Il demone di Michail Jur’evič LermontovPDF – Balakirev Tamara

“Il Demone” di M  Michail Lermontov

‘Il Demone” di Lermontov

Strofa XV del poema (prima parte) nella traduzione di Paolo Statuti
con la prefazione di Antonio Sagredo

Pubblico la quindicesima strofa della prima parte de «Il Demone» di Lermontov nella nuova traduzione di Paolo Statuti e la prefazione di Antonio Sagredo che l’accompagna, e ringrazio pubblicamente entrambi. Noi di Poliscritture sappiamo poco di Lermontov, ma la prefazione di Sagredo dà interessanti notizie sull’autore, sul poema stesso, al quale lavorò ossessivamente per quasi un’intera e purtroppo breve vita, e sul rapporto tra Lermontov e il pittore simbolista russo Michail Aleksandrovič Vrubel’ (1856-1910), che dipinse tre quadri per «Il Demone» e molti altri abbozzi. Il mito dell’amore tra il Demone, angelo decaduto bellissimo, e Tamara, una principessa georgiana, è assolutamente romantico per l’accento posto sulla sconfinata e alla fine insuperabile solitudine del protagonista, condannato alla condizione del «ribelle distrutto». Quasi a indicare l’inesauribilità di tale mito, Sagredo sottolinea che lo ritroviamo, oltre che in Lermontov, in vari autori e per tutto l’Ottocento e fino agli inizi del Novecento in alcuni poeti futuristi, specie in Majakovskij. Eppure, a mio parere, la storia non passa invano anche per i miti; e, per approfondire il rapporto complesso tra mito e storia mi piacerebbe confrontare le costanti del primo ma anche le differenze che i vari autori, calati comunque nel loro periodo storico, vi hanno apportato. Sul valore della traduzione di Paolo Statuti e sulla sua capacità di rendere la musicalità del verso di Lermontov per mia incompetenza non sono in grado di pronunciarmi, ma accolgo volentieri l’opinione di Sagredo, che, quasi in risposta ai dubbi dello slavista E. Bazzarelli, il quale – vedi nota 5 – ha scritto: «Tutta la strofa XV è un mirabile esempio di poesia musicale. La traduzione non può rendere la magnifica orchestrazione dei versi», considera pregio maggiore di questa traduzione di Paolo Statuti proprio la musicalità, così presente e ben dosata. [E. A.]

XV

Sulla spensierata famiglia un’amara
Sorte come fulmine è piombata!
Nella sua stanza sul letto si è gettata
E piange a dirotto la povera Tamara;
Le lacrime scorrono a non finire,
E il petto gonfio respira a fatica;
E all’improvviso le sembra di sentire
Un’incantevole voce che le dica:
«Non piangere! Le lacrime sono vane!
Su un cadavere privo di favella
Non cadranno come rugiada vitale:
Esse offuscano soltanto la tua bella
Effige, bruciano le guance vellutate!
Lui ora è lontano e non potrà sapere,
La tua sofferenza non potrà vedere;
La luce celeste ora accarezza
Delle sue pupille lo sguardo infecondo;
Lui ora sente i cori del paradiso…
Che sono i meschini sogni, cosa vale
Il lamento e il pianto di un bel viso
Per un ospite del celestiale mondo?
No, la sorte di una creatura mortale,
Credimi, mio dolce angelo terreno,
Non merita neanche un solo momento
Del tuo pietoso e inutile tormento!

Nello sconfinato oceano dell’aria,
Private di timone e senza vele,
Fluiscono nella nebbia densa e chiara
Le armoniose melodie delle stelle;
Nelle infinite celesti distese
Vanno non lasciando tracce visibili
Lunghe interminabili greggi lanose
Di bianche nuvole irraggiungibili.
Ogni incontro e ogni separazione –
Non suscita in loro né pianto né allegria;
Nel futuro sono senza aspirazione
E del passato non hanno nostalgia.
In questo giorno di dolore, Tamara,
Sono loro che dovresti ricordare;
Sii spensierata come loro, mia cara,
E delle cose terrene non ti curare!

