Dürrenmatt Il Giudice e Il Suo Boia pdf Ita, Deutsch, Die Panne .pdf e films

 

Il protagonista è il vecchio ispettore Barlach, incaricato, insieme con il giovane agente Tschanz, di indagare sull’assassinio del tenente della polizia di Berna, Schmied. La scena si svolge intorno alla villa, nei pressi del lago di Bienne, di un avventuriero altolocato, Gastmann, che si vale di amicizie politiche influenti, tanto da indurre un consigliere nazionale e un giudice istruttore a sviare Barlach dai suoi propositi di giustizia. Fra Barlach e Gastmann esiste un legame antico, fin da quando Gastmann, a Istanbul, ha commesso un delitto sotto gli occhi di Barlach e lo ha sfidato a un duello che dura da tutta la vita. Ma l’ispettore, anche se vecchio e malato, prima di morire tesse con astuzia una rete che costringe un carnefice a eseguire una sentenza di morte che egli stesso ha decretato.

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“Bärlachnon si era aspettato quell’incontro, quell ’animale enorme, e ora era come paralizzato. Continuava  a ragionare freddamente, ma aveva dimenticato la necessità di agire. Guardava l’animale senza paura ma come affascinato. Così il male l’aveva sempre ripreso nel suo cerchio, il grande enigma, una fascinosa tentazione di risolverlo” .

“‘Che io sia qualcosa come un delinquente non posso negarlo – ammise  infine  [Gastmann] –. Io  diventai un ottimo delinquente e tu un ottimo poliziotto: tuttavia, quel piccolo vantaggio che avevo su di te non sei mai riuscito a recuperarlo. Sempre riapparivo nella tua esistenza come uno spettro grigio, sempre mi trascinava il desiderio di commettere, per così dire, sotto il tuo naso, delitti sempre più audaci, sempre più feroci, sempre più sacrileghi, e tu non sei mai stato in grado di provarli. I cretini sei riuscito a vincerli, ma io ho vinto te’. Poi, osservando attento e come  divertito il Vecchio, riprese: ‘ Così abbiamo vissuto.  Tu  la tua vita, sotto i tuoi  superiori, nei tuoi distretti di polizia, nei tuoi uffici ammuffiti, hai salito quieto quieto, gradino per gradino la scala dei tuoi piccoli successi, ti sei occupato di  ladruncoli e di  imbroglioni, poveri gonzi che non hanno mai capito un’acca della  vita; quando andava bene, di qualche miserabile assassino; io invece, ora nell’oscurità, nel folto di città perdute, ora nella luce di posizioni splendide, colmo di  onori; mi sono divertito a fare il bene quando ne avevo voglia e tornavo a fare il male quando mi saltava in testa.

Uno  spasso avventuroso! Tu cercavi di distruggere la mia vita ed io mi sono divertito a viverla tuo malgrado’

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Der Richter und sein Henker – Schulen Frauenfeld

 

Der Hund – Der Tunnel – Die Panne .pdf

IL CANE.

Un racconto.

Fin dai primi giorni del mio arrivo in città notai sulla piccola piazza davanti

al municipio alcune persone radunarsi attorno a uno straccione che leggeva ad

alta voce brani dalla Bibbia. Soltanto in seguito feci caso al cane che aveva

con sé e che stava disteso ai suoi piedi, stupito che un animale così enorme e

spaventoso non avesse richiamato subito la mia attenzione, nerissimo com’era di colore, con il pelo liscio e coperto di bava. Aveva occhi d’un giallo sulfureo e

