LUCIO ANNEO SENECA: DE CLEMENTIA – de brevitate vitae pdf + altro di Seneca e Mozart

Conditum, immo constrictum apud me ferrum est,

summa parsimonia etiam vilissimi sanguinis;

nemo non, cui alia desunt, hominis nomine apud me gratiosus est.

Severitatem abditam, at clementiam in procinctu habeo; sic me custodio, tamquam legibus, quas ex situ ac tenebris in lucem evocavi, rationem redditurus sim.

Alterius aetate prima motus sum, alterius ultima;

alium dignitati donavi, alium humilitati;

quotiens nullam inveneram misericordiae causam, mihi  peperci.

Hodie dis immortalibus, si a me rationem repetant,

adnumerare genus humanum paratus sum

LUCIO ANNEO SENECA: DE CLEMENTIA

LUCIO ANNEO SENECA: DE CLEMENTIA (testo integrale)

LUCIO ANNEO SENECA: DE CLEMENTIA (testo integrale

de brevitate vitae – Traduzioni integrali di Luigi Chios

Proemio

[4]Tengo nascosta la severità e sempre pronta, invece, la clemenza; sorveglio me stesso, come se dovessi poi render conto alle Leggi, che ho richiamato dalla dimenticanza e dalle tenebre alla luce. Prima mi sono commosso per la tenera età di uno, poi per l’anzianità dell’altro; ad uno ho perdonato per la sua dignità, ad un altro per la sua umiltà; ogni volta che non ho trovato una ragione di misericordia, ho risparmiato per me stesso. Oggi sono pronto, se gli dèi mi chiedono il conto, ad enumerare tutto il genere umano”.

[5]Tu puoi, Cesare, proclamare audacemente che tutto ciò che <è stato posto sotto> la tua protezione e la tua tutela è pienamente <al sicuro> e che da parte tua non si sta <preparando> alcun male, né per via violenta né di nascosto, allarepubblica. Tu hai bramato una lode rarissima e che finora non è stata concessa ad alcun principe: l’innocenza da colpe. Questa tua bontà singolare non spreca fatica e non trova uomini ingrati e malignamente avari della propria stima. Ti si è grati: nessun singolo uomo fu mai tanto caro quanto lo sei tu al popolo romano,per il quale sei un bene grande e durevole.

[6]Ma ti sei imposto un peso enorme; nessuno, infatti, parla più del divo Augusto né dei primi tempi di Tiberio Cesare, e nessuno cerca al di fuori di te un modello da presentarti perché tu lo imiti: si pretende che il tuo principato sia conforme a questo assaggio che ne hai dato. Questo sarebbe stato difficile, se questa tua bontà non fosse in te naturale, ma come presa in prestito per un certo tempo: nessuno, infatti, può indossare a lungo una maschera. Le cose simulate ricadono presto nella loro natura; quelle sotto le quali c’è la verità e che, per così dire, nascono da qualcosa di sostanzioso, col tempo si accrescono e migliorano.

[7]Il popolo romano correva un gran rischio, poiché era incerto in che direzione si sarebbe orientata la tua nobile indole: ora i voti pubblici sono al sicuro, poiché non c’è pericolo che tu sia colto da un’improvvisa dimenticanza di te stesso. L’eccessiva prosperità rende certuni insaziabili, e le brame non sono mai tanto temperate da cessare una volta raggiunto ciò cui si mirava: gradualmente si passa dal grande all’ancora più grande, e una volta ottenute cose insperate, si abbracciano speranze smisurate. Oggi, tuttavia, tutti i tuoi concittadini confessano apertamente che sono felici e che a questi beni non si potrebbe aggiungere nulla, purché siano duraturi.

[8]Molte cose li costringono a questa confessione, la più tardiva che gli uomini di solito fanno: una profonda e piena sicurezza, un diritto posto al di sopra di ogni violazione; l’avere sempre presente una forma di governo graditissima alla quale non manca nulla, tranne la possibilità di essere distrutta, per godere diuna libertà assoluta.

[9]Tuttavia, quella che ha destato uguale ammirazione nei più grandi così come nei più umili è la tua clemenza; gli altri beni, infatti, ciascuno li sente o se li aspetta maggiori o minori in proporzione alla sua condizione personale; dalla clemenza, invece, tutti sperano lo stesso; e non c’è nessuno che si compiaccia tanto della sua innocenza da non rallegrarsi poi di stare al cospetto della Clemenza, indulgente di fronte agli errori umani.

Parte seconda

1. Definizione della clemenza

[1]E perché non ci inganni il magnifico nome di clemenza, e non ci conduca

all’estremo opposto, esaminiamo che cosa sia la clemenza, che natura abbia e quali siano i suoi limiti. La clemenza è la moderazione dell’animo nell’uso del suo potere di punire; oppure è mitezza di un superiore nei confronti di un inferiore nell’assegnargli una pena. È più sicuro proporre più definizioni, perché non succeda che una sola definizione non sia sufficiente a comprendere la cosa e, per così dire, sia condannata per un vizio di forma; perciò, può essere definita anche un’inclinazione dell’animo alla mitezza nell’infliggere una pena.

[2]Incontrerà dei contraddittori quest’altra definizione, benché sia quella che più si avvicina al vero, cioè quella in cui affermiamo che la clemenza è la moderazione che rimette entro una certa misura la pena meritata e dovuta; si obietterà che nessuna virtù fa a qualcuno meno di quanto gli sia dovuto. Eppure, tutti capiscono che questo è la clemenza, che si arresta prima di arrivare a quel grado di punizione che avrebbe potuto a buon diritto essere fissato.

2. La crudeltà è contraria alla clemenza

[1] Gli ignoranti reputano contraria alla clemenza la severità; ma nessuna virtù è contraria ad una virtù. Che cos’è, dunque, ciò che si oppone alla clemenza? La crudeltà, la quale non è altro che la ferocia dell’animo nell’imporre le pene. “Ma certi”, si dirà, “non impongono pene, eppure sono crudeli, come quelli che uccidono uomini che non conoscono e che hanno incontrato per caso, non per trarne un guadagno, ma semplicemente per il gusto di ucciderli, e, non contenti di ammazzare, si accaniscono sulle loro vittime, come quel famoso Busiride, e Procruste, o i pirati, che frustano i prigionieri e li gettano vivi nel fuoco”.

[2]Questa è certamente crudeltà; ma, poiché non persegue una vendetta (infatti, non ha ricevuto offesa), né se la prende con la colpa commessa da qualcuno (infatti, prima non c’è stato alcun delitto), essa non rientra nella nostra definizione: la nostra definizione, infatti, aveva come contenuto l’intemperanza dell’animo nell’imporre le pene. Possiamo dire che questa non è crudeltà, ma ferocia, che prova piacere nel far soffrire; possiamo chiamarla follia, poiché le sue specie sono varie, ma nessuna di esse è più chiara di quella che giunge a massacrare e straziare gli uomini.LUCIO ANNEO SENECA: DE CLEMENTIA




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