’opera vive di vita propria. Ci si può sentire orgogliosi di un registro che ormai ci è estraneo? Assolutamente no.
Cosa avrebbe pensato della sua trionfale posterità? Sicuramente avrebbe sorriso come chi fa un’ultima marachella, considerando la fama l’ennesima prova a cui il destino lo sottoponeva.
Nella mistificazione che lo vuole come il Jim Morrison della scrittura l’equivoco maggiore è pensare che abbia sacrificato la sua vita per il romanzo. Non ha mai voluto essere un martire. È stato un sopravvissuto.
Bolaño, autore restio al successo, occupa oggi un posto fashion. Nessun grande autore può esimersi dagli eccessi dell’attenzione, i misreadings, le sovrainterpretazioni, le falsità sulla sua vita. I detective selvaggi è destinato a essere sottoposto a ogni genere di adattamento, dal teatro al cinema, passando per la radio, fino ad arrivare al possibile allestimento di I detective selvaggi on ice. Fosse ancora fra noi, Roberto Bolaño guarderebbe intrigato il suo peculiare destino, alzerebbe le spalle di fronte alle cose che diciamo di lui, accenderebbe una sigaretta e proseguirebbe imperturbabile sulla sua strada.

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ROBERTO BOLAÑO
I cani romantici

di Alessio Brandolini


I cani romantici è un libro di poesia che raduna 45 testi ed è stato pubblicato dalla casa editrice barcellonese Acantilado nel 2006 (con introduzione di Pere Gimferrer), seguendo l’elaborato rinvenuto nel computer di Bolaño dopo la sua morte, testo che contiene varianti e modifiche alla raccolta pubblicata, con lo stesso titolo, nel 2000.
Poesia che mescola ironia, avventura e patetismo, il tutto arditamente in contraddizione. Poesia che sorprende, provoca e commuove negli aspetti autobiografici, nell’ostinata ricerca – simile in questo al lavoro sui romanzi – di un audace, spesso spericolato tragitto dove l’autore si specchia, riflette, ragiona sulla scrittura e, assieme a se stesso, incrocia (e si scontra) con il mondo e il lettore.Roberto Bolaño è nato nel 1953 a Santiago del Cile ed morto a Barcellona nel 2002. Poco conosciuto come poeta ha avuto un grande successo come narratore. Il suo ultimo romanzo, 2666, è stato pubblicato postumo nel 2004.