Non appena la notte nel suo manto
Le alte cime del Caucaso avrà rinchiuso,
E il mondo ammaliato dall’incanto
Di un magico detto resterà muto;
Non appena il vento sul dirupo roccioso
Farà vibrare l’erba ormai appassita,
E il piccolo uccello in essa ascoso
Spiccherà il volo felice della vita;
E sotto un giovane ramo di melo,
Bevendo avido la brina del cielo,
Il fiore notturno i suoi petali aprirà;
Appena la dorata luna sorgerà
Dalla cima del monte lenta e silente,
E poi ti guarderà furtivamente, –
Io giungerò in volo e con te resterò;
Sarò tuo ospite fino all’aurora
E sulle tue ciglia di seta preziosa
Sogni lieti e dorati discendere farò…»

Prefazione di Antonio Sagredo a “Il Demone” di Lermontov

La slavista Marzia Dati comincia il suo saggio Traduzione intersemiotica: il Demone (1), così: ” Nella fantasia comune il Demone di M. Lermontov  si sovrappone spesso al Demone di M. Vrubel’  e viceversa. Esiste una vastissima letteratura sui due Demoni, che hanno tormentato a tal punto i due autori tanto da assumerne una dimensione ossessivo–compulsiva. Pertanto il motivo letterario e artistico del Demone varca i confini meramente poetici e pittorici, insinuandosi nell’esistenza dei due autori, fino a diventare per loro incubo e fobia “. (2).

Dunque parafrasa letteralmente A. M. Ripellino, che così recita all’inizio del suo saggio: “Nella nostra fantasia al Maligno di Lermontov si sovrappone il Demone del pittore Vrubel’, che anche lui si torturò tutta la vita ad esprimere, in una serie di schizzi, quadri, acquerelli, l’effige allucinata del tentatore caucasico.”.(3).

Il testo della Dati contiene, bisogna riconoscere, alcuni spunti interessanti, specie quando affronta le varianti pittoriche di Vrubel’,  in relazione alle  otto varianti cui il poeta sottopose il proprio poema.  Inoltre, quella tortura di cui parla sopra Ripellino, si può riassumere nella citazione della studiosa che riporto nella nota. (4).

L’operazione pittorica di Vrubel’ è un vero ricalco del tormento artistico di Lermontov, e possiamo dire che il primo volge in pittura le parole del poeta, dove ad ogni pennellata più o meno correttiva che fa sul quadro corrisponde una correzione o sostituzione di una parola con un’ altra sulla carta. Se il poeta tiene grandemente a rendere il suo poema il più musicale possibile (con la sua fissazione per la precisione dei toni delle parole e dei ritmi, che tenne ben presente pure Anton Rubinstein), possiamo anche affermare che la pennellata del pittore è similare a un colore che diviene suono sulla tela…  ricalcando su questa quella stessa precisione o perfezione che fu cara al poeta. (5).

E allora il pittore è tormentato dalla febbrile operazione pittorica (che lo porterà alla follia), così come il poeta – dal raggiungimento di una perfezione stilistica e poetica da divenire per entrambi monomania, fissazione psicotica. Va detto che a questo debilitante risultato non giunse mai Puškin, che sapeva tenere a freno le ribellioni e le follie dei suoi personaggi: la sua psiche non rischiava,  e perciò la distinzione fra il poeta e il suo personaggio era ben chiara e controllata.

E’ come se Vrubel’ e Lermontov lavorassero all’unisono, battendo sempre lo stesso strumento acustico, in una sorta di gara parallela… ma il primo, perché alla sua operazione artistica potesse corrispondere una validità e una qualità all’altezza del poema, fu necessario compiere questo cammino a ritroso in un tempo romantico, che non era più il suo.

