Violent Rabbit Illustrations Found in the Margins of Medieval Manuscriptsby Kate Sierzputowski on May 31, 2016
The typical depiction of a rabbit, especially when used in Medieval art and literature, is an image of purity and innocence—a harmless puff of cuddly cuteness. Another common association with the rabbit is that of fertility, a sensical comparison when one is aware of the speed at which the species copulates. In some medieval illuminated manuscripts however, the illustration of a rabbit turns from harmless to violent, with several examples showcasing the formerly innocent creature in the act of decapitation and other sword-wielding wrongdoings.
A way to analyze these drolleries, or medieval margin illustrations, is to think about the violent role reversals as humorous symbolism. Because these animals were so low on the totem pole of fear, it was quite amusing to the medieval illustrator to draw them enacting a revenge—silly animals on the opposite side of the slaughtering. This was also a way for the artist to show the stupidity of the human who was the object of the rabbits’ anger, one who was foolish enough to be bludgeoned by bunny.
If all of this is hitting a little too close to Monty Python and the Holy Grail for you, read this comparison by Sexy Codicology between the historical illustrations and the film. Oh, and of course watch the killer bunny scene to see a modern day take on these vengeful rabbits. (via Jon Kaneko-James and Neatorama)
Images via Dangerous Minds
BL. Add. 49622 f. 149v. (via Sexy Codicology)
Harvey regia di Henry Koster
recensione di Tomas Bonazzo
Giovane uomo di bell’aspetto, elegante nel portamento e cortese nei modi, Elwood P. Dowd, viene costretto dalla sorella Veta e dalla nipote zitella Myrthie a ricoverarsi in una clinica per malattie mentali. Il motivo dell’internamento? Il gentile Elwood vede ed interloquisce con un Puka, un coniglio alto quasi due metri, malizioso e un po’ beone.
La positiva pièce teatrale di Mary Chase (1944) viene realizzata per il grande schermo dal tedesco Henry Koster con un colorito gruppo di attori in cui spiccano il generale James Stewart (Elwood P. Dowd) e Josephine Hull (Veta Simmons) vincitrice, per l’occasione, agli Acadamy Awards come migliore attrice. La commedia degli equivoci o, meglio, degli inseguimenti -per quasi 100 minuti si cerca o insegue qualcuno o qualcosa- è un inno all’amore in tutte le sue forme. Il personaggio chiave attorno a cui ruota la narrazione parrebbe Harvey, coniglio parlante e invisibile, ma di percettibile presenza, invece è il filosofo bonario e suo amico di bevute, magistralmente interpretato da Stewart. Harvey è probabilmente il MacGuffin della vicenda, è l’espediente che innesca il sofisticato gioco di relazioni tra i diversi personaggi, uomini e donne soli. Poco importa se il coniglio è reale o si nasconde nella mente del matto Elwood, ciò che importa è la lezione che si impartisce già dalle prime battute: un postino, fuori dal cortile di casa, afferma banalmente: “Ma che bella gionata!”, ed Elwood: “Be’…non v’è giorno che non lo sia”. In un periodo in cui, nel panorama cinematografico, fioccano pellicole sui supereroi, dotati dei più colorati superpoteri, Elwood possiede -badate bene, tutti ne abbiamo le premesse- l’arma più potente: il dialogo. Parla e si confronta con chiunque, non possiede pregiudizi; diversamente dalla sorella, costretta dalle catene mentali di una società bigotta, dagli obblighi, dalle etichette e dallo spettegolare in genere. Luogo prediletto per il confronto è il bar Charlie, piccolo e accogliente, ma, parimenti, potrebbe esserlo qualunque luogo caldo ed ospitale in cui ci si può rapportare con l’altro senza paramenti o schermature varie; perché, come spiega Elwood ad una giovane coppia, tutti, attorno ad un tavolino, sorseggiando qualche Martini, iniziano a raccontare per ore e ore “delle immense, orribili cose che hanno fatto e delle immense, belle cose che faranno…tutto è immenso perché nessun uomo porta mai niente di piccolo in un bar”. Le persone col matto si aprono perché è lui che crea i presupposti, che dispone le basi per un rapporto, forse non durevole, essendo questi dei perfetti sconosciuti, ma è, comunque, un rapporto vero. Ed ecco che i passeggeri, come cantava Iggy Pop, che sono arrivati, se ne vanno, senza più farsi rivedere, ma con il sorriso. La deliziosa sceneggiatura della Chase offre diversi spunti interessanti a seconda di chi o come la si guarda ma, con il permesso o, meglio, l’invito dello stesso Elwood a citarlo, concludiamo con questo monito: “in questo mondo devi essere o molto astuto o molto amabile. Io preferivo l’astuzia ma consiglio l’amabilità”.
http://www.storiadeifilm.it/commedia/commedia/henry_koster-harvey(universal_international-1950).html