LOS PERROS ROMÁNTICOSEn aquel tiempo yo tenía veinte años
y estaba loco.
Había perdido un país
pero había ganado un sueño.
Y si tenía ese sueño
lo demás no importaba.
Ni trabajar ni rezar
ni estudiar en la madrugada
junto a los perros románticos.
Y el sueño vivía en el vacío de mi espíritu.
Una habitación de madera,
en penumbras,
en uno de los pulmones del trópico.
Y a veces me volvía dentro de mí
y visitaba el sueño: estatua eternizada
en pensamientos líquidos,
un gusano blanco retorciéndose
en el amor.
Un amor desbocado.
Un sueño dentro de otro sueño.
Y la pesadilla me decía: crecerás.
Dejarás atrás las imágenes del dolor y del laberinto
y olvidarás.
Pero en aquel tiempo crecer hubiera sido un crimen.
Estoy aquí, dije, con los perros románticos
y aquí me voy a quedar.
I CANI ROMANTICIA quel tempo avevo vent’anni
ed ero pazzo.
Avevo perduto un paese
ma avevo guadagnato un sogno.
E se avevo un sogno
il resto non contava.
Né lavorare né pregare
né studiare di notte
assieme ai cani romantici.
Ed il sogno viveva nel vuoto del mio spirito.
Una casa di legno,
in penombra,
in uno dei polmoni del tropico.
E talvolta tornavo dentro di me
e visitavo il sogno: statua immortalata
in pensieri liquidi,
un verme bianco contorcendosi
nell’amore.
Un amore sboccato.
Un sogno dentro un altro sogno.
E l’incubo mi diceva: crescerai.
Ti lascerai alle spalle le immagini del dolore e del labirinto
e dimenticherai.
Ma a quel tempo crescere sarebbe stato un crimine.
Sono qui, dissi, coi cani romantici
e qui voglio restare.
ERNESTO CARDENAL Y YOIba caminando, sudado y con el pelo pegado
en la cara
cuando vi a Ernesto Cardenal que venía
en dirección contraria
y a modo de saludo le dije:
Padre, en el Reino de lo Cielos
que es el comunismo,
¿tienen un sitio los homosexuales?
Sí, dijo él.
¿Y los masturbadores impenitentes?
¿Los esclavos del sexo?
¿Los bromistas del sexo?
¿Los sadomasoquistas, las putas, los fanáticos
de los enemas,
los que ya no pueden más, los que de verdad
ya no puede más?
Y Cardenal dijo sí.
Y yo levanté la vista
y las nubes parecían
sonrisas de gatos levemente rosadas
y los árboles que pespunteaban la colina
(la colina que hemos de subir)
agitaban las ramas.
Los árboles salvajes, como diciendo
algún día, más temprano que tarde, has de venir
a mis brazos gomosos, a mis brazos sarmentosos,
a mis brazos fríos. Una frialdad vegetal
que te erizará lo pelos.
ERNESTO CARDENAL ED IOCamminavo, sudato e coi capelli incollati
al volto
quando vidi Ernesto Cardenal che veniva
in direzione opposta
e a modo di saluto gli dissi:
Padre, nel Regno dei cieli
che è il comunismo,
c’è posto per gli omosessuali?
Sì, egli disse.
E per i masturbatori impenitenti?
Gli schiavi del sesso?
I burloni del sesso?
I sadomasochisti, le puttane, i fanatici
dei clisteri,
quelli che ormai non possono più, quelli che davvero
ormai non ce la fanno più?
E Cardinal disse sì.
Ed io sollevai lo sguardo
e le nuvole sembravano
sorrisi di gatti lievemente rosati
e gli alberi che punteggiavano la collina,
(la collina che dobbiamo salire)
agitavano i rami.
Gli alberi selvaggi, come dicendo
un giorno, più presto che tardi, devi giungere
alle mie braccia gommose, alle mie braccia sarmentose,
alle mie braccia fredde. Una freddezza vegetale
che ti farà rizzare i peli.
LOS ARTILLEROSEn este poema los artilleros están juntos.
Blancos sus rostros, las manos
entrelazando sus cuerpos o en los bolsillos.
Algunos tienen los ojos cerrados o miran el suelo.
Los otros te consideran.
Ojos que el tiempo ha vaciado. Vuelven
hacia ellos después de este intervalo.
El reencuentro sólo les devuelve
la certidumbre de su unión.
GLI ARTIGLIERIIn questo poema gli artiglieri stanno insieme.
Pallidi i loro visi, le mani
in tasca o intrecciate ai corpi.
Alcuni hanno gli occhi chiusi o guardano a terra.
Gli altri ti esaminano.
Occhi che il tempo ha svuotato. Tornano
verso di loro dopo questo intervallo.
Solo il nuovo incontro gli restituisce
la certezza della loro unione.
LOS DETECTIVES PERDIDOSLos detectives perdidos en la ciudad oscura.
Oí sus gemidos.
Oí sus pasos en el Teatro de la Juventud.
Una voz que avanza como una flecha.
Sombra de cafés y parques
frecuentados en la adolescencia.
Los detectives que observan
sus manos abiertas,
el destino manchado con la propia sangre.
Y tú no puedes ni siquiera recordar
en dónde estuvo la herida,
los rostros que una vez amaste,
la mujer que te salvó la vida.
I DETECTIVE SMARRITII detective smarriti nella città oscura.
Udii i loro gemiti.
Udii i loro passi nel Teatro della gioventù.
Una voce che avanza come una freccia.
Ombra di caffè e parchi
frequentati nell’adolescenza.
I detective che osservano
le loro mani aperte,
il destino macchiato dal proprio sangue.
E tu non puoi nemmeno ricordare
dove si trovava la ferita,
i volti che una volta amasti,
la donna che ti salvò la vita.
DINO CAMPANA REVISA SU BIOGRAFÍA
EN EL PSIQUIÁTRICO DE CASTEL PULCI
Servía para la química, para la química pura.
Pero preferí ser un vagabundo.
Vi el amor de mi madre en las tempestades del planeta.
Vi ojos sin cuerpo, ojos ingrávidos orbitando alrededor de mi lecho.
Decían que no estaba bien de la cabeza.
Tomé trenes y barcos, recorrí la tierra de los justos
en la hora más temprana y con la gente más humilde:
gitanos y feriantes.
Me despertaba temprano o no dormía. En la hora
en que la niebla aún no ha despejado
y los fantasmas guardianes del sueño avisan inútilmente.
Oí los avisos y las alertas pero no supe descifrarlos.
No iban dirigidos a mí sino a los que dormían,
pero no supe descifrarlos.
Palabras ininteligibles, gruñidos, gritos de dolor, lenguas
extranjeras oí adonde quiera que fuese.
Ejercí los oficios más bajos.
Recorrí la Argentina y toda Europa en la hora en que todos
duermen y los fantasmas guardianes del sueño aparecen.
Pero guardaban el sueño de los otros y no supe
descifrar sus mensajes urgentes.
Fragmentos tal vez sí, y por eso visité los manicomios
y las cárceles. Fragmentos,
sílabas quemantes.
No creí en la posteridad, aunque a veces
creí en la Quimera.
Servía para la química, para la química pura.
DINO CAMPANA CONTROLLA L’AUTOBIOGRAFIA
NEL MANICOMIO DI CASTEL PULCI

