Jeremiah Johnson, Sydney Pollack

La sua montagna. La sua pace. Le sue grandi cacce. La sua giovane sposa. Con tutto ciò sarebbe stato diverso.

Alcuni dicono che è morto….altri dicono che non lo sarà mai”

Liberamente tratto dalla vita di John Johnson, detto Mangiafegato, “Jeremiah Johnson” è una pellicola considerata come cruciale per il cinema western americano. Sydney Pollack riporta la storia di un ex soldato deciso a lasciarsi dietro la civiltà per vivere sulle Montagne Rocciose come cacciatore di pelle, in un mondo che sembra non avere confini troverà un cammino formativo durissimo dettato dall’unione delle leggi senza tempo della natura e di quelle delle popolazioni indiane a cui appartiene la terra calpestata da Jeremiah.

Il cinema essenziale, concreto, di Pollack trova qui una delle sue più vivide realizzazioni grazie anche all’interpretazione magistrale di un Robert Redford al massimo dello splendore artistico. I tempi sono dettati dal lento scorrere delle stagioni, dallo scioglimento delle nevi invernali al caldo sole estivo, la narrazione è fluida, i silenzi prevalgono sugli inutili discorsi; il west è per gente ruda, ai margini della società civile eppure così a contatto con i significati più intimi della vita e della morte. La potenza espressiva del volto, nascosto da una fluente barba, di Redford è un elemento straordinario del film. Pollack dirige il suo attore favorito per la seconda volta dopo “Questa Ragazza E’ Di Tutti”, riesce a fare esaltare tutte le caratteristiche di straniamento e umiltà che porteranno a definire successivamente l’attore americano come l’eroe comune, personaggio travolto dagli eventi e perennemente con un destino in bilico. Infine il rapporto con gli amerindi è osservato sotto un’altra luce, alla violenza della natura umana provata da una vita al limite della sopravvivenza Pollack riporta anche il rapporto intimo di un popolo con la sua terra, le sue credenze. L’indiano non è più visto come un nemico ostile che si oppone alla civilizzazione, è un elemento collocato in una realtà sua da sempre, Jeremiah non porta la sua legge, si adegua alle loro.

Uscito nelle sale nel 1972 in Italia è noto purtroppo con un titolo brutto e fuorviante, “Corvo Rosso Non Avrai Mai Il Mio Scalpo”

https://www.debaser.it/sydney-pollack/jeremiah-johnson/recensione

Recensione “Corvo rosso non avrai il mio scalpo”

a cura di Andrea Olivieri

L’adozione della poetica del testimone e del ‘ciascuno ha le sue ragioni’ (l’atteggiamento mai giudicante), che sembra racchiudere dentro sé tutte le tracce di una ricerca, di una passione, quasi devozione verso un testo, una storia: ‘innamorandosi’ di un personaggio immenso (avventura esistenziale) sospeso tra cielo e terra, quella del cineasta americano è una forma di attaccamento, un sussurro di vita, una semplice questione di cuore, il ritratto. L’incursione vitale come poche altre all’interno di una dimensione assolutamente cinematografica, capace di passare da una fisicità notevole, ad una sorta di assenza quasi astratta di corpo, come a suggerire itinerari di un ‘altrove’ (capacità di mestierante) votato al cinema d’autore.

La sua costante ricerca di innovazione, d’originalità e di una nuova visione delle cose, il suo gusto di contraddire i luoghi comuni e disgregare le regole tradizionali, il lirismo e la tenerezza usati come esorcismo della violenza, avidità e intolleranza: e soprattutto il suo stile aspro, grafico, imprevisto nella scelta delle inquadrature, nel movimento dei piani e nei contrasti delle luci, corrispondono a quello che probabilmente è il tema più sentito e ricorrente nel suo lavoro; un forte senso del tempo che scorre.

“Corvo rosso” è un cinema/simbolo di un ritorno alla natura fatto di sangue e fatica, di amore e dolore, capace di custodire il passato, mettersi in relazione con la memoria, a partire dai propri corpi, soprattutto dagli occhi, e poi da fotografie e frammenti ideologici di straordinaria coerenza estetica e strutturale. Un cinema di altri tempi, dove riecheggiano le influenze di quei maestri che ne hanno segnato il cammino e dove la realtà delle immagini si rivela poco a poco e solo in una minima parte, mentre il resto rimane intatto come un universo ancora da scoprire.

http://www.cinemadelsilenzio.it/index.php?mod=film&id=5612

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