I limiti delle chimere uomo-animale by lescienze e www.cellcom

26 gennaio 2017

I limiti delle chimere uomo-animale

Un nuovo organismo ottenuto inserendo cellule staminali umane in una cellula uovo fecondata di maiale ha prodotto una chimera con un limitato “contributo” umano. Il risultato, ottenuto dal Salk Institute, dimostra che le difficoltà di queste ricerche sono maggiori del previsto, ma permette di accantonare temporaneamente le preoccupazioni etiche sulla possibilità di produrre organismi chimerici “troppo umani”(red)

staminali biologia

Un embrione chimerico formato da cellule di maiale e cellule umane è stato ottenuto da un gruppo di ricerca del Salk Institute di Baltimora, nel Maryland, guidato da Izpisua Belmonte e Jun Wu.

Il risultato, pubblicato sulla rivista “Cell”, segue quello analogo di un gruppo dell’Università della Californa a Davis reso noto a giugno dello scorso anno, ma dimostra che il contributo umano all’organismo così realizzato è inferiore al previsto, smorzando gli entusiasmi sulle possibili ricadute terapeutiche di questo tipo di ricerche

Microfotografia della fase di iniezione delle cellule staminali in un embrione di maiale (Credit: Juan Carlos Izpisua Belmonte)

Le chimere, organismi realizzati in laboratorio formati da cellule derivate da esseri umani e da specie animali, potrebbero essere un modello utile per studiare le prime fasi dello sviluppo embrionale e per testare farmaci, o ancora per crescere tessuti e organi per la medicina rigenerativa.

Si tratta di obiettivo estremamente ambizioso, perseguito da istituti di ricerca di tutto il mondo. Uno dei primi successi nel campo degli organismi chimerici fu ottenuto proprio da Belmonte e Wu con ratti e topi, i due ricercatori silenziarono in cellule uovo di topo fecondate uno specifico gene necessario per lo sviluppo di un organo, e introdussero nell’embrione cellule staminali di ratto. Il risultato fu un topo con un tessuto pancreatico di cellule di ratto.

“Le cellule di ratto avevano una copia funzionale del gene di topo mancante, e hanno così potuto fare le veci delle cellule di topo nello sviluppo dell’organo mancante”, ha spiegato Wu.

Il passo successivo è stato introdurre cellule umane in un organismo animale i cui organi fossero simili ai nostri nelle dimensioni. La scelta è caduta prima sui bovini, e infine sui suini, che comportano costi minori.

Le difficoltà si sono dimostrare subito decisamente superiori che nella ricerca precedente, per vari motivi. In primo luogo, esseri umani e maiali sono filogeneticamente molto più distanti tra loro di quanto siano ratti e topi. Inoltre, i suini hanno un tempo di gestazione che è solo un terzo di quello umano, il che ha richiesto un’estrema precisione cronologica per l’introduzione delle cellule staminali umane nel corretto stadio di sviluppo del maiale.

Per superare queste difficoltà, i ricercatori hanno utilizzato vari tipi di cellule staminali umane per verificare quali si comportassero meglio ai fini dello studio: quelle che hanno dimostrato di vivere più a lungo e con le maggior chance di continuare a svilupparsi erano le cellule staminali pluripotenti definite “intermedie”.

“Le cosiddette cellule pluripotenti ‘naïve’ somigliano alle cellule di una precedente fase di maturazione, che hanno un potenziale di sviluppo illimitato, mentre le cellule ‘primed’ hanno uno maturazione maggiore, pur rimanendo pluripotenti”, ha aggiunto Wu. “Le cellule intermedie stanno da qualche parte in mezzo alle due”.

Le cellule staminali umane sono sopravvissute e hanno formato un embrione chimerico uomo/maiale che poi è stato impiantato nell’utero di una scrofa, dove ha seguito uno sviluppo di tre/quattro settimane.

“Si tratta di un tempo abbastanza lungo da permetterci di comprendere in che modo le cellule umane partecipavano allo sviluppo embrionale senza dover affrontare le questioni etiche che vengono sollevate nel caso di animali chimerici più maturi”, ha spiegato Izpisua Belmonte.

Il risultato però è stato deludente: anche usando le migliori cellule staminali umane, il livello di contributo agli embrioni chimerizzati è risultato piuttosto basso, e limitato alla formazione di muscoli e dei precursori degli organi.

Per Belmonte si tratta comunque di una buona notizia, almeno da un certo punto di vista. Una delle maggiori preoccupazioni dei ricercatori è che le chimere possano diventare “troppo umane”, contribuendo per esempio alla formazione del cervello. Le questioni etiche, almeno per il momento, possono essere accantonate.

http://www.lescienze.it/news/2017/01/26/news/embrione_chimerico_maiale_uomo-3397164/


Interspecies Chimerism with Mammalian Pluripotent Stem Cells

http://www.cell.com/cell/fulltext/S0092-8674%2816%2931752-4

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