Ero buono per la chimica, per la chimica pura.
Ma preferii fare il vagabondo.
Vidi l’amore di mia madre nelle bufere del pianeta.
Vidi occhi senza corpo, occhi sospesi orbitando sul mio letto.
Dicevano che non stavo bene di testa.
Presi treni e barche, percorsi la terra dei giusti
di buon mattino e con la gente più umile:
gitani e mercanti.
Mi svegliavo presto o non dormivo. Nell’ora
in cui la nebbia non era ancora svanita
e i fantasmi a guardia del sonno comunicano inutilmente.
Sentivo gli avvisi e gli allarmi ma non ho saputo decifrarli.
Non erano diretti a me bensì a quelli che dormivano,
però non ho saputo decifrarli.
Parole inintelligibili, grugniti, gridi di dolore, lingue
straniere sentivo ovunque andassi.
Esercitai i mestieri più umili.
Percorsi l’Argentina e tutta l’Europa nell’ora in cui tutti
dormono e appaiono i fantasmi a guardia del sonno.
Ma proteggevano il sonno degli altri e non ho saputo
decifrare i loro urgenti messaggi.
Frammenti, forse sì, e per questo visitai i manicomi
e le prigioni. Frammenti,
sillabe brucianti.
Non credevo alla posterità, benché talvolta
credevo alla Chimera.
Ero buono per la chimica, per la chimica pura.
GODZILLA EN MÉXICO

Atiende esto, hijo mío: las bombas caían
sobre la Ciudad de México
pero nadie se daba cuenta.
El aire llevó el veneno a través
de las calles y las ventanas abiertas.
Tú acababas de comer y veías en la tele
los dibujos animados.
Yo leía en la habitación de al lado
cuando supe que íbamos a morir.
Pese al mareo y las náuseas me arrastré
hasta el comedor y te encontré en el suelo.
Nos abrazamos. Me preguntaste qué pasaba
y yo no dije que estábamos en el programa de la muerte
sino que íbamos a iniciar un viaje,
uno más, juntos, y que no tuvieras miedo.
Al marcharse, la muerte ni siquiera
nos cerró los ojos.
¿Qué somos?, me preguntaste una semana o un año después,
¿hormigas, abejas, cifras equivocadas
en la gran sopa podrida del azar?
Somos seres humanos, hijo mío, casi pájaros,
héroes públicos y secretos.
GODZILLA IN MESSICO

Ascolta questo, figlio mio: le bombe cadevano
su Città del Messico
ma nessuno se ne rendeva conto.
L’aria portò il veleno attraverso
le strade e le finestre aperte.
Tu avevi appena mangiato e vedevi alla tele
i cartoni animati.
Stavo leggendo nella stanza accanto
quando seppi che andavamo a morire.
Nonostante il malessere e la nausea strisciai
fino alla sala da pranzo e ti trovai sul pavimento.
Ci abbracciamo. Mi domandasti cosa accadeva
e non dissi che stavamo nel programma funebre
ma che stavamo iniziando un viaggio,
uno nuovo, insieme, e di non avere paura.
Andando via, nemmeno la morte
ci chiuse gli occhi.
Che cosa siamo?, mi domandasti una settimana o un anno dopo,
formiche, api, cifre sbagliate
nella gran zuppa putrefatta del caso?
Siamo esseri umani, figlio mio, quasi uccelli,
eroi pubblici e segreti.
LA SUERTE

