Stregati: “Conforme alla gloria” di Demetrio Paolin by alibionline, minimaetmoralia

“Conforme alla gloria” di Paolin irrita la pelle e l’anima

26 aprile 2016 /

“Siamo tutti colpevoli, nessuno di noi è salvo veramente”. La citazione in quarta di copertina mette già sull’avviso il lettore: lo spirito che dà corpo a “Conforme alla gloria” di Demetrio Paolin (edito da Voland) si preannuncia come un giudice implacabile per le colpe di tutti e di ciascuno. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate, verrebbe da dire. E sarebbe a tema, visto che il lettore s’inoltrerà, anzi s’inabisserà, in un inferno via via sempre più angosciante…

Dopo aver letto le prime pagine mi è venuto di pensare che il Novecento, invece di essere stato il “secolo breve”, si sta dimostrando dannatamente lungo. Con i suoi tentacoli ha afferrato e non pare intenzionato a mollare il secolo XXI.

E subito dopo ho riflettuto sul valore e sul significato mitopoietico della Shoah. Attenzione! Non sto dando un giudizio di nessun tipo: né etico, né storico. È solo una considerazione sulla lunga durata degli effetti dello sterminio degli Ebrei (ma non solo, va sempre ricordato) nei campi di concentramento. Effetti, mi pare, visibili soprattutto se non solo in letteratura, altrimenti non saremmo praticamente punto e a capo con le sparate e, quel che è peggio, con le decisioni dettate dal più becero populismo. Anno del Signore 2016.

La Shoah, dunque, come la saga tebana, una fonte inesauribile di storie? Forse regge l’accostamento: abbastanza lontana, ma ancora piuttosto vicina; non ci riguarda direttamente, ma parla di noi, proprio come le vicende di Edipo e famiglia per i cittadini ateniesi del V secolo.

Selezionato tra i dodici titoli che si contenderanno la settantesima edizione del Premio Strega, “Conforme alla gloria” racconta la presa di coscienza con conseguente dannazione del figlio di una ex SS. Il padre, che è stato un caporione a Mauthausen, morendo, gli lascia in eredità un dono maledetto, un quadro davvero particolare intitolato “La gloria”.

Dono maledetto

Il quadro è un tumore che si ripresenta, un’ombra maledetta che si allunga sui discendenti, un maleficio, è un parassita che ha deposto uova. Ma per Rudolf soprattutto un richiamo irresistibile. Timeo parentes et dona ferentes, altro che Danaos, dovrebbe insospettirsi l’uomo. E invece, proprio come Edipo, si mette in cerca di una verità che finirà col perderlo.

“È come se avessi bevuto del veleno”, confessa alla moglie, “ma non muoio”. E siamo solo a pagina 74. Per altre trecento si srotolerà il tema della colpa che tutti contagia, perché “padri e figli sono la stessa cosa” e dunque i secondi portano il segno dell’infamia che ha marcato i primi. Il male è un virus che si propaga e infetta. Rudolf si isola e perde il contatto con la moglie e col figlio. Soprattutto quest’ultimo vorrebbe troncare i rapporti col passato, ma anche su di lui si allungherà l’ombra malefica del nazismo.

Sulla pelle di Enea

Paolin intinge la sua penna in un inchiostro urticante e senza mai arretrare o dare segni di esitazione, procede nella sua indagine letteraria sul cuore di tenebra, tra richiami alla Scrittura e riferimenti scespiriani (“se mi taglio sanguino come tutti”, pag. 186), tra luoghi altamente evocativi come la Risiera di San Sabba e il Cimitero Militare Germanico alla Futa e critiche all’imperialismo commerciale tedesco. Distingue tra vittima e sopravvissuto, fa dire che testimoniare è fare male, lega il passato al presente con un cappio che indigna prima ancora di soffocare.

Il secondo protagonista, infatti, è Enea, un sopravvissuto a Mauthausen. Il campo di sterminio è un verme, inglobato nella sua carne. Come l’eroe troiano, scampa al crollo del suo mondo portandosi però dietro la distruzione. Vive e lavora a Torino come tatuatore. La pelle, che costituisce il 18% del corpo, riveste (è il caso, macabro, di dire) un ruolo fondamentale nel romanzo.

Enea ci lavora con la pelle e negli anni della vecchiaia arriva a diventarne un vero e proprio artista. È così che lo rintraccia Rudolf. E le loro storie si incrociano. Ma c’è spazio anche per la storia recente di Torino, con i suoi fuochi e le sue tragedie.

E proprio quelle dedicate al rogo della ThyssenKrupp e alla vicenda personale del sopravvissuto Antonio Boccuzzi sono le pagine più urticanti. Citiamo solo l’ossimoro agghiacciante “vive la sua morte”.