Le varianti di Vrubel’ sembrano inseguire quelle di Lermontov: il primo rivolto al passato, il secondo al futuro; ad un certo punto del tempo e in chi sa quale spazio si sono incontrati e hanno deciso di fare una  gara, una sorta di torneo… infernale. Vrubel’ ha deciso di rendere tangibili in pittura le passioni donando ai colori i suoni delle parole… e dalla parola scelta e poi scartata più volte, al colore scelto e poi scartato più volte, affinché le varianti potessero incrociarsi, stabilire un contatto fra una pallottola e la follia.

Se non fosse morto così giovane, Lermontov, giurerei che non avremmo mai avuto una redazione definitiva: la parola è un demone egualmente anche per Vrubel’ e il colore è il Demone stesso. Erano destinati ambedue ad essere abitanti della finis terrae!

Anche la critica radicale russa della metà ‘800 non poteva sottacere il carattere rivoluzionario implicito ne Il Demone, difatti il critico Vissarion Belinskij scrive: “La rapidità e la varietà dei sentimenti in Lermontov è controllata dall’unità di pensiero; l’agitarsi e la lotta di elementi contrari presto si fondono in un’unica armonia… Ogni sua parola è lui stesso, è tutta la sua natura nella sua profondità e interezza… Dinanzi a tali nature intere, piene, adoro e mi riconcilio con la mia nullità”.(6).

A.M. Ripellino giustamente ci informa che quello del Demone è “…un logoro  motivo letterario  che varca i confini della finzione poetica per insinuarsi nell’esistenza, facendosi monomania, cilicio, inesorabile incubo” (7) , e questo vale prima per il poeta e dopo per il pittore. Ma già in uno studio del 1924 dello slavista Francesco Losini troviamo un’affermazione similare, che dice.” Il tema non è nuovo: nuova ne è la trattazione.” (8)

Il poema è ambientato tra le montagne del Caucaso. La trama quasi da ballata è semplice: inizia con il Demone che vaga sulla terra deluso e afflitto nel suo assoluto isolamento. La sua immortalità e il suo potere illimitato sono diventati un fardello inutile e penoso. Egli vede la bella principessa georgiana Tamara mentre balla durante il banchetto nuziale, e nel deserto della sua anima nasce un sentimento indescrivibile. Il fidanzato di Tamara sta recandosi alla festa, ma il Demone provoca la morte del suo rivale e comincia a corteggiare la fanciulla, provocando in lei una profonda inquietudine e un vago desiderio. Tamara è spaventata dalla visione del Demone e prega il padre di rinchiuderla in un convento. Ma neanche lì trova pace. Il Demone appare nella cella della suora e le confessa il suo ardente sentimento. Tamara vorrebbe respingerlo, ma vede in lui non un demone né un angelo, ma un’anima tormentata e bisognosa di amore. Alla fine cede al suo abbraccio, ma il bacio del Demone la uccide. L’anima della fanciulla viene portata in cielo da un angelo. Il Demone tenta di sbarrare loro la strada, ma l’angelo lo allontana dicendogli che Tamara ha espiato la sua colpa a caro prezzo, che amando perdutamente ha sofferto molto, e quindi ora per lei le porte del Cielo si sono aperte. E il Demone torna di nuovo alla sua infinita solitudine:

E di nuovo egli rimase, superbo,
Solo come prima nell’universo,
Senza speranza alcuna e senza amore!..

Così dunque termina questo poema che scosse e inquietò per generazioni intere il popolo russo. Noi possiamo dire che forse più di Puškin, Lermontov si affrancò dal sentimentale e romantico demonismo di  Byron, poiché seppe davvero scavare con la sua peculiare psiche nei tormenti che agitavano il suo popolo, e infine, ciò che gli importava di più, in se stesso; in maniera estrema; egli fu pure antesignano delle tortuosità mentali che soggiogarono Gogol’ e che poi si realizzarono appieno nei demoni irriducibili di Dostoevskij.

Il simbolismo russo saccheggiò letteralmente le opere di Lermontov: evidentissimi sono, nei sentieri dei poeti del primo e secondo simbolismo russo, i tracciati del Demone lermontoviano. Perfino fra alcuni poeti futuristi, specie Majakovskij,  noi troviamo i demoni: sono i demoni che agitò la Rivoluzione d’Ottobre, a sua volta demonizzata.