Él venía de una semana de trabajo en el campo
en casa de un hijo de puta y era diciembre o enero,
no lo recuerdo, pero hacía frío y al llegar a Barcelona la nieve
comenzó a caer y él tomó el metro y llegó hasta la esquina
de la casa de su amiga y la llamó por teléfono para que
bajara y viera la nieve. Uno noche hermosa, sin duda,
y su amiga lo invitó a tomar café y luego hicieron el amor
y conversaron y mucho después él se quedó dormido y soñó
que llegaba a una casa en el campo y caía la nieve
detrás de la casa, detrás de la montañas, caía la nieve
y él se encontraba atrapado en el valle y llamaba por teléfono
a su amiga y la voz fría (¡fría pero amable!) le decía
que de ese hoyo inmaculado no salía ni el más valiente
a menos que tuviera mucha suerte.
LA FORTUNA

Lui veniva da una settimana di lavoro in campagna
in casa d’un figlio di puttana era dicembre o gennaio,
non lo ricordo, ma faceva freddo e arrivando a Barcellona iniziò
a cadere la neve e lui prese il metro e arrivò fino all’angolo
di casa della sua amica e la chiamò al telefono per dirle di
scendere a vedere la neve. Una bella notte, senza dubbio,
e la sua amica lo invitò a prendere un caffè e dopo fecero l’amore
e conversarono e molto più tardi lui cadde addormentato e sognò
che arrivava a una casa di campagna e scendeva la neve
dietro la casa, dietro le montagne, cadeva la neve
e lui si trovava intrappolato nella valle e telefonava
alla sua amica e una voce fredda (fredda ma gentile!) gli diceva
che da quel buco immacolato non sarebbe uscito neanche il più valoroso
a meno che avesse avuto parecchia fortuna.
LLUVIA

Llueve y tú dices es como si las nubes
lloraran
. Luego te cubres la boca y apresuras
el paso. ¿Como si esas nubes escuálidas lloraran?
Imposible. Pero entonces, ¿de dónde esa rabia,
esa desesperación que no ha de llevar a todos al diablo?
La Naturaleza oculta algunos de sus procedimientos
en el Misterio, su hermanastro. Así esta tarde
que consideras similar a una tarde del fin del mundo
más pronto de lo que crees te parecerá tan sólo
una tarde melancólica, una tarde de soledad perdida
en la memoria: el espejo de la Naturaleza. O bien
la olvidarás. Ni la lluvia, ni el llanto, ni tus pasos
que resuenan en el camino del acantilado importan.
Ahora puedes llorar y dejar que tu imagen se diluya
en los parabrisas de los coches estacionados a lo largo
del Paseo Marítmo. Pero no puedes perderte.
PIOGGIA

Piove e tu dici è come se le nuvole
piangessero
. Poi ti copri la bocca ed affretti
il passo. Come se quelle squallide nuvole piangessero?
Impossibile. Ma allora: da dove questa rabbia,
questa disperazione che ci condurrà tutti al diavolo?
La Natura nasconde alcuni dei suoi processi
nel Mistero, il suo fratellastro. Così questa sera
che consideri simile a una sera da fine del mondo
più presto di quel che credi ti sembrerà soltanto
una sera triste, una sera di solitudine smarrita
nella memoria: lo specchio della Natura. Oppure
la dimenticherai. Né la pioggia, né il pianto, né importano
i tuoi passi che risuonano durante il percorso sulla scogliera.
Ora puoi piangere e lasciare che la tua immagine si disperda
nei parabrezza delle auto ferme lungo
il Paseo Marítmo. Ma non puoi perderti.
LA GRIECA

