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La migrazione di un nome: Maylis de Kerangal e Lampedusa

di pubblicato martedì, 2 agosto 2016 · 1 Commento

Questo pezzo è uscito sul Venerdì, che ringraziamo. La traduzione dal francese è di Andrea Melis (fonte immagine).

Le parole sono un fenomeno complesso. Circolano nello spazio sociale, generando tanto comprensione quanto equivoci; capita a volte che, inutilizzate, spariscano, così come può anche accadere che un uso eccessivo sottragga loro significato riducendole a vaghi significanti.

È spesso la sorte delle parole veicolate dalla cronaca giornalistica, ed è quello che rischia di accadere – o che forse è già accaduto – alla parola Lampedusa. «Il mio obiettivo», dice Maylis de Kerangal, «è stato estrarre questa parola dallo storytelling mediatico per rimetterla in circolo in una materia più linguistica e culturale: la materia della letteratura».

In Lampedusa (Feltrinelli, traduzione di Maria Baiocchi con Daniela De Lorenzo), all’inflazione che svuota di senso un termine de Kerangal oppone il bisogno di distinguere e identificare, una risignificazione tramite cui riappropriarsi di un nome. «Volevo che gli strati che ricoprono quel toponimo fino a renderlo opaco, dunque tutte quelle incrostazioni di senso che ci impediscono di percepire Lampedusa nella sua traumaticità, si sbriciolassero».

Per riconsegnare Lampedusa a un ascolto autentico, la scrittrice francese – che con Nascita di un ponte ha vinto, tra gli altri, il Prix Médicis e con Riparare i viventi il Grand prix RTL-Lire – da un lato procede in modo cauto e meticoloso, usando la lingua come il martelletto dell’archeologo che sonda, misura, esplora, e dall’altro sceglie di non compiere un percorso lineare ma di muoversi a zigzag, girovagando intorno alla parola, allontanandosene, riaccostandola, così facendo di Lampedusa l’oggetto di una rêverie.

Se il punto di partenza è la notte del 3 ottobre 2013, quando una donna, nella cucina della sua casa a Parigi, ascolta alla radio la notizia dell’affondamento nel Mediterraneo di un barcone proveniente dalla Libia e della morte di oltre trecento persone, lo sviluppo è appunto digressivo e analogico: raccontando di Burt Lancaster interprete del Gattopardo e di The Swimmer, di Bruce Chatwin e delle songlines, di Stromboli e della Siberia, de Kerangal ha chiarissimo un punto che, se in questo suo libro è fondativo, descrive al contempo una più generale idea di scrittura: «Pensare è pensare ad altro, e questo per me è il senso e il lavoro della letteratura».

E ugualmente, vagabondando attraverso una notte in cui ricordi e immaginazioni si fanno indistinguibili, questa personalissima archeologia di un nome arriva a un vero e proprio approdo, vale a dire al momento in cui la cosa Lampedusa si rivela nitidissima come «uno stato del mondo», tanto spazio fisico quanto condizione, un modo specifico dell’esistenza: «Lampedusa è una sineddoche, una parte che sintetizza il tutto, tragedia politica così come un insieme di prassi di accoglienza – quelle messe in atto dagli abitanti dell’isola – profondamente umane. Per queste ragioni ho voluto raccontare la migrazione di un nome; perché Lampedusa è la metafora del mondo contemporaneo, una parola che è necessario restituire a se stessi».

http://www.minimaetmoralia.it/wp/la-migrazione-di-un-nome-maylis-de-kerangal-e-lampedusa/


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