Tanti poeti citarono nei loro versi proprio il nome del poeta Lermontov, come p.e. Pasternak e Mandel’štam, Majakovskij, e Ripellino fra quest’ultimo e Lermontov rileva parecchie affinità, come p.e. i continui presagi alla propria morte per una pallottola. (9).

A Maria Alexandrovna Lapukina Lermontov scrisse in una lettera:” Se vi sarà guerra, sarò sempre, ve lo giuro dinnanzi a Dio, tra i primi… meglio morire d’una palla in petto que d’une lente agonie de vieillard” (10). Insomma questo morir di pistola cominciò ad essere un basso continuo da Puškin fino a Majakovskij.

   Ma il Demone di Lermontov è anzitutto l’apoteosi della forza dell’amore, per il quale il Demone è disposto anche a rinnegare se stesso. Il Demone non è una astrattezza, è la psiche di Lermontov che dà alla sua inquietudine una tale concretezza che neppure Puškin riuscì a dare ai suoi personaggi più conflittuali. La sua è la psiche dei personaggi, studiati e riprodotti dalla realtà. Il personaggio di Tamara (su cui il poeta innesta la propria rivolta inquieta senza risolverla) pare che sia realmente esistito, e che sia vissuto fra il 1184 e il 1213. Sappiamo che durante il suo regno la Georgia ebbe un periodo di rinascenza artistica e culturale. E fu anche cantata dal poeta Šota Rustaveli nella sua celebre opera Il cavaliere dalla pelle di leopardo, il poema epico nazionale della Georgia, tradotto in molte lingue.

Con magistrale sintesi Ettore Lo Gatto, fondatore della slavistica italiana, distingue la grandezza di Lèrmontov  da quella di  Puškin. Scrive il celeberrimo  slavista: ”Come  Puškin, Lèrmontov  fu prima di tutto poeta lirico e come Puškin diede il colorito, o il tono che dir si voglia, della liricità o del lirismo, anche a tutte le altre forme di creazione letteraria che affrontò, con una intensità così eccezionale da essere in contrasto con l’insistenza con cui egli lavorò intorno ad alcune opere, come i due poemi Demon (Il demone, 1841) e Mcyri (il novizio, 1839), la cui elaborazione, e specialmente quella del primo, durò parecchi anni. Sia l’ansia di fare, sia la preoccupazione di raggiungere la perfezione, furono conseguenza di uno stesso stato d’animo, in contrasto con la concezione espressa da Puškin nella poesia. Fino a quando Apollo non chiama al sacrificio, il poeta è  tra le insignificanti creature del mondo forse la più insignificante. Lèrmontov sentiva di essere chiamato sempre al “sacrificio”. (11).

Fu più un emulo che un epigono di Puškin, questo è certo, ma un emulo singolarissimo poiché esserlo stato  “non esclude ma non afferma che egli potesse esserne considerato il continuatore… fu la sua una eredità personale più apparente che effettiva”(12)

D’altronde, “fu detto che per creare il suo Demone egli non ebbe che a scrutare se stesso e riprodursi…”(13), ed è inimmaginabile cercare e trovare in Puškin questa caratteristica: Lermontov, poeta estremamente soggettivo, poeta della finis terrae, non  poteva possedere l’armonia puskiniana; la sua nervosità gli era compagna fin dall’infanzia per motivi famigliari noti (il gravissimo dissidio fra suo padre e la nonna materna), acuita anche dal fatto che era affetto da paraplegia, giacché a ”undici anni ancora non erasi raffermato sulle gambe…” (14); da adulto poi cadde da cavallo e questo lo rese un po’ claudicante , come il suo idolo Byron.