quando apriva le fauci gigantesche notavo con orrore denti dello stesso colore,

per il suo aspetto non sapevo paragonarlo ad alcuno degli esseri viventi. Non

sopportando più a lungo la visione di quell’animale imponente, tornai a volgere

lo sguardo sul predicatore, di corporatura tarchiata, con abiti che gli

pendevano a brandelli dal corpo: eppure la pelle che traspariva fra gli strappi

era pulita, come del resto era d’un lindore estremo anche l’abito cencioso. La

Bibbia invece aveva l’aria di essere preziosa, oro e diamanti scintillavano

sulla rilegatura. La voce dell’uomo era calma e ferma. Le sue parole spiccavano

per straordinaria chiarezza, il suo dire aveva un effetto semplice e sicuro, e

notai che non ricorreva mai a metafore. Era una spiegazione piana e non fanatica

quella che dava della Bibbia, e se poi le sue parole non risultavano

convincenti, questo dipendeva solo dalla presenza del cane, disteso immobile ai

suoi piedi a osservare gli ascoltatori coi suoi occhi gialli. Inizialmente fu lo

strano legame fra predicatore e animale che mi avvinse e m’indusse a continuare

a tornare a cercare quell’uomo. Predicava ogni giorno sulle piazze e nelle

strade della città, ma non era facile rintracciarlo benché svolgesse la sua

attività fino a notte inoltrata, perché la città, pur disposta in modo chiaro e

semplice, era disorientante. Doveva anche uscire di casa in orari diversi e non

svolgere mai la sua attività in base a un progetto preciso, perché non c’era

verso di cogliere una regola in quel suo apparire. A volte parlava

ininterrottamente per tutto un giorno sulla stessa piazza, a volte cambiava

posto ogni quarto d’ora. Era sempre accompagnato dal cane, che gli camminava al

fianco quando andava per le strade, nero e gigantesco, e poi si sdraiava

pesantemente a terra quando l’uomo cominciava a predicare. Non aveva mai molti

ascoltatori, anzi molte volte era solo, ma potei anche osservare che questo non

lo turbava, né lo induceva ad abbandonare il posto o a smettere di parlare. Lo

vidi spesso sostare immobile in mezzo a un vicoletto e pregare ad alta voce,

mentre non distante da lui la gente passava senza badargli per una strada più

larga. Visto che non riuscivo a trovare un sistema certo per incontrarlo, e

dovevo sempre affidarmi al caso, cercai a questo punto di rintracciarne

l’abitazione, ma nessuno fu in grado di darmi informazioni. Una volta lo seguii

per un’intera giornata, ma dovetti ricominciare per più giorni perché la sera

continuavo a perderlo di vista, dato che cercavo di tenermi nascosto perché non

scoprisse le mie intenzioni. Alla fine, una sera sul tardi, lo vidi entrare

nella casa d’una strada in cui – come sapevo bene – abitava solo la gente più

ricca della città, e questo mi stupì davvero. Da quel momento mutai il mio

comportamento nei suoi confronti, rinunciando a tenermi nascosto, per

soffermarmi invece sempre vicinissimo, in modo da farmi notare: ma lui non ne fu

turbato, solo il cane ringhiava ogni volta che mi avvicinavo. Passarono così

parecchie settimane, e fu sul finire d’una d’estate che, conclusa la spiegazione

del Vangelo di Giovanni, mi si avvicinò e mi pregò di accompagnarlo a casa; non

disse più una parola mentre camminavamo per strada, e quando entrammo in casa

era già buio e nella grande stanza in cui fui condotto ardeva un lume.

L’ambiente era disposto a un livello più basso della strada, e dalla porta

dovemmo scendere alcuni gradini, non si vedevano le pareti, interamente nascoste

dai libri. Sotto la lampada c’era un grande e semplice tavolo di legno d’abete,

al quale era seduta una ragazza che leggeva. Indossava un abito blu. Non si

voltò quando entrammo. Sotto una delle due finestre della cantina, chiuse da

tende, era steso un materasso, e a ridosso della parete opposta un letto, e

accanto al tavolo due sedie. Accanto alla porta c’era una stufa. Quando poi ci

facemmo incontro alla ragazza, questa si girò e così potei guardarla in faccia.

Mi porse la mano e m’indicò una sedia, e mentre lo faceva notai che l’uomo si

era già disteso sul materasso, e il cane ai suoi piedi.

«Quello è mio padre,» disse la ragazza, «dorme già e non sente quello che

diciamo; il grande cane nero non ha nome, è venuto qui semplicemente da noi una

sera, ai tempi in cui mio padre cominciava a predicare. Non avevamo chiuso la

porta a chiave e così poté abbassare la maniglia con le zampe e balzare dentro.»

Stavo come stordito davanti alla ragazza, e chiesi a bassa voce del passato di

suo padre. «Era un uomo ricco, proprietario di molte fabbriche,» disse, e

abbassò gli occhi. «Lasciò mia madre e i miei fratelli per predicare la verità

agli uomini.» «Tu ci credi che sia la verità quella che tuo padre predica?»

domandai. «E’ la verità,» disse la ragazza. «Io ho sempre saputo che è la

verità, e così l’ho seguito in questa cantina e abito qui con lui. Però non

sapevo che predicare la verità comportasse la venuta del cane.» La ragazza

tacque e mi guardò come per chiedermi qualcosa e non osasse. «E allora caccialo

via quel cane,» risposi, ma la ragazza scosse la testa. «Non ha nome, e quindi

non se ne andrebbe,» disse piano. Vide la mia titubanza e si sedette su una

delle due sedie accanto al tavolo. Allora mi sedetti anch’io. «Hai paura di

quell’animale?» chiesi. «Ho sempre avuto paura di lui,» rispose, «e quando un

anno fa è venuta mia madre coi fratelli e un avvocato per ricondurre a casa mio

padre e me, hanno avuto paura anche loro del nostro cane senza nome, che in

quella circostanza si è messo davanti a mio padre, ringhiando. Soprattutto

quando sono a letto ho paura di lui, però ora è cambiato tutto. Ora sei venuto

tu e posso ridere di quell’animale. Ho sempre saputo che saresti venuto.