Il corpo è raccontato nel suo disfacimento e nella sua esaltazione, nella negazione e nell’annullamento, mentre l’anima è appesantita dal peccato e dalla colpa. L’identità è messa in dubbio e colpa e felicità non sono concetti lineari. Non soltanto per i figli dei nazisti.
Saul Stucchi

  • Demetrio Paolin
  • Conforme alla gloria
  • Voland
  • 2016, 393 pagine, 18 €

http://www.alibionline.it/conforme-alla-gloria-demetrio-paolin/

Stregati: “Conforme alla gloria” di Demetrio Paolin

di pubblicato domenica, 22 maggio 2016

Torniamo sui dodici libri candidati al Premio Strega con una recensione del romanzo di Demetrio Paolin Conforme alla gloria.

di Orazio Labbate

“Il ragazzo, libero dai vincoli del sangue e dell’amore filiale dovuto, osserva il padre, che parla da un altro luogo, una distanza siderale li separa. Da così lontano, lo vede per quello che è. È matto, Rudolf è impazzito. L’uomo che l’ha portato sulle giostre da piccolo, sulle cui spalle ha passato molte ore dalla sua infanzia, l’uomo intelligente che amava sua madre e che per lui rappresentava una sorta di approdo, è stonato come una campana incrinata.”

Conforme alla gloria (Voland, 2016), di Demetrio Paolin, è, innanzitutto, un romanzo audace. Possiede il coraggio di trattare, con grazia, temi assai delicati. Un tentativo che può compiere solo chi scrive secondo un’accurata ed equilibrata lingua. Lo scrittore torinese si serve, infatti, di uno stile lineare, rigoroso e semplice, come la poesia più asciutta, per farci conoscere la tragedia: il fenomeno della deportazione verso i lager nazisti.

Il libro, però, non è un ricalco della ricca letteratura sugli avvenimenti legati all’Olocausto, è un duro studio dell’essere umano ancora legato a coloro ch’erano vittime oppure carnefici del Reich. Legami, quelli delle figure di “Conforme alla gloria”, indissolubili, che si concretano negli oggetti, o addirittura attraverso il corpo il quale è il luogo del ricordo per antonomasia. Il corpo è infatti trattato sacralmente dallo scrittore, e per questa ragione è il tòpos del libro.

Nella narrazione di Demetrio Paolin i personaggi sono strutturati perché siano legati. Nel bene e nel male. C’è Rudolf Wollmer, sindacalista di Amburgo, il quale non riesce a dimenticare il padre defunto, Heinrich, ex SS; e lo fa attraverso un quadro di proprietà di quest’ultimo. Un dipinto che è però in pelle umana. Un oggetto che diventa il suo disastro e intanto accende il simbolismo del romanzo. “Rudolf rimane in ginocchio. Tocca la cornice nera. I cordoli di fune che tengono legato il dipinto. Guarda i visi al centro, gratta con l’indice sinistro il palinsesto e si porta il dito alla bocca come fanno i bambini con i cibi che non conoscono. Gira la tela, dietro c’è una scritta, in basso. Riconosce la calligrafia del padre: La gloria, aprile 1945.”

C’è, inoltre, Enea, tatuatore che vive a Torino, ex deportato del campo di concentramento di Mauthausen, il quale incide, quasi a voler procrastinare il suo dolore. E poi Ana, giovane anoressica. Lei è l’opera del tatuatore. E’ stata scelta, invece, per espiare il male vissuto da Enea. “A Enea servono il corpo e la pelle. Così come al meccanico servono le chiavi inglesi e al parrucchiere le forbici e il phon. Lo sguardo con cui l’uomo scruta Ana non ha nulla a che fare con la bellezza o il desiderio sessuale. Enea la misura come un pittore che deve affrescare una parete. Fa stendere Ana sul lettino. “Per ora lavoreremo sul collo e sulle spalle” dice, il tono della sua voce è neutro. Nessuna emozione sembra tradirlo. Controlla se tutti gli strumenti che gli servono sono a portata di mano.”

Tutti i personaggi sono ossessionati dalla pelle. Ne sono manovrati. Paolin vuole dunque riportarci a quel legame religioso nei confronti di essa. Alla carne come tempio di Dio che però può essere scempio se corrotta dall’uomo attraverso la violenza, oppure attraverso la contraffazione strappandola per trasformare essa in un oggetto. Cade così quel tempio sacro. Cade la purezza della carne. Rudolf, Enea e Ana cercheranno allora di distruggere il male servendosi della pelle, in maniera individualmente diversa, all’interno delle loro vite. La carne, in definitiva, come amuleto.

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