Il debole poeta, adolescente, partì con la nonna materna per il Caucaso, e da queste montagne  fu letteralmente soggiogato per tutta la vita. Egli fu come Puškin un prigioniero del Caucaso, che cantò in maniera del tutto diversa da quello, poi che  la descrizione dei paesaggi doveva attraversare dapprima, per essere cantata, i tormenti incessanti della sua mente,  come disse nei versi di “11 giugno 1831” marchiati e “popolati di larve e di sogni misteriosi…”

Le cronache ce lo riferiscono non bello, basso di statura, ma occhi penetranti atti alla provocazione del nemico di turno… differente dal suo Demone quando si presenta a Tamara: alto, bello, muscoloso, affascinante, ma dispotico per natura come questi, insofferente, protervo…  Quando invece il Demone precipita il suo corpo è “disfatto, deforme e si allunga sfinito su un tappeto di piume staccatesi, nella caduta, dalle sue enormi ali;… I suoi grandi occhi smagati ci dicono che egli non è più la fiaccola di ribellione, né viluppo di superbia, ma solo creatura sconfitta, un grumo di angoscia. E lo sfondo di piume Liberty, su cui giace, sembra insinuare che forse egli non è altro che un vuoto ornamento. Un Demone esautorato, un ribelle distrutto; in tale metamorfosi il personaggio precipuo della creazione di Lermontov ci si fa più vicino, più familiare, come un demone qualsiasi che, smessa la tracotanza, esiga il nostro conforto”. (15)

Fu dunque intollerante fino al cinismo coi suoi compagni di scuola e poi da adulto nella scuola militare conservò questi suoi tratti tracotanti; pronto ad offendere con la sua lingua mordace e pure coi suoi schizzi (vere e proprie caricature dei suoi nemici); questa disposizione ad offendere anche in pubblico fu una delle concause che lo condusse ad affrontare il secondo duello che gli fu fatale. Uno dei bersagli preferiti da Lermontov, il mordace linguacciuto, era il borghese, così come lo sarà poi per i futuristi. Pare di vedere il poeta affacciato alla finestra per insultare la folla che a sua volta lo insulta, e  “mentre dal basso lo incalza una turba di borghesucci duellanti. “Tu sei il nostro nemico secolare. Ce ne è già capitato uno simile, un ussaro” gridano contro di lui, riferendosi a Lermontov, e gli sparano addosso con pistole, con schioppi, con brownings da cento passi, da dieci, da due, a bruciapelo” (16).

Così come non trovava requie, se non forse soltanto nel Caucaso, così non poteva essere al suo posto nell’alta società di Pietroburgo, come Puškin nei circoli di corte. Il fratello di Puškin, Lev Sergeevič, amico di Lermontov, fu testimone oculare quella sera di luglio del 1841 delle continue provocazioni mordaci di  Lermontov, sia con le parole che con certi disegni spregiativi, diretti contro un certo Martinov . Una dama sua amica se ne accorse e gli disse in tono risentito: ” Quante volte Le ho detto di finirla con questi scherzi, specialmente in presenza di signore!” Martinov, se ne accorse e per questo poi lo sfidò a duello…. e finì tutto per una banalità.

A più riprese i grandi critici formalisti russi si interessarono di Lermontov, poiché il poeta apportò delle novità nella metrica della poesia russa. P.e.  Boris Tomaševskij scrive:” La rima dattilica, secondo quanto afferma Vostokov nel 1817 era ritenuta lecita, all’epoca solo le composizioni scherzose che talora ci si permette per gioco, ma poco più di vent’anni dopo le esperienze della scuola di Žukovskij, compaiono i versi della Preghiera di Lermontov che iniziano con le parole In un momento arduo della vita, nei quali nessuno avrebbe ravvisato nulla di scherzoso o di umoristico. La rima a calembour, che in Minaev ha la stessa funzione comica, scompare completamente in Majakovskij”(17). Altro aggancio straordinario di Lermontov al poeta futurista!

Mentre Viktor Šklovskij sottolinea un altro aspetto, e scrive: “ E così Tolstoj passava allegramente la vita senza lavorare né studiare. E da noi in Russia, la gente che non sa cosa fare va nel Caucaso. Nel Caucaso ci si andava anche in esilio: Lermontov, Odoevskij, lo stesso Puškin.”(18).

