Gianmaria Testa, 17 ottobre 1958 – 30 marzo 2016


Ripubblichiamo una delle ultime interviste rilasciate nel novembre del 2012 da Gianmaria Testa al supplemento letterario de La Stampa, TuttoLibri.

Questa è la storia di un bambino cresciuto in campagna, l’universo in un cortile, ma con a disposizione una biblioteca enorme, con le pareti foderate di libri ordinati, su fino al soffitto. Volumi da coprire con le pagine de La Gazzetta del Popolo, per non rovinarli, da leggere con voracità e stupore.

«Era la casa padronale cui i miei genitori facevano da custodi – racconta Gianmaria Testa -. Mi infilavo all’ultimo piano e prendevo, a caso. Così ho letto La Tregua, prima di Se questo e un uomo. Ho scoperto Pavese e Fenoglio, Salgari e Verne. E’ stata la mia finestra aperta sul mondo. Anche se, col tempo, mi sono reso conto che quello che so l’ho imparato lì, nell’aia della cascina. Allora divoravo i libri, non mi sarei mai permesso di non finirne uno, anche se non lo capivo. Adesso, se uno non mi piace, lo lascio. Forse sono diventato meno curioso, oppure l’età ha attenuato l’ingordigia». Pavese e Fenoglio sono gli autori che più incarnano i valori della terra in cui vive e della Resistenza, per cui spesso canta.

«Leggere Pavese e Fenoglio all’inizio mi ha dato la sensazione di scoprire una cosa quasi impudica. Quella di La luna e i falò e La malora, nonostante la distanza di vent’anni, era la mia stessa povera campagna. I personaggi uguali a quelli che incrociavo tutti i giorni, li avevo anche in casa. Mi faceva l’effetto di quando ci si annusa i propri odori, con una specie di disgustato piacere. Le riletture, specialmente di Fenoglio, mi hanno poi convinto che sia stato uno dei grandi del secondo dopoguerra. La sua capacità di descrivere un microcosmo, e renderlo universale, l’ho ritrovata in certi romanzi minori di Tolstoj. Anche se la solitudine di Padre Sergio e La sonata a Kreutzer le ho solo immaginate, il mondo di Fenoglio invece l’ho vissuto».

E José Saramago, cui ha anche dedicato uno spettacolo?

«Il Progetto Saramago, nato dall’incontro con Giorgio Gallione, mi ha fatto scoprire Il racconto dell’isola sconosciuta, in cui ritrovo lo spirito di molte mie canzoni. Al debutto è stato strano avere l’autore in prima fila, che poi è venuto a salutarci: la mia seconda volta con un Premio Nobel per la Letteratura. Il primo era stato nel 1974, facevo il liceo a Fossano, dove era in carcere l’avvocato Giovan Battista Lazagna, accusato di essere il “grande vecchio” del terrorismo. Quando l’hanno liberato ho marinato la scuola. Ad accoglierlo c’era Dario Fo. Sapevo chi era per Mistero Buffo. Mi sono avvicinato timidamente e lui mi ha chiamato: “Ragazzo, vai a comprare una bottiglia di acqua!”».

Ha trovato il successo in Francia, che rapporto ha con quella cultura?

«Alla letteratura francese mi sono avvicinato in modo scolastico e, da ragazzo, non ero fan di Balzac o Zola. La prospettiva è cambiata quando ho potuto leggere in versione originale. Mi approccio in maniera diversa ai libri e agli autori, perché diversa è la mia padronanza della lingua. Uno su tutti La trilogia della città di K. di Agota Kristof. Ho letto persino Tre cavalli di Erri De Luca, pensando l’avesse scritto in francese».

Con Erri De Luca avete portato in scena «Attraverso» e «Chisciotte e gli invincibili». E’ un amico, è anche uno dei «suoi» scrittori ?

«In realtà ho conosciuto prima le sue poesie e poi lui. I suoi libri li ho letti tutti. L’ultimo l’ho avuto, dattiloscritto, mentre eravamo insieme in tournée. Credo che sia stato difficile per tutti e due: autore e lettore vicini. Ma l’amicizia supera l’imbarazzo, anch’io gli faccio sentire le mie canzoni in anteprima. Certo, guardare in faccia lo scrittore un po’ modifica la lettura. Lo stesso mi è successo con Jean-Claude Izzo. E’ come quando vedi la trasposizione cinematografica di un libro e scopri il volto dei protagonisti. Per fortuna per me, entrambi erano come me li ero immaginati!».

E’ anche citato in un libro di Izzo: i protagonisti di «Marinai perduti» ascoltano la sua musica.

«Da lì siamo diventati amici. Mi sono confrontato con lui ogni volta che mi è venuta la tentazione di dedicarmi alla stesura di un libro. Essere scrittori non comporta necessariamente una presenza, e io non anelo alla scena. Sento un po’ la quota di ridicolo che c’è nello stare lì da soli, amplificati e illuminati, implica un piacere narcisistico. Mentre suono ogni tanto me lo chiedo: “Cosa sto facendo qui”? Izzo mi ha sempre detto che i romanzi, a un certo punto, si scrivono da soli. A me non è ancora capitato. Però “impagino” i miei lavori: per me è preponderante che temi e tonalità costruiscano una storia».

Intanto si è regalato la «Ninna Nanna» dei sogni.

«All’inizio si intitolava Ninna Nanna per Emma. Me l’ha commissionata un amico per la sua nipotina. Io ho tergiversato, me ne ero anche dimenticato, ma lui è stato tenace. Solo dopo è nato il progetto con Gallucci. Sono contento come un bambino che Altan abbia creato delle illustrazioni meravigliose: deve avere dentro un mondo enorme, dai suoi disegni esce una tenerezza incredibile».

E i libri del suo mondo, quelli da rileggere?

«La Divina Commedia, per ignoranza, per avere il tempo e la possibilità di sviscerarla, cogliendone le sfumature. Ho amato molto, per la sua musicalità, un racconto lungo di Silvio D’Arzo, Casa d’altri. E poi, sono ripetitivo, ma i romanzi che mi somigliano di più sono quelli brevi di Fenoglio. La paga del sabato, direi. In quelle pagine c’è un eroismo tragico, pieno di umanità, di errori e piccole tragedie, che ancora mi commuove. Mi sarebbe tanto piaciuto stringere la mano a Fenoglio. Passo sempre a “salutarlo” quando vado al cimitero di Alba».

E alla fine siamo tornati lì. Negli stessi luoghi e con gli stessi libri di quando era bambino e si intrufolava nella biblioteca della villa.

«Sto per traslocare e nella casa nuova ne avrò una uguale. I libri, e subito dopo i dischi, sono l’unico vero possedimento mio e di mia moglie Paola. Io qualcuno lo darei anche via, per farlo circolare. Lei no, li tiene tutti, le piace averli lì. Ma in fondo ha ragione, i libri sono belli. Anche fisicamente».

http://www.lastampa.it/2016/03/30/spettacoli/testa-il-mio-grazie-infinito-a-fenoglio-MZUB5SRe9Ptc3tCWUYUt3H/pagina.html

Gianmaria Testa – Lasciami Andare | controappuntoblog.org

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