Joseph Losey “Per il re e per la patria” – “For King and Country” By John Wilson

“Per il re e per la patria” (1964) di Joseph Losey – Mercoledi 19 novembre ore 21.00 a FI Parterre Sala dei Marmi, P. Libertà

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Per il re e per la patria.5

(marino demata) Se la settimana scorsa, parlando di Martin Ritt, abbiamo necessariamente toccato il tema del triste periodo del maccartismo in America, il film di questa settimana, che porta la firma di Joseph Losey, ci obbliga non solo a ritornare sull’argomento, ma a sottolineare come la vicenda umana e la persecuzione di questo grande regista sia stata molto più pesante e penosa. Dopo una gavetta di recitazione in teatro e di giornalismo con accenti innovativi, tornato dal servizio militare mette in scena il Galileo di Brecht con Charles Laughton, contemporaneamente non disdegna di girare alcuni film di breve durata. Alla fine di questo percorso ha la grande opportunità di girare un lungometraggio, “Il ragazzo dai capelli verdi”, vera e propria trasparente metafora sul razzismo e sul rifiuto della diversità nella società americana. Si tratta di un film a carattere marcatamente sociale e politico, a cui fanno seguito altri titoli per lo stesso filone, come “Linciaggio” e “Sciacalli nell’ombra”. La produzione di Losey, il suo modo di affrontare i problemi sociali e politici e le tare della società americana, nonché le sue amicizie negli ambenti della sinistra amerricana non potevano sfuggire al Maccartismo e alla Commissione per le attività antiamericane: Losey si trvava in Italia a girare “imbarco a mezzanotte”, allorchè fu raggiunto da una lettera di convocazione per essere sentito dalla Commissione. Questo evento gli cambiò la vita: sapendo a cosa andava incontro Losey scelse la via dell’esilio volontario, rifiutando per sempre di ritornare in America e stabilendosi in Gran Bretagna. Anche lì gli inizi furono difficili: alcuni attori americano da lui diretti nei primi film avevano paura di essere coinvolti nell’indagine contro il pericolo comunista e Losey fu costretto a girare con un falso nome. Si riproduce quel meccanismo del “prestanome” che Martin Ritt qualche anno dopo rievocherà nel bel film con Woody Allen, “The front” / “Il prestanome”.
Dopo questa fase, la vera svolta nella attività artistica di Joseph Losey è data dall’incontro con Harold Pinter che gli fornisce sceneggiature e storie drammatiche, attraverso le quali Losey riuscirà a dare il meglio di sé e a diventare quel regista di grandi film che conosciamo, primi tra i quali “Il servo” e “Per il re e per la patra”.
Eppure il limite di Losey consisté nel non riuscire a mantenere sempre lo stesso registro e lo stesso stile: spinto anche da necessità economiche si avventura in soggetti poco credibili, soprattutto quando non assistito da Pinter e in opere veramente involute, per non dire molto brutte, quali ad esempio Modesty Blaise (1966) e Steaming (1985), che qualcuno ha definito “due dei peggiori film di tutti i tempi” (Joseph Walton: Losey III) o i due film con la “lunatica” Elizabeth Taylor, Boom! (1968) e Secret Ceremony, che però ha una sua dignità e una sua bellezza.
Le tematiche dominanti di Losey,che gli impedirono di girare sgorie d’amore in senso convenzionale, furono l’instabilità emozionale, la violenza fisica e morale, e il perverso potere sessuale, che emergerà soprattutto in uno dei suoi capolavori, “Il servo” / “The servant”, che affronta il rapporto ambiguo padrone – servo, complicato dal desiderio di Barrett (Dirk Bogarde) di conquistare anche sessualmente il proprio padrone, a fronte del suo odio verso le donne.
In questo quadro, Per il re e per la patria rappresenta uno dei film più belli del regista americano. Qualcuno lo ha paragonato ad Orizzonti di gloria di Kubrick, anche se in verità questo paragone mi sembra eccessivo. Resta però ugualmente una importante pietra miliare nella storia del cinema antimilitarista e contro la guerra. Così come Orizzonti di gloria, non ci sono grandi azioni di guerra, ma la guerra è tuttavia presente in ogni sequenza del film, soprattutto nel freddo cinismo delle gerarchie militari che non esitano a servirsi dei soldati per i loro calcoli o per dare sfogo alle proprie follie.
Tratto dal lavoro teatrale Hamp di John Wilson sceneggiato da Evan Jones, il film si avvale della performance di due grandi attori, Dirk Bogarde e Tom Courtenay, così bravo da meritare il premio a Vezia quale migliore attore. Tutta la vicenda ruota appunto intorno al personaggio interpretato da Courtenay, un soldati volontario ventitreenne Arthur James Hamp, che nel 1917, rischia di finire davanti al plotone di esecuzione per involontaria diserzione, essendosi allontanato dal suo battaglione perché in preda ad uno shock da esplosione.
Caratteristica di questo film è la ricostruzione in studio delle trincee, il che serve a conferire al film un carattere claustrofobico ove gli spazi angusti delle trincee, resi ancora più tali dalla tecnica usata dal regista, servono a dare una impressione di accrescimento del disagio fisico e mentale dei soldati, disagio di cui è innanzitutto vittima Hamp.
Orizzonti di gloria era la storia di tre soldati mandati davanti al plotone di esecuzione per diserzione, sorteggiati o prescelti in base a logiche perverse, a rappresentare ciascuno il proprio battaglione. Questo film si concentra invece su una storia più privata e su un dramma personalissimo.
Attraverso una cupa fotografia in bianco e nero, a rendere ancora più claustrofobiche le atmosfere, Losey, lontanissimo da ogni forma retorica, lancia il suo grido contro la guerra e le sue perversioni, attraverso il personaggio interpretato dall’eccellente Dirk Bogarde, che afferma “tutti abbiamo perso”. Si perché la guerra non produce né vincitori né vinti, ma solo anime irreparabilmente sconfitte e scosse.
Il ritmo serrato che si impone il regista, i movimenti di macchina da presa ben studiati, sono tutti elementi non casuali né di stile esterno alla storia, ma al contrario strettamente funzionali alla ricreazione di quella atmosfera cupa che il film vuole assumere come proprio connotato.
Abbiamo affermato, nelle precedenti schede critiche connesse al ciclo di film che stiamo portando avanti come Rive Gauche-ArteCnema, “Storie di cinema i torno alla grande guerra”, che i conflitti mlitari amplificano i rapporti di classe della società normale, li rendono più violenti ed assoluti, privi di ogni remora e di ogni limite. Ebbene, proprio a proposito di questo film, il grande cirtico George Sadoul, da sempre sostenitore di un cinema collegato ai problemi della società. conferma questo assunto ed esclama: “Rivolto più alla ragione che al sentimento, è forse il miglior film (con Orizzonti di gloria) ispirato alle carneficine della Prima Guerra Mondiale, e in esso non sono mai assenti, dietro i rapporti militari, quelli ‘sociali’ dei tempi ‘normali’.”

https://rivegauche-filmecritica.com/2014/11/16/per-il-re-e-per-la-patria-1964-di-joseph-losey-mercoledi-19-novembre-ore-21-00-a-fi-parterre-sala-dei-marmi-p-liberta/


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