Il poema Il Demone attrasse anche musicisti, come ad esempio Anton Rubinstein (1829-1894) che su libretto di Pavel A. Viskovatov, nel 1875 lo musicò realizzando un’opera lirica in tre atti, dove sono presenti i folclori popolari (i canti) degli armeni e dei georgiani.

Il testo su cui Paolo Statuti ha condotto la sua traduzione è lo stesso adottato da Tommaso Landolfi, di cui il celebre scrittore e slavista scrive:  “La variante del Demone che qui si offre al lettore, risale al principio del 1841: giunto in licenza dal Caucaso a Pietroburgo, Lermontov rielaborò per l’ultima volta il poema. Finché lui fu vivo, Il Demone non venne stampato, ma in copie manoscritte giravano frammenti delle diverse redazioni, sovrapposti a casaccio dai trascrittori. Lermontov iniziò questa sua opera alla Pensione dei nobili, sotto l’influsso del Caino di Byron e di The Loves of the Angels di Thomas Moore, e vi lavorò tutta la vita, stendendone otto redazioni. Le prime cinque (1829, 1830, 1831, ancora 1831, 1833-34) si svolgono su uno sfondo irreale, in una specie di meridione illusorio, mentre le tre ultime (8 settembre 1838, 4 dicembre 1838, 1841) sono ambientate sui monti caucasici. La creatura tentata, che nelle prime varianti è una monaca, diventa infine la principessa georgiana Tamara. Sulle ultime redazioni influirono fortemente alcune leggende caucasiche. Va notato che Lermontov aveva escluso dall’ottava variante, forse per motivi di censura, una parte del dialogo tra il Demone e Tamara (da “Perché mi confidi le tue sofferenze” a “Sarà un bene, perché staremo insieme”), che si incontra per la prima volta nella terza redazione. Gli studiosi sovietici ve l’hanno reinserita, e perciò essa compare anche nella presente versione”. (19).

La traduzione di questo poema a cura di Paolo Statuti è l’ultima in ordine di tempo, e credo sia la più consona al testo originale fra tutte quelle che illustri slavisti, forse non poeti, hanno effettuato. Il traduttore, proprio perché musicista, poeta e pittore, ha compiuto un’impresa non da poco, poiché ha tenuto costantemente presenti le tre arti per ogni verso del poema. Non credo sia stato facile rispettare, in unità di tempo e di spazio, l’uniformità sillabica, il ritmo del verso, i vari significati, la musica interiore, fusa in ogni parola col senso che la sostiene. A mio avviso, la musicalità, così presente e ben dosata, è il pregio maggiore di questa traduzione. Quindi l’impresa mi sembra particolarmente ben riuscita. E’ ovvio, come succede in qualsiasi traduzione, specie di poesia in un’altra lingua, che si possono perdere delle “sensibilità linguistiche”, ma è pur giusto che una traduzione congeniale bisogna riconoscerla all’istante, ed è questa che noi qui leggiamo, riconoscenti al traduttore.

Traduzioni italiane:

Alfredo Giovanelli , Ancona 1883
Domenico Ciampoli,  Nuova Antologia, 1885
Giovanni Bach, Il Demone e altre liriche, Ausonia, Roma 1920
Giovanni Gandolfi, Il demonio e altri poemi, G. Carabba, 1937
Ettore Lo Gatto, Il demone e il novizio, G.C. Sansoni, 1943
Tommaso Landolfi, Liriche e poemi, Einaudi, 1963
Eridano Bazzarelli,  Il Demone, Rizzoli, 1990
Paolo Statuti, Il Demone, Ed. GSE, 2016

