Un modèle possible de notre culture [article], ritornando su Vilem Flussersem

[Ed. or.: Ins Universum der technischen Bilder, European photography, Gottingen 1985]

Filosofia della comunicazione, Estetica

Recensione di Francesca Rigotti – 10/09/2009

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Pian pianino le opere di Vilém Flusser, profeta della comunicazione telematica, cominciano a essere disponibili anche in lingua italiana grazie ad alcune benemerite traduzioni, cui si aggiunge ora questo testo, immagini, pubblicato in tedesco (ma Flusser scriveva anche in portoghese, francese, inglese..) nel 1985 col titolo Ins Universum der technischen Bilder. Nel 1985. Incredibile. La sua intuizione sulla società del futuro, quella che noi tutti oggi esperiamo ma Flusser aveva soltanto, per dir così, annusato nell’aria, ha dello stupefacente. Qui un passo del libro a dimostrazione di tanta lungimiranza che non fu credo di nessun altro, se non forse, in parte, di Deleuze col suo rizoma reticolare. Ma leggiamo Flusser: «Lo scenario, la favola che ho proposto qui, è questa: gli uomini staranno, ognuno per sé, in celle, giocheranno con i polpastrelli sulle tastiere, guarderanno fissi piccolissimi schermi, riceveranno immagini, le modificheranno e le trasmetteranno. Alle loro spalle i robot porteranno le cose per nutrire i loro corpi atrofizzati e farli crescere. Attraverso i loro polpastrelli gli uomini saranno collegati gli uni agli altri e così costruiranno una rete dialogica, un supercervello cosmico, la cui funzione sarà di rendere in immagini, attraverso calcoli e computazioni, le situazioni inverosimili; di provocare informazioni, catastrofi. Tra gli uomini ci saranno intelligenze artificiali che dialogheranno con gli uomini mediante cavi e funicoli nervosi similari. Diventerà perciò senza senso, da un punto di vista funzionale, voler differenziare tra intelligenze “naturali” e “artificiali”, (tra “cervelli dei primati” e cervelli dei secondi”) », p. 223.

Per illustrare questo scenario Flusser si serve di termini già esistenti che vengono però modificati rispetto al significato originario: il più significativo è sicuramente, in questo contesto, Einbildungskraft. Il termine tedesco consacrato dall’uso corrisponde all’italiano «forza dell’immaginazione». Ma a Flusser serve un termine diverso per indicare le nuove immagini (Bilder), quelle che egli chiama tecniche e che noi chiameremmo digitali o televisive, per distinguerle dalle immagini tradizionali delle pitture degli uomini della pietra o del rinascimento. L’immagine tecnica è prodotta dalla capacità (Kraft) di ein-bilden, formare in uno, uni-formare . Con «uni-formazione» traduce dunque il bravo curatore e traduttore Salvatore Patriarca la Ein-bildungflusseriana, definendola nella sua nota «la capacità di ricomporre un’unità dalla dispersione dell’universo quantistico» (p. 238). La traduzione/interpretazione ci pare appropriata anche se ogni volta ci costringe a riflettere sul fatto che uni-formazione non è uniformazione: ma alla riflessione su questo tema è dedicato l’intero scritto di Flusser.

Che capitolo dopo capitolo, in un’alternanza di intuizioni sublimi ma anche – bisogna dirlo – di scivoloni nel banale se non nel ridicolo di alcune proposte, illustra il passaggio dal testo lineare, continuo e unidimensionale (il testo della scrittura alfabetica) all’immagine tecnica costruita di punti discreti e interrotti (il testo frantumato in elementi puntuali e privi di dimensione del calcolare e computare). Per quanto questo possa significare, Flusser scrive che «la differenza tra immagini tradizionali e immagini tecniche sarebbe [che] le prime sono visioni di oggetti, le seconde computazioni di concetti. Le prime nascono grazie all’immaginazione (Imagination), le seconde grazie a una specifica capacità di uniformare (Einbildungskraft) a seguito del fatto che la fiducia nelle regole è andata persa» (p. 14). Questa capacità di uniformare, non si stanca di ripetere Flusser, è qualcosa di profondamente diverso rispetto all’immaginazione, qualcosa di nuovo e di cui si deve parlare per comprendere il mondo della «poststoria», Nachgeschiche(altro neologismo), nel quale Flusser profetizzava, a ragione, che ci saremmo trovati a vivere.

Parlavo di passaggi banali quando non ridicoli: essi hanno luogo quando Flusser, non disponendo di nozioni fisiche e matematiche sufficienti, cerca di spiegare macroscopicamete elementi come fotoni, elettroni o bits, avvicinandosi allo schermo della televisione con la lente d’ingrandimento come un bambino degli anni ’60 poteva cercare di spiegarsi il mistero del suono che usciva dal disco di vinile osservando attentamente i solchi sui quali scorreva la puntina del giradischi. O riflettendo sul gesto del premere i tasti come se ciò potesse aprirci un varco verso la comprensione del funzionamento del computer. E’ un gioco pericoloso che Flusser affronta con eccessiva leggerezza, giudizio che peraltro nulla nega e sottrae alla potenza del suo esame dell’era digitale. In essa Flusser vede il nuovo, legge una rivoluzione culturale di tipo epocale senza precedenti ove tutte le immagini, immaginazioni e finzioni del passato sbiadiranno rispetto alle nostre immagini. Non c’è più realtà, ci sono soltanto sciami di punti, polvere di atomi, nulla c’è più da leggere e da decifrare. Perso il carattere di specchio delle immagini tradizionali, le nuove immagini tecniche sono proiezioni nel senso che si proiettano fuori dal soggetto nel progetto (per quanto ciò, ripeto, possa significare).

Importante, e legato al nostro presente, è il problema della copia, quello che oggi mette in discussione l’analogo diritto (il copy-right) dell’autore sull’opera. La riproducibilità dell’opera – tema su cui aveva già riflettuto Walter Benjamin, ma Flusser non è un accademico, nel bene e nel male, non cita niente e nessuno, scrive senza riferimenti e non sai mai quali testi si sia potuto procurare laggiù in Brasile negli anni ’50 – la riproducibilità dell’opera insomma rende superflua l’autorità dell’autore e vanifica il problema del rapporto con l’originale, sul quale non ha più senso applicare una maternità unica. Importanti per noi sono anche le conseguenze della rivoluzione culturale informatica sul nostro rapporto con gli oggetti dei quali anche tanto oggi si parla. E’ da una parte vero che si vorrà possedere il minor numero possibile di oggetti e ci si rivolgerà unicamente alle immagini di oggetti, ma allo stesso tempo gli oggetti esistono ancora, e in sempre maggior quantità, mentre lo stringere in mano sciami di particelle e il guardare punti saltellanti sembra non soddisfarci, anzi procurarci sempre maggior inquietudine.

http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2009-11/flusser.htm

Un modèle possible de notre culture – Persée

Francesco Emilio Restuccia : sperare nelle rovine pdf – Vilém Flusser …

La crisi dell’avvenire ; – Vilém Flusser and the Digital

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