Naturalmente non sapevo com’eri, però sapevo che prima o poi saresti venuto

assieme a mio padre, una sera, quando il lume è già acceso e per strada c’è

maggior quiete, per celebrare con me la notte di nozze in questa stanza

semiaffondata nel suolo, sul mio letto, accanto ai molti libri. Giaceremo

insieme come uomo e donna, e là sul materasso sarà mio padre, al buio come un

bambino, e il grande cane nero veglierà sul nostro povero amore.»

Come potrei dimenticare il nostro amore? Le finestre risaltavano come stretti

rettangoli orizzontalmente sospesi, da qualche parte nella stanza, sulla nostra

nudità. Giacevamo corpo contro corpo, immergendoci sempre di nuovo l’uno

nell’altra, abbracciandoci con smania crescente, e i rumori della strada si

mescolavano al grido smarrito del nostro piacere: barcollare d’ubriachi a volte,

poi il ticchettare lieve delle prostitute, una volta il lungo monotono marciare

d’una colonna di soldati che passava, cui subentrò il suono chiaro degli zoccoli

di un cavallo, il cupo rotolare delle ruote. Giacemmo insieme sotto terra,

avvolti nella sua calda oscurità, senza più paura, e dall’angolo dove l’uomo

dormiva sul suo materasso, silenzioso come un morto, ci fissavano gli occhi

gialli del cane, dischi tondi di lune sulfuree che spiavano il nostro amore.

Sopraggiunse un autunno sfavillante, giallo e rosso, cui l’inverno seguì solo

tardi quell’anno, mite, senza il freddo inimmaginabile degli anni precedenti.

Non mi riuscì però mai di attirare la ragazza fuori dalla sua cantina, per

portarla fra i miei amici, andare con lei a teatro (dove si profilavano cose

fondamentali) o camminare insieme nella penombra dei boschi stesi sulle colline

che, simili a onde, circondavano la città: stava sempre seduta lì, al tavolo di

legno d’abete, finché veniva il padre col grosso cane, poi mi attirava nel

letto, alla luce gialla delle finestre. Verso primavera però, quando c’era

ancora neve in città, sporca e bagnata, alta anche metri nelle zone d’ombra, la

ragazza venne nella mia stanza. Il sole splendeva di sbieco attraverso la

finestra. Era un pomeriggio sul tardi, avevo messo pezzi di legna nella stufa,

quando lei apparve, pallida e tremante, certo anche di freddo, perché era uscita

senza cappotto, vestita come sempre del suo abito blu scuro. Solo le scarpe,

rosse e imbottite di pelo, non gliele avevo mai viste addosso. «Devi uccidere il

cane,» disse la ragazza ancora sulla soglia, ansante e coi capelli sciolti, gli

occhi sbarrati, e quel suo apparire fu così spettrale che non osai toccarla. Mi

avvicinai all’armadio e cercai la mia rivoltella. «Lo sapevo che un giorno me

l’avresti chiesto,» dissi, «e così ho comperato un’arma. Quando vuoi che lo

faccia?» «Ora,» rispose piano la ragazza. «Anche papà ha paura di quell’animale,

ne ha sempre avuto paura, ora lo so.» Verificai l’arma e indossai il cappotto.

«Sono nella cantina,» disse la ragazza, abbassando lo sguardo. «Papà sta disteso

sul materasso tutto il giorno, senza muoversi, tanta è la sua paura, non riesce

nemmeno a pregare, e il cane si è steso davanti alla porta.»

Scendemmo verso il fiume e poi passammo il ponte di pietra. Il cielo era d’un

rosso intenso, minaccioso, come per un incendio. Il sole era appena tramontato.

La città era più vivace del solito, piena di gente e di veicoli che si muovevano

come sotto un mare di sangue, perché le finestre e le pareti delle case

rispecchiavano la luce della sera. Passammo in mezzo alla folla. Ci affrettammo

in mezzo a un traffico sempre più fitto, in mezzo a colonne d’automobili

frenanti e di autobus barcollanti, simili a mostri dagli occhi malvagi e opachi,

passando accanto a poliziotti dagli elmetti grigi che si sbracciavano esagitati.

