Mosul : una crisi umanitaria in più :“atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.”

Iraq, a Mosul è sempre più difficile e rischioso portare aiuti alla popolazione

Le operazioni umanitarie nella parte ovest della città dove ancora si combatte si stanno rivelando complicate e pericolose: se a est molte famiglie decidevano di rimanere, sulla riva ovest del Tigri i combattimenti continui spingono la gente a fuggire appena possibile. Si parla di 700 mila persone “in stato di necessità”. Gli sfollati vengono portati in 17 campi di raccolta

dal nostro inviato GIAMPAOLO CADALANU

24 marzo 2017

MOSUL (Iraq) – I bambini di Mosul si arrampicano sul camion, si voltano e fanno il segno della vittoria con le dita. Accanto a loro, i genitori si tirano su dal fango con fatica, cercando di non imbrattare le coperte ripiegate in quattro e le immense borse di plastica con le misere ricchezze salvate dalla casa: padelle, una teiera, qualche vestito. L’appuntamento è sulla collina che sovrasta il capoluogo di Ninive: il tempo per un’ultima occhiata alla città e poi le angherie dell’Isis diventano passato, si apre il momento della speranza.

Ma per i fuggiaschi non è facile. Le operazioni umanitarie che riguardano la popolazione della parte ovest si stanno rivelando più difficili: se a est molte famiglie decidevano di rimanere, sulla riva ovest del Tigri i combattimenti continui spingono la popolazione a fuggire appena possibile. L’allarme è delle Nazioni Unite: secondo Lize Grande, coordinatrice delle operazioni umanitarie per l’Iraq, “le agenzie umanitarie sono ormai al limite. E da Mosul ovest potrebbero partire altre 320 mila persone”. Queste si aggiungerebbero ai 180 mila sfollati che hanno già lasciato la zona da metà febbraio a oggi, secondo le stime del governo di Bagdad. “Cibo e medicine non arrivano più, acqua e corrente elettrica sono state tagliate”, denuncia la Grande, “centinaia di migliaia di civili intrappolati sono in terribile pericolo”.

Sono 700 mila le persone in stato di necessità. Fonti dell’Alto commissariato per i rifugiati parlano di 700 mila persone “in stato di necessità”. Gli sfollati vengono portati in 17 campi di raccolta tutto intorno alla città, altri dieci campi sono in preparazione. Ma se dall’inizio delle operazioni, in ottobre, oltre settantamila persone sono già rientrate a casa, il numero complessivo dei fuggitivi arriva a 330 mila. In più, molti escono dalla zona di Mosul in condizioni di salute precarie, se non disperate: secondo Loris De Filippi, di Medici senza frontiere, nelle postazioni di primo soccorso di Msf sono arrivate in un mese 1800 persone in condizioni “da codice rosso”, cioè in pericolo di vita. Di esse, 1500 avevano ferite di guerra, mentre 300 denunciavano problemi più “normali”, cioè fattispecie che in mancanza di terapie diventano facilmente letali, come attacchi cardiaci o parti in arrivo.

L’ostacolo dell’ “equilibrio etnico”. A complicare ulteriormente le cose ci pensa la legislazione irachena voluta dagli americani dopo la caduta di Saddam: per evitare le deportazioni, la legge vuole che l’“equilibrio etnico” fra le regioni sia rispettato. In altre parole, anche chi ha parenti che lo possono ospitare in un’altra regione trova gravi difficoltà a trasferirsi. E questo è un problema ancora più grave se si pensa che alla sofferenza fisica, dopo due anni di vita sotto gli integralisti, si aggiunge spesso il disagio psicologico: “Per 25 mesi queste persone hanno subito un condizionamento ideologico estremo, applicato con il terrore. La normalità va ricostruita, soprattutto per le nuove generazioni”, dice Mustafa Jabbar, coordinatore dell’italiana Focsiv.

I contrasti in famiglia tra chi se ne va e chi resta. Insomma, il sogno di una vita normale, la voglia di farla finita con le guerre, a volte rischia persino di spaccare le famiglie, fra chi vuole andare via e chi vuol restare a tutti i costi. Succede per esempio nel campo di container Ainkawa 2, dentro Erbil, assistiti anche da Focsiv. Qui sono riuniti gli sfollati cristiani dei villaggi attorno a Qaraqosh, un migliaio di famiglie, e qui si sta consumando il piccolo dramma degli Hanoon. Dopo tanti anni di guerre e di minacce ai cristiani, la fuga dalla cittadina, l’occupazione e la devastazione delle case da parte dell’Isis, papà Zuhair ha deciso: vorrebbe portare tutti in Australia, dove la figlia Kathreen si è ben sistemata, è sposata e può studiare all’università. Ma i genitori di mezza età hanno raccolto l’entusiasmo, curiosamente sono i giovani a non volerne sentire. Dice la ventenne Ruha: «L’Iraq è il mio Paese. Voglio restare qui. Magari a Erbil, invece che a Qaraqosh». Proprio nella sua città gli operai del comune, che stanno cominciando a rimettere a posto fra le devastazioni, hanno scoperto due cadaveri. «Non erano della nostra zona, certo. Ma la sicurezza, davvero, per noi non c’è più», conclude papà Zuhair, scuotendo la testa

http://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2017/03/24/news/iraq-161329708/

battaglia di Musul collage,…. e dopo? : nulla da festeggiare …

“atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.” e qualche post

http://www.controappuntoblog.org/2016/12/19/atque-ubi-solitudinem-faciunt-pacem-appellant-e-qualche-post/

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