Don Carlos, Infant von Spanien von Friedrich … – Projekt Gutenberg
Temi politici nel «Don Carlos» da Schiller a Verdi, «Studi pucciniani»
Poiché la derivazione del libretto dall’omonimo dramma di Schiller ha un’importanza fondamentale nel determinare tale aspetto dell’opera, reputo necessario iniziare con qualche cenno sul contesto ideologico e storico-politico dell’illustre fonte.
Uno dei capisaldi del rapporto tra politica ed etica nella concezione schilleriana della filosofia della storia è ben compendiato in un pas- so che si legge all’inizio del saggio Sul sublime , scritto verosimilmente tra il 1794 e il 1796, e pubblicato nel 1801:
Il tratto distintivo dell’umanità è la volontà, e la ragione stessa non è altro che
l’eterna regola […]. Appunto per questo non esiste nulla di più indegno per l’uomo che il subire violenza, giacché la violenza lo annienta. Chi usa violenza ci contende la nostra stessa umanità; chi la subisce vilmente abdica alla propria umanità. Questa pretesa di assoluta liberazione da tutto ciò che è violenza sembra tuttavia presupporre un essere dotato di una potenza tale da respingere ogni altra potenza. E se una simile pretesa è propria di un essere che non occupa nel regno delle forze la posizione più alta, ne consegue un’infelice contraddizione tra il suo istinto e le sue facoltà.
Questa è la condizione in cui si trova l’uomo. Circondato da infinite forze che gli sono tutte superiori, e che agiscono da dominatrici, l’uomo, in virtù della sua natura, reclama il diritto a non subire violenza alcuna. Dunque, per Schiller l’uomo si trova irretito in una dolorosa contraddizione e la sua aspirazione al volere eticamente determinato, che è l’essenza più profonda della libertà umana, trova infiniti ostacoli sia nelle forze ostili della natura, sia nell’agire degli stessi individui. La concezione di stampo illuministico delle vicende storiche elaborata dal pensatore tedesco, all’interno della congerie di fatti ap-parentemente irrelati degli accadimenti collettivi, ricerca una legge unitaria di sviluppo che sia riconducibile alla concezione complessiva della razionalità umana, pensata come struttura che evolve verso un difficile, ma inarrestabile progresso. La storia si configura quindi come «storia universale», intesa come processo di sviluppo dell’essere umano che teleologicamente conduce all’affermarsi della ragione e all’emancipazione dalla tirannia, come Schiller stesso chiarì nella prolusione letta nel 1789 per l’inaugurazione della propria attività di docente di storia all’Università di Jena e signifi-cativamente intitolata Was heisst und zu welchem Ende studiert manUniversalgeschichte? Tale sviluppo, alla fine del XVIII secolo, implicava per il poeta un passaggio obbligato che sottraesse l’uomo a quella che egli considerava la barbarie dell’assolutismo monarchico, e lo proiettasse verso la libertà, intesa come realizzazione della suprema istanza umana di «poter liberamente volere». Solo quando l’imperativo etico viene posto a fondamento di un nuovo orizzonte politico è possibile, secondo Schiller, che la libertà divenga anche l’aspirazione fondamentale di un esercizio del potere che abbia per fine la tutela dell’essenza stessa dell’uomo, la sua possibilità di vivere ed agire nell’ambito di una legge morale che sia individuale e collettiva ad un tempo. Questo nuovo orizzonte – che avrebbe dovuto por fine al dominio del governo ancien régime , fonte di coercizione e oppressione dell’individuo – era identificato dal drammaturgo tedesco con la forma ideologica del liberalismo borghese moderato di stampo illuministico.
La concezione schilleriana della storia e della prassi politica tro-vò una sorta di concretizzazione ideale e per molti versi unitaria nei suoi grandi drammi storici, che si configurano così come ‘drammi di idee’ per eccellenza. In essi, però, la riflessione teorica e la coerenza ideologica che ne alimentano la creazione si sposano ad un’acuta sensibilità per l’effetto teatrale, capace di inverare le idee in situazioni e personaggi che determinano nello spettatore «un’attesa carica di passione e di tensione», come lo stesso poeta dichiarava in
un passo della nota lettera inviata a Goethe il 26 ottobre 1796.
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