Vimos a una mujer morena construir el acantilado.
No más de un segundo, como alanceada por el sol. Como
los párpados heridos del dios, el niño premeditado
de nuestra playa infinita. La griega, la griega,
repetían las putas del Mediterráneo, la brisa
Magistral: la que se autodirige, como una falange
de estatuas de mármol, veteadas de sangre y voluntad,
como un plan diabólico y risueño sostenido por el cielo
y por tus ojos. Renegada de las ciudades y de la República.
Cuando crea que todo está perdido a tus ojos me fiaré.
Cuando la derrota compasiva nos convenza de lo inútil
que es seguir luchando, a tus ojos me fiaré.
LA GRECA

Vedemmo una donna bruna costruire la scogliera.
Non più di un secondo, come infilzata dal sole. Come
le palpebre ferite d’un dio, il bambino premeditato
della nostra spiaggia infinita. La greca, la greca,
ripetevano le puttane del Mediterraneo, la brezza
Magistrale: quella che si autodirige, come una falange
di statue di marmo, venate di sangue e volontà,
come un piano diabolico e sorridente sostenuto dal cielo
e dai tuoi occhi. Rinnegata dalle città e dalla Repubblica.
Quando penserò che tutto è perduto ai tuoi occhi mi affiderò.
Quando la pietosa sconfitta ci persuaderà dell’inutilità
di continuare a lottare, ai tuoi occhi io mi affiderò.
SUCIO, MAL VESTITO

En el camino de los perros mi alma encontró
a mi corazón. Destrozado, pero vivo,
sucio, mal vestido y lleno de amor.
En el camino de los perros, allí donde no quiere ir nadie.
Un camino que sólo recorren los poetas
cuando yo no les queda nada por hacer.
¡Pero ya tenía tantas cosas que hacer todavía!
Y sin embargo allí estaba: haciéndome matar
por las hormigas rojas y también
por la hormigas negras, recorriendo las aldeas
vacías: el espanto que se elevaba
hasta tocar las estrellas.
Un chileno educado en México lo puede soportar todo,
pensaba, pero no era verdad.
Por las noches mi corazón lloraba. El río del ser, decían
unos labios afiebrados que luego descubrí eran los míos,
el río del ser, el río del ser, el éxtasis
que se pliega en la ribera de estas aldeas abandonadas.
Sumulistas y teólogos, adivinadores
y salteadores de caminos emergieron
como realidades acuáticas en medio de una realidad metálica.
Sólo la fiebre y la poesía provocan visiones.
Sólo el amor y la memoria.
No estos caminos ni estas llanuras.
No estos laberintos.
Hasta que por fin mi alma encontró a mi corazón.
Estaba enfermo, es cierto, pero estaba vivo.
Soñé con detectives helados en el gran
refrigerador de Los Angeles
en el gran refrigerador de México D.F.
SPORCO, MALVESTITO

Durante il percorso dei cani la mia anima incontrò
il mio cuore. Sconquassato, ma vivo,
sporco, malvestito e pieno d’amore.
Durante il percorso dei cani, lì dove non vuole andare nessuno.
Una strada che percorrono soltanto i poeti
quando a loro non resta ormai nulla da fare.
Però io avevo ancora tante cose da fare!
Eppure lì restavo: facendomi ammazzare
dalle formiche rosse ed anche
dalle formiche nere, percorrendo i villaggi
vuoti: lo spavento che s’innalzava
fino a toccare le stelle.
Un cileno educato in Messico può sopportare di tutto,
pensavo, ma non era affatto così.
Di notte il mio cuore piangeva. Il fiume dell’essere, dicevano
labbra febbricitanti che poi scoprii essere le mie,
il fiume dell’essere, il fiume dell’essere, l’estasi
che si piega sulla riva di questi villaggi abbandonati.
Esperti di logica e teologi, indovini
e rapinatori di percorsi emersero
come realtà acquatiche in mezzo a una realtà metallica.
Solo la febbre e la poesia danno visioni.
Solo l’amore e la memoria.
Non questi percorsi né queste pianure.
Non questi labirinti.
Fin che, finalmente, la mia anima incontrò il mio cuore.
Era malato, certo, però vivo.
Sognai detective congelati nel gran
frigorifero di Los Angeles
nel gran frigorifero di México D.F.

Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolin

http://www.filidaquilone.it/num020brandolini2.html

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