NOTE

1)Marzia Dati, Traduzione intersemiotica : Il Demone, libero libro elettronico (ebook n.73) proposto in  formato pdf da  Larecherche.it – Pubblicato nel mese di aprile 2011 sul sito: www.ebook-larecherche.it
2) ibidem,  p. 5.
3)  A. M. Ripellino, Materiali per uno studio sulla poesia di Lermontov (testo è del 1963), in Letteratura come itinerario nel meraviglioso, Einaudi 1968, p. 75. La parafrasi continua: vedi  note (2) e (7).
4) Un suo intimo amico, il pittore Konstantin Korovin, ci racconta che “Vrubel’ cambiava di  continuo la   composizione, non c’era fine alla sua fantasia. Le decorazioni erano di forma  particolare: oggi le ali di un   condor e già verso sera fiori stilizzati di forme e colori inusitati.  All’improvviso, poi, tutto veniva ridipinto    in altre forme e altra composizione”, da una Lettera di  A.A. Vrubel’ dell’ 11 settembre 1886, in  E. P. Gomberg – Verzbinskaja, Ju. N. Podkopaeva, 1976, p. 118, in Traduzione intersemiotica: il Demone, cit. p. 9.
5) Sia l’opera musicale Il Demone di A. G. Rubinstein, sia le continue ripennellature di Vrubel’ furono criticate dagli specialisti di allora. E a proposito del tema musicale lo slavista E. Bazzarelli scrive: “Tutta la strofa XV è un mirabile esempio di poesia musicale. La traduzione non può rendere la magnifica orchestrazione dei versi. Potrebbe leggersi “Il Demone” come una partitura musicale? Il compositore russo Rubinstejn cercò di scrivere l’opera “Il Demone”; molte liriche e poemi di Lermontov trovarono “traduzioni musicali” in opere, romanze e balletti. Il Demone è legato all’aspetto diabolico del violino (cosa che Alessandro Blok intuì magnificamente), il Caucaso è espresso da trombe e tamburi, Tamara dagli strumenti georgiani come la zurnà o il cingàr, o dalle arpe, o dall’aspetto angelico del violino”. Vedi: deviantart.net – Il Demone di Lermontov, p. 27. – Per come abbia realizzato Vrubel’ le parole del demone in quadri, schizzi, ecc. si leggano alcune pagine specifiche del saggio della Dati: Traduzione intersemiotica: il Demone,  op. cit. pp. 17-19 e pp. 30-32.
6)  F. Loisini, Michele Lermontof, editore in Roma A. F. Formiggini, 1924, p.42.
7) A. M. Ripellino, op.cit. p.75.
8)  F.  Losini, op.cit.,  p. 70.
9) A. M. Ripellino,  op.cit. p. 88., dove è scritto   che il poeta : “ Insiste come un’indovina sui presagi della  morte, con la stessa tenacia che Majakovskij rivela nel preannunziare il suicidio”.
10) F. Losini,  op.cit., p.30.
11)  E. Lo Gatto, La letteratura russa moderna, Sansoni 1968, p. 163.
12) ibidem, p. 162.
13) F. Loisini, op.cit. p. 26.
14) ibidem,  p. 17.
15) A.M. Ripellino, , op. cit. p. 92.
16) A.M. Ripellino, Storia di una cimice in: Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia, Einaudi, 1966, p. 169.
17) B. Tomaševskij, La costruzione dell’intreccio, in Teoria della letteratura, Feltrinelli 1978, p. 210.
18) V. Sklovskij, Testimone di un’epoca,   Editori Riuniti, 1979, p. 103.
19) T. Landolfi, Michail Lermontov, Liriche e poemi, Einaudi 1963.

Antonio Sagredo, novembre 2016

http://www.poliscritture.it/2016/11/23/il-demone-di-michail-lermontov/

Michail Lermontov : Pratolini Un eroe del nostro tempo. alcune poesie

http://www.controappuntoblog.org/2014/10/15/michail-lermontov-pratolini-un-eroe-del-nostro-tempo-alcune-poesie/

Milij Alekseevic BALAKIREV – Chopin-Balakirev … – controappunto blog

Balakirev – Piano Concerto No. 1

http://www.controappuntoblog.org/2015/10/19/balakirev-piano-concerto-no-1/

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