Avanzavo con determinazione e lasciai alle spalle la ragazza; risalii infine di

corsa la strada, ansante e col cappotto sbottonato, incontro a un tramonto

sempre più viola, sempre più imponente: però arrivai troppo tardi. Sceso infatti

con un balzo nella cantina, l’arma in pugno, e aperta la porta con un calcio,

vidi proprio in quell’attimo l’ombra gigantesca dello spaventoso animale svanire

attraverso la finestra, il cui vetro era andato in frantumi, mentre a terra,

massa biancastra di una pozza nera, giaceva l’uomo, dilaniato e reso irriconoscibile.

Mentre stavo tremante, appoggiato alla parete e immerso fra i libri,

s’avvicinarono delle automobili a sirene urlanti. Entrarono con una barella.

Vidi confusamente un medico davanti al morto e poliziotti pesantemente armati,

pallidi in volto. C’era gente ovunque. Gridai chiamando la ragazza. Scesi in

fretta giù in città, al di là del ponte, in direzione della mia stanza, ma non

la trovai. Cercai disperato, senza pace e senza mangiare. Furono mobilitati la

polizia e – poiché si temeva l’enorme animale – anche i soldati della caserma

che setacciarono i boschi a lunghe file. Battelli s’inoltrarono nel fiume sporco

e giallo, per sondarlo con lunghe pertiche. E poiché a questo punto venne d’un

tratto la primavera, con tiepidi scrosci di pioggia che si succedevano senza

posa, penetrarono anche negli antri delle cave, chiamando a fiaccole levate.

Scesero nei meandri delle fognature e perquisirono i sotterranei della

cattedrale. Però la ragazza non fu più trovata, né apparve più il cane.

Tre giorni dopo arrivai tardi di notte nella mia stanza. Esausto e disperato

com’ero, mi gettai vestito sul letto, quando udii dei passi giù in strada. Corsi

alla finestra, l’aprii e mi sporsi fuori nella notte. La strada, sotto, era come

un nastro nero, ancora bagnato dalla pioggia caduta fino a mezzanotte, tanto che

i lampioni vi si riflettevano come confuse macchie dorate, e dall’altra parte,

lungo gli alberi, camminava la ragazza nel suo vestito scuro e con le scarpe

rosse, avvolta dalle lunghe ciocche dei capelli che brillavano azzurri alla luce

della notte, e al suo fianco, ombra buia, mite e silenziosa come un agnello,

c’era il cane dagli occhi gialli, tondi, scintillanti.

Friedrich Dürrenmatt

La panne

Una storia ancora possibile
Traduzione di Eugenio Bernardi
Piccola Biblioteca Adelphi
2014, 3ª ediz., pp. 87

Quattro pensionati – un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia – ammazzano il tem­po inscenando i grandi processi della storia: a So­crate, Gesù, Giovanna d’Arco, Dreyfus. Ma è certo più divertente quando alla sbarra finisce un impu­tato in carne e ossa: come Alfredo Traps, viag­gia­tore di commercio, che il fato conduce un giorno al­la villetta degli ex uomini di legge. La sua auto­mobile ha avuto una panne lì vicino, ma lui non se ne rammarica, anzi: pregusta già il lato piccante della situazione. Si ritrova invece fra i quattro vec­chi signori simili a «immensi corvi», che gli il­lu­strano il loro passatempo. Traps è spiacente: non ha commesso, ahimè, nessun delitto. Niente pa­u­ra, lo rassicurano, «un reato si finiva sempre per tro­varlo». Bisogna confessare, dunque: «che lo si vo­glia o no, c’è sempre qualcosa da confessare». Tra squi­site portate e vini d’annata, il gioco si fa sem­pre più allarmante, finché Traps scopre in sé l’ar­tefice di un delitto che merita «ammirazione, stu­pore, ri­spetto», degno, anzi, «d’essere an­no­ve­ra­to fra i più straordinari … del secolo» – un de­lit­to ca­pace di rendere «più difficile, più eroica, più preziosa» la sua meschina vita di imbrogli e adul­teri. Ora, per la prima volta, quella giustizia che ave­va sempre ritenuto «astratta cavillosità ves­sa­to­ria» illumina il suo limitato orizzonte «come un im­mane, inconcepibile sole».

http://www.adelphi.it/libro/9788845928703

La visita della vecchia signora – Der Besuch der alten Dame Dürrenmatt : pdf e video

Der Prozess um des Esels Schatten Friedrich Dürrenmatt pdf

Friedrich Dürrenmatt : “La guerra invernale nel Tibet” ed altro di Dürrenmatt

http://www.controappuntoblog.org/2018/05/29/friedrich-durrenmatt-la-guerra-invernale-nel-tibet-ed-altro-di-